Quel 31 dicembre 1968 nel deserto dello Yemen

Quel 31 dicembre 1968 nel deserto dello Yemen

Quel 31 dicembre 1968 nel deserto dello Yemen

 

Il mio migliore augurio per lasciarci alle spalle questo infausto 2020 e affrontare  a testa alta l’anno che verrà.

Ippolito

 

Il 31 dicembre

eravamo ancora in pieno deserto e puntavamo

sempre a nord. Avevamo l’impressione di esserci persi

in quel mare di sabbia, così affascinante, misterioso

e volubile per le dune che cambiavano altezza e posizione

a seconda della direzione del vento. la sabbia si

infilava ovunque, malgrado i fazzoletti che tenevamo

sulla bocca e gli occhiali che proteggevano gli occhi.

In quel paesaggio incredibile a un certo punto cominciammo

a vedere delle ossa bianche che affioravano

lungo la pista. Ci fermammo. Ce n’erano tantissime

per qualche centinaio di metri: ossa, teschi ma

anche scarponi. Trovammo anche i brandelli di un

paracadute, mimetiche e un elmetto russo. era l’equipaggiamento

in dotazione alle truppe egiziane inviate

da nasser. I teschi erano moltissimi. non so

quanti potessero essere i morti lì presenti. giacevano

insepolti o sepolti grazie alla «pietà» del deserto.

Questa volta non facemmo come in Congo, dove avevamo

preso dei teschi per adornare le jeep e i camion.

Robert Muller, paracadutista, volontario di guerra

R.Muller, I.E. Ferrario, “Un parà in Congo e Yemen 1965, 1969”, Mursia

Tullio Moneta e il tentato rapimento del leader etiope Mengistu

Tullio Moneta e il tentato rapimento del leader etiope Mengistu

Tullio Moneta e il tentato rapimento del leader etiope Mengistu

A distanza di vent’anni l’ex mercenario Tullio Moneta racconta dell’incarico ricevuto di rapire l’ex dittatore etiope Mengistu. Testimonianza raccolta da Giorgio Rapanelli.

Nel 1990 Tullio Moneta fu incaricato da una “intelligence” occidentale di rapire l’ex-dittatore rosso dell’Etiopia Mengistu, che si era macchiato di crimini contro l’umanità.

Doveva essere un’”operazione segreta”.

Qualora le cose dovessero andare storte, i paesi non vorrebbero essere coinvolti per motivi politici, negando così ogni coinvolgimento nelle operazioni.
Fuggito dall’Etiopia, Mengistu era stato accolto nello Zimbabwe dal dittatore Mugabe.

Mengistu viveva in uno chalet di proprietà di una cittadina somala sul lago Kariba.

Tullio conosceva bene quella zona turistica, che aveva frequentato con il suo colonnello Mike Hoare, comandante del 5 Commando in Congo nell’azione militare contro i ribelli Simba.

Erano insieme in quella zona per organizzare qualcosa che poi non andò in porto.
Lo chalet si trovava a circa 200 metri dalla riva nord del lago.

Si trattava di rapire Mengistu, caricarlo su di un aereo e riportarlo in Etiopia, dove sarebbe stato processato e condannato a morte… Condanna che sarebbe stata poi tramutata in ergastolo.
Insieme a due mercenari, Tullio Moneta fece un sopralluogo della zona di operazioni.

Scattò delle foto dello chalet, dell’ambiente intorno, dell’intera zona e delle strade, delle due guardie del corpo che guardavano Mengistu e dello stesso Mengistu che passeggiava in abiti civili.

Tullio e i due mercenari si muovevano nella zona camuffati da pescatori, che come altri pescatori si cimentavano nella pesca del “tiger fish”, il “pesce tigre” del lago Kariba, molto difficile da catturare.

La cattura di Mengistu non avrebbe invece presentato problemi per i cinque mercenari che insieme a Moneta avrebbero sopraffatto, addormentato e legato le due guardie del corpo grassocce, probabilmente soldati locali dello Zimbabwe.

Non sarebbe stato necessario eliminare le due guardie del corpo, sparando con le penne stilografiche cal. 22 R.L. di cui erano dotati: un armamento non compromettente, ma micidiale…
Avrebbero facilmente catturato Mengistu, messo nel portabagagli di un’auto e trasportato a cinque chilometri da lì, dove li aspettava su di una pista della savana un Chessna che  sarebbe volato fino ad Addis Abeba con a bordo l’ex dittatore.
Intanto Tullio Moneta e i cinque mercenari sarebbero diventati turisti per alcuni giorni in Botswana, al “Mowame Lodge” sul fiume Chobe, un affluente dello Zambesi, prima di tornare in Sudafrica attraverso la “Caprivi Strip”, punto di contatto con Zimbabwe, Namibia e Botswana.

Tuttavia le cose non si erano rivelate così facili…Innanzitutto non era stato possibile contattare un pilota della squadra di Jack Malloch, che avrebbe dovuto portare Mengistu in Etiopia.

Negli anni Ottanta Malloch, che era stato il pilota coinvolto nel fallito colpo di Stato delle Seychelles, ed era scomparso misteriosamente mentre volava con in suo Spitfire restaurato.

Pure il dottore Hans Germani, medico, scrittore e conoscitore di diverse lingue, amico di Tullio Moneta fin dai tempi del Congo, era stato, secondo dicerie, assassinato dalla polizia dello Zimbabwe.

In più, i sondaggi prevedevano una pesante sconfitta del dittatore Mugabe da parte del democratico Morgan Tsvangirai alle prossime elezioni presidenziali.

L’operazione diventava sempre più difficile da attuare.

Quindi, poco prima che Tullio Moneta potesse realizzare il rapimento di Mengistu, arrivò un messaggio radio che dava l’ordine di “ABORT ACTION”. Ossia, l’operazione rapimento di Mengistu era annullata.

La decisione era stata presa in previsione della vittoria di Tsvangirai, che, una volta diventato presidente, avrebbe fatto deportare Mengistu in Etiopia.
Tullio Moneta e i cinque mercenari trascorsero di conseguenza alcuni giorni al “Mowane Lodge” a spese dei mandanti del rapimento di Mengistu che non riconobbero ai cinque mercenari il compenso d’ingaggio pattuito, in quanto il rapimento non era avvenuto.
Come previsto, Tsvangirai vinse le elezioni, ma Mugabwe non accettò la sconfitta e rimase al potere.

Menghistu nel frattempo continuò a rimanere nello Zimbabwe come suo ospite.

 

“Noi fratelli d’armi in Africa come pirati”: un libro di Ferrario racconta lo spirito dei mercenari

“Noi fratelli d’armi in Africa come pirati”: un libro di Ferrario racconta lo spirito dei mercenari

“Noi fratelli d’armi in Africa come pirati”: un libro di Ferrario racconta lo spirito dei mercenari

di Matteo Brunetti, Secolo d’Italia, 20 dicembre 2020

È dal 2009 che Ippolito Edmondo Ferrario, scrittore milanese nato nel ’76, dedica parte delle sue ricerche e della sua creatività alla ricostruzione dell’epopea dei volontari italiani che hanno combattuto in Africa negli anni Sessanta. Giovani, non conformisti, coraggiosi: in molti lasciarono la famiglia, gli affetti e il benessere degli anni del boom per raggiungere il Congo. Erano militari di ventura, professionisti della guerra, che seguendo i loro ideali si ritrovarono a combattere in un paese straniero dilaniato al suo interno da un terribile conflitto armato.

Non erano soldati sanguinari

Per la loro condizione di “soldati di ventura” l’opinione pubblica e il conformismo progressista li ha sempre marchiati con l’appellativo di “les affreux”, ovvero gli orrendi, i terribili, e le loro coraggiose e disinteressate azioni, seppur volte a salvaguardare la vita della popolazione civile, passarono in secondo piano rispetto all’ingiusta fama di soldati sanguinari, fascistoidi e senza scrupoli.

La canzone di Pino Caruso al Bagaglino

“Son morto nel Katanga / venivo da Lucera…” cantava, parlandone al positivo, solo Pino Caruso in un disco inciso nel 1968 dal Bagaglino con parole di Pier Francesco Pingitore, il quale nel suo cabaret aveva avuto modo di conoscere qualche ragazzo reduce da quell’esperienza… Conformismo a parte, infatti, quella stagione è stata comunque celebrata nell’immaginario europeo e occidentale. Nei libri, nel cinema e, con la ballata di Pingitore, anche nella musica popolare. A cominciare da Africa addio, il capolavoro cinematografico di Gualtiero Jacopetti che il regista girò – insieme al suo amico e sodale Franco Prosperi – proprio seguendo i mercenari e osservando in presa diretta le loro imprese.

I film che celebrano i mercenari d’Africa

Oppure ai due film che celebrarono al meglio la figura di “quei” ragazzi in Africa: I quattro dell’Oca selvaggia del 1977 e I mastini della guerra del 1980, entrambi trasposizione cinematografica di due bei libri, il primo di Bob Carney, il secondo di Frederick Forsyth, lo scrittore britannico che dedicava il romanzo anche a Pier Giorgio Norbiato, un eroico italiano soprannominato “le fasciste”.

Il libro di Ferrario: Maktub, Congo-Yemen 1965-1969

Appunto, in tutta questa bibliografia, mancava sinora adeguatamente il ruolo svolto dagli italiani, che pure c’erano e non sono stati pochi. Ed ecco con questo ultimo Maktub. Congo-Yemen 1965-1969 (Edizioni Ritter, pp. 107, euro 24,00), Ferrario a quattro mani con Robert Müller, uno dei protagonisti di quell’epopea, manda in libreria un bellissimo libro in grande formato con tutto il racconto fotografico, passo dopo passo, tanto che il risultato è quasi cinematografico.

Le esperienze raccontate nel libro

Müller, classe ’42, figlio di un soldato della Wehrmacht e di madre italiana, nel ’65 parte alla volta del Congo Belga insieme a Girolamo Simonetti. Catapultati in una realtà cruda e spietata, fatta di massacri tribali, morte e distruzione, diventano presto “fratelli d’armi”, entrando a far parte del leggendario gruppo Paras Cobra. Nel ’68, solo qualche anno dopo, Müller raggiunge il deserto dello Yemen per combattere a fianco dei ribelli realisti sostenuti dall’Arabia Saudita contro i repubblicani filo-sovietici. Il libro curato con Ferrario rievoca e racconta entrambe le esperienze.

Centinaia di foto

Non mancano tra le centinaia di foto, quelle più goliardiche e giovanilistiche. In particolare, c’è n’è una in cui Simonetti e Müller “giocano” a fare i pirati. Commentata da parole dello stesso Simonetti, l’amico romano – forse proprio colui che parlandone al Bagaglino ispirò Pingitore – che era partito con l’Africa insieme a Müller: “Fra tutti i paragoni fatti, quello che mi sento d’accettare come più vicino allo spirito mercenario è quello con i pirati. Pirati all’arrembaggio in un mare ostile di incomprensioni, che necessita della loro presenza, ma li disprezza, in un mare di opportunismi, di accordi al vertice, di materialismo d’ogni colore, di specioso e interessato perbenismo. Pirati del XX secolo, che difendono la loro filibusta con la sciabola in una mano, mentre con l’altra ghermiscono una bottiglia di Rhum e combattono irridendo al nemico, incuranti di tutto e di tutti”.

Accadde Domani. Ultimi giorni di dicembre del 1968 nel deserto dello Yemen

Accadde Domani. Ultimi giorni di dicembre del 1968 nel deserto dello Yemen

Accadde Domani. Ultimi giorni di dicembre del 1968 nel deserto dello Yemen

La fine della mia «avventura» si stava avvicinando.

Era il dicembre del 1968 e mentre montavo la guardia ripresi a pensare per ingannare il tempo.

La solitudine del deserto si può paragonare al mare. Il mare è immenso, meraviglioso, per certi aspetti non dissimile dal deserto. Quando verrà il mio momento, spero di andarmene avendo di fronte il mare. Che sia calmo o in burrasca mi dà un senso di estrema serenità.

Di notte, con il cielo pieno di stelle, mi riempie di una pace interiore assoluta.

Ascolto il mare sdraiato sulla sabbia ed è come se ascoltassi me stesso. Il deserto, a differenza del mare, sembrerebbe un luogo privo di vita, ma un osservatore attento sa che non è così. C’è sempre qualcosa che si muove: lo scorpione che esce di notte col favore delle tenebre, qualche ragno, i serpenti che a volte rotolano giù dalle dune di sabbia.

Durante il giorno cambia tonalità di colore in continuazione.

Rosa cupo al mattino e alla sera quando nasce e cala il sole, rosa tenue quasi color albicocca durante l’arco della giornata. Quando c’è una leggera brezza la sabbia si muove come piccole onde e quando soffia il Simùn, vento simile al Ghibli, le dune mutano posizione come se fossero grandi onde.

La notte nel deserto assume una dimensione magica, intima e quando la temperatura scende, le stelle diventano brillanti. Mi sembra di vedermi ancora infilato nel sacco a pelo, nella buca che si scavava per passare la notte.

Nel deserto si è portati a parlare a sè stessi, a porsi delle domande a cui spesso si danno delle risposte che alle volte non ci piacciono.

Robert Muller, Ippolito Edmondo Ferrario, Un parà in Congo e Yemen 1965-1969, Mursia

Accadde Domani. 30 giugno 1965. Robert Muller si prepara a lasciare il Congo

Accadde Domani. 30 giugno 1965. Robert Muller si prepara a lasciare il Congo

30 giugno 1965. Robert Muller si prepara a lasciare il Congo

Come da programma, rientrai a Stanleyville e vi rimasi alcuni giorni. Feci qualche pattuglia nei pressi della città, ma nulla di memorabile. Qui incontrai Bob Denard, che era diventato il comandante del battaglione, avendo sostituito il belga Lamouline. Il giorno della partenza guardò le mie carte e mi congedò. Mi disse che ci saremmo rivisti. Era il 30 giugno, festa dell’indipendenza congolese. Quel giorno Mobutu, ormai divenuto un despota, fece impiccare tre dissidenti, per mostrare il suo potere. Io ormai ero prossimo a lasciare il Congo. Il 10 luglio mi fu consegnato il biglietto aereo per Bruxelles. Partimmo per Léopoldville dove rimanemmo un giorno prima di imbarcarci per l’Europa. Arrivato a Bruxelles andai a cercare un albergo e ritirai tutti i soldi che avevo depositato in banca. Avrei dovuto fare festa. Andai a cena in un ristorante, ma non mi sentivo soddisfatto, anzi. Anche la sera, tornato in albergo, feci fatica ad addormentarmi, tanto che, per chiudere occhio, dovetti prendere il cuscino e le coperte e sdraiarmi sul pavimento. A certe comodità non ero più abituato. Crollai comunque in un sonno profondo. Il mattino successivo, la donna delle pulizie mi trovò mentre dormivo ancora a terra. era giunto il momento di partire.

Tratto da: Robert Muller, Ippolito Edmondo Ferrario, Un parà in Congo e Yemen 1965-1969, Mursia