Il macellaio del Verziere

Il macellaio del Verziere

Ripropongo qui di seguito, in una veste nuova e rivisitata, un racconto noir uscito qualche anno fa nell’antologia “Delitti alla milanese” curata da Gianluca Margheriti.

Buona lettura

Il macellaio del Verziere

Milano, dicembre del 1965

“Non è possibile? Era tutto quello che avevamo…Come faremo desso?! Sei un maledetto…” mormorò la donna incredula mentre singhiozzava.

Lei e lui erano nel retro del loro negozio. Il marito la guardava immobile, non sapendo cosa dire o fare.

Non provava vergogna, ma semmai fastidio nel dover rendere conto alla moglie di ciò che aveva fatto.
Tutti i nodi vengono al pettine, così si dice, ma Luigi aveva sperato di poter risolvere da solo quel debito che ogni giorno era diventato sempre più grande. Un’illusione che aveva nutrito per mesi.
“La giocata… la prossima giocata sarà quella fortunata” diceva a sé stesso quando usciva dalla bisca del Tino, in quel sottoscala fumoso della Vetra, dove trascorreva sempre più spesso le sere.
Rincasava in piena notte, barcollante, con i sensi anestetizzati dal vinaccio nero.

A volte si doveva appoggiare ai muri dei palazzi, colto dal senso di vertigine che l’alcool gli induceva.

Non di rado si fermava a vomitare per strada, da solo, alla stregua di un reietto.
Si riprometteva che dal giorno dopo sarebbe cambiato tutto, giurava a sé stesso che avrebbe chiuso con quella vita dissoluta.
I soldi ormai non bastavano più, la posta in gioco era sempre più alta.
E poi c’era lei, Anna, che aveva il potere di chiedergli qualsiasi cosa.

Quando lei gli si metteva tra le gambe lui era in suo potere, ammaliato da quegli occhi neri.

La donna, oltre a succhiargli il cazzo, sembra volesse ingoiargli l’anima.
“Non abbiamo più nulla” disse Maria che aveva investito l’eredità dei genitori in quel piccolo negozio di macelleria dopo anni di sacrifici.
Tutto sembrava perduto. Il conto corrente era stato svuotato dalla follia di Luigi, soggiogato dal demone del gioco e della lussuria.
La fine del mese non era ancora arrivata, ed erano già in ritardo con i fornitori da pagare.
Ma quelle che Luigi usava come scuse, errori della banca, come li chiamava lui, si erano ben presto rivelate un castello di bugie.
La lettera inviata dall’istituto stesso e aperta da Maria quella mattina stessa non lasciava dubbi.
Il conto era in rosso di parecchio e le spese continuavano ad aumentare.

Quella mattina Maria si era recata in piazza Fontana, presso la banca di cui erano clienti, scoprendo gli ammanchi.
Luigi aveva continuato a prelevare soldi e ora non avevano più nulla.
A quel punto il marito non aveva più potuto nasconderle la verità.

Se non avessero rispettato i trenta giorni di tempo concessi per saldare gli arretrati, le cose si sarebbero complicate.

Per non parlare di tutte le spese che sarebbero ancora arrivate.
“Vedrai, troveremo una soluzione. Se solo avessi ancora qualche soldo da giocare, potrei fare il colpo.

So che posso vincere” obbiettò lui nella sua follia, non rendendosi conto che la bisca era truccata .
Tino, che aveva un night-club, e gestiva la bisca nello scantinato attiguo riadattato a locale, aveva visto in Luigi il perfetto pollo da spennare, esattamente come quelli che l’uomo vendeva ai propri clienti del Verziere.
Tino aveva l’occhio clinico per individuare i soggetti deboli e vulnerabili; con la complicità di Anna aveva lentamente ridotto Luigi sul lastrico.
Tutto era iniziato una sera come tante, la prima volta che Luigi era andato con degli amici al night-club.
Complice lo champagne, il macellaio aveva parlato del lavoro, della sua bottega di carni che era la più rinomata del quartiere e del fatto che dopo anni di stenti era riuscito a uscire dalla miseria.
Aveva mostrato un Rolex d’oro al polso che aveva comprato da un non meglio precisato amico che gli procurava ori e preziosi a buon prezzo.
Quella stessa sera Tino aveva invitato Luigi ad andare a giocare da lui, in un ritrovo privato dove si poteva giocare soldi lontano, da occhi indiscreti.

Un posto per uomini di mondo, come lo aveva definito lui stesso sapendo di fare breccia nel macellaio. Lo aveva radiografato subito.
Gran lavoratore Lugi Brambilla, ma con un tallone d’Achille, un punto debole: per avere quello che ora possedeva aveva dovuto sudare e faticare come aiuto garzone nella stessa macelleria che poi rilevato, insieme a sua moglie, dal vecchio signor Cagnazzi.
Dunque una vita di privazioni. Ora che aveva raggiunto una certa solidità economica, Luigi voleva provare il brividio del vizio e di tutto ciò che fino a quel momento gli era stato precluso.
Le prime sere aveva pure guadagnato qualcosa a vincendo a poker e a scopa, ma poi la fortuna aveva cominciato a voltargli le spalle.
Se al gioco non era più fortunato a consolarlo c’era lei, Anna, che gli alleviava le pene del giocatore sfortunato, facendogli vivere sensazioni che sua moglie Maria, donna timorata di Dio, gli negava.

***

“Tu sei pazzo? Sei un mostro” commentò Maria sgomenta di fronte alla proposta del marito.
Era sera e stavano cenando a casa, nel loro appartamento di via Maddalena.
Ormai ogni giorno non facevano che discutere della situazione in cui si erano ritrovati.
“Allora preparati a perdere tutto. Ci pignoreranno il negozio, ci porteranno via tutto. Senza il negozio non abbiamo altre entrate” aggiunse lui cercando di convincerla.
“Dimenticavo, c’è anche l’affitto di casa. Con quali soldi lo pagheremo? Non abbiamo più nulla” aggiunse con un tono arrogante.
Luigi al posto di mostrarsi pentito per quello che aveva fatto, trattava la moglie con disprezzo, quasi fosse lei la causa che lo aveva spinto ad una vita dissoluta.
“Ci sono i gioielli di mia mamma. Forse con quelli potremo tirare avanti” abbozzò Maria mortificata.
“Con quella robetta ci paghiamo forse un mese di affitto. Se non facciamo come dico io, devi essere disposta a vivere in strada. Quella è la fine che faremo. Dovremo cambiare quartiere, a meno che tu non voglia farti vedere dalle tue clienti in mezzo ad una strada a fare la questua”
“Qualcuno sarà disposto ad aiutarci!”
“Tu dici?! Ti ricordi quando avevamo bisogno di un prestito e nessuno ci ha voluto dare una mano? Adesso sarebbe anche peggio”
“Ma io non voglio fare del male a nessuno” piagnucolò lei.
“Tu non dovrai fare nulla, ci penserò io. Vedrai che sarà più facile di quello che credi.

E poi il Carlino è sempre bevuto. Non si ricorderà di nulla” fece lui, biascicando un pezzo di michetta del giorno prima, ormai rafferma.

***

Il giorno successivo in negozio la carne scarseggiava. Era rimasto del pollame, della polpa per bistecche, polmoni, interiora, nodini di vitello.
I clienti quel giorno di dicembre, freddo e piovoso, guardavano le vetrine della macelleria e tiravano avanti.

Era come se intorno al negozio di Luigi cominciasse a respirarsi aria di disgrazia.
Poco prima di mezzogiorno entrò, come quasi ogni giorno, Carlino.
Sessant’anni, vedovo da una decina, aveva ereditato da una vecchia zia due cascine nel lodigiano, due floride aziende agricole che gli garantivano ottime entrate, oltre a due appartamenti in via Broletto che aveva messo a frutto.

Carlino si era così assicurato la vecchiaia e non solo quella.
Aveva il vizio delle prostitute e del bere. Un tempo era stato un bell’uomo e forte del suo fascino, ci provava con tutte le donne del quartiere, sposate e non.

Un Don Giovanni alla milanese, amante del cibo e delle forme giunoniche.
Nonostante Maria non fosse né giunonica, né tantomeno appariscente, Carlino aveva un debole per quella donna sempre affabile e gentile, sorridente con i clienti. Nel quartiere si diceva che facesse anche lo strozzino.

Prestava soldi alla gente in difficoltà ed era spietato se qualcuno pensava di gabbarlo.
Girava voce che avesse un amico siciliano, che lavorava al mercato ortofrutticolo, al quale affidava il recupero dei crediti.
“Buongiorno Luigi, Buongiorno Maria” disse entrando nel negozio e guardandosi intorno con aria perplessa.
“Buongiorno signor Carlo” avevano risposto i coniugi Brambilla, scambiandosi uno sguardo d’intesa.
“Che cosa le posso dare oggi?” gli domandò Luigi più affabile del solito.
“Lugànega. Oggi voglio la vostra lugànega. Me la cucino col vino rosso” annunciò l’uomo, soddisfatto del proposito culinario del giorno.
Luigi fece un’espressione vagamente dispiaciuta.
“Non l’abbiamo ancora preparata. Se ha pazienza nel pomeriggio gliela facciamo trovare fresca come piace a lei” fece il macellaio accomodante.
Carlino bestemmiò.
“Venga nel pomeriggio, alla riapertura. Gliela do io, non appena finiamo di farla” si premurò di aggiungere Maria.

La donna sembrava a disagio.
“Ghe nient chi, ostia” sibilò Carlino riferendosi al bancone vuoto.
“Ricordati che oggi non ci sono tutto il pomeriggio e devi fare banco e cassa” aggiunse Luigi rivolgendosi alla moglie.
“Il signor Carlino può venire anche prima dell’apertura.

Io in pausa non mi muovo da qui” specificò Maria, con uno strano sorriso indirizzato all’uomo.
“Fai come vuoi. Io tra poco devo andare” aggiunse Lugi.
Quelle parole innescarono strani pensieri nella mente di Carlino.
Biascicò qualcosa e parve rabbonirsi. Fece spallucce.
“Allora vengo dopo pranzo” disse prima di congedarsi.

***

Maria era immobile, incapace di reagire. Accanto a lei c’era il bicchiere di grappa, ancora mezzo pieno. Carlino la sovrastava, tenendola forte per il collo con le sue grosse mani.
Lei era appoggiata al tavolaccio, con il freddo del piano di marmo che le faceva indurire i capezzoli dei seni schiacciati.
L’uomo, ubriaco, cercava, senza riuscirvi, di slacciarsi i pantaloni.

Le sue dita tozze sembravano incapaci di sfilare il bottone dall’asola. Stava lottando anche con la cintura, ma non voleva mollare la presa su Maria. L’idea di averla lì, nel retro negozio, disponibile a farsi montare, lo faceva impazzire.
Barcollava per l’alcool; per reggersi in piedi la schiacciava giù.
Maria aveva il fiato strozzato e digrignava i denti.

Nelle narici sentiva l’odore intenso del sangue e della carne che su quel tavolo veniva macellata.

I minuti parvero infiniti.
Alla fine riuscì a denudarsi e a prendersi in mano il pene. Maria lo sentì tra le natiche che premeva.
Poi un grugnito, rauco, animalesco, si levò alle sue spalle.

La donna provò una strana sensazione di umido sulle guance, come se avesse qualcosa di bagnato l’avesse toccata. Carlino lentamente abbandonò la presa, permettendole di tornare a respirare. Maria ansimava col fiato rotto, incredula più per la situazione nella quale si era ritrovata, che per il resto.

Era mezza nuda, i capelli scarmigliati, la gonna arrotolata sui fianchi, sgualcita, le mutande strappate.
Si voltò e rabbrividì. Carlino la guardava incredulo, tastandosi il collo con la mano destra, in un gesto frenetico. Aveva la bocca distorta in una smorfia di stupore e sgomento. Non poteva essere vero.
Era in piedi davanti a lei coni pantaloni abbassati, il cazzo semi turgido che penzolava.
Le dita della sua mano avevano incontrato, sgomente, il freddo acciaio della mannaia che Luigi, da dietro, gli aveva conficcato alla base del collo. Era stato un colpo netto, come quando c’era da tagliare l’osso dei nodini.

La lama era penetrata nella carne come se fosse burro. Il sangue era schizzato fuori, zampillando sulle guance piene della moglie del macellaio. Carlino non provò dolore nel sentire che la vita gli scivolava via nel retrobottega della macelleria dei coniugi Brambilla.
Almeno così parve a Maria che lo vide accasciarsi piano, in un rantolo osceno che durò pochi istanti.

***

“Ho dovuto farlo… Quel maiale schifoso ti voleva fare. Ha avuto quello che si meritava” sibilò Luigi stralunato, con gli occhi neri che sembravano uscirgli dalle orbite e un ghigno bieco che gli deformava il volto pacioso.

Carlino giaceva a terra morto con la esta quasi staccata dal collo, con il sangue che andava formando un lago scuro, denso e spesso.
“Dovevamo solo farlo bere! Adesso che cosa facciamo?!” strillò Maria portandosi le mani al viso.

Era disperata e inorridita.
Luigi per tutta risposta, osservando il cadavere con odio, vi sputò sopra in segno di disprezzo.
“Non startene impalata. Stasera andrò a ripulirgli la casa. E adesso diamoci da fare. Vai a mettere il cartello che oggi restiamo chiusi. Abbiamo tanto lavoro da fare- le ordinò il marito che fin dall’inizio aveva pensato di far fuori Carlino.
“Ci arresteranno…La polizia ci scoprirà, finiremo…”
“Taci e fai quello che ti dico- le urlò lui con aria spiritata.

In quel momento avrebbe potuto uccidere anche lei se non avesse obbedito.
Luigi aveva perso ogni freno inibitorio o remora morale.

Avrebbe portato a termine il suo folle progetto con la complicità della moglie. La donna non aveva alternativa.
Quel pomeriggio di dicembre la macelleria dei coniugi Brambilla al Verziere rimase chiusa anche se era un giorno della settimana. Nessuno ci fece caso, visto che ormai negli ultimi tempi nel negozio la carne scarseggiava.
Il cadavere del Carlino venne spogliato.

Maria ne avrebbe bruciato i vestiti nella stufa a carbone di casa la sera stessa, riducendoli in cenere. Una volta messo sul tavolaccio, nudo, senza più vita, il macellaio del Verziere provò uno strano piacere nell’avere a sua completa disposizione il corpo di un uomo che un tempo lo metteva in soggezione.
Per prima cosa volle evirarlo e castrarlo. Mise da parte i testicoli e il pene che avrebbe utilizzato successivamente.
Poi si dedicò con tutta la sua perizia al cadavere.

La dissezione richiese ore di lavoro. Andò avanti fino alle dieci di sera. Fu un’operazione bizzarra, ma istruttiva al tempo stesso. Per uno abituato alla macellazione di animali fu come provare qualcosa di nuovo, un nuovo campo di sperimentazione.
Non provò disgusto, ma procedette senza fretta, cercando di non buttare via nulla, esattamente come si faceva con la carne di maiale.
La sera stessa, dopo la mezzanotte, il macellaio si introdusse nell’appartamento dell’uomo che abitava in via Laghetto. Sapeva esattamente dove abitava perché in passato gli aveva consegnato la carne a casa.

Nessuno si accorse di lui. A quell’ora il quartiere era deserto. Frugò in tutta la casa e alla fine trovò quello che sperava: orologi, alcuni di valore, contanti e gioielli, per lo più ori. Probabilmente erano i preziosi che la gente gli dava in pegno. Setacciò la casa da cima a fondo.
Verso le tre del mattino, in silenzio, se ne andò.

Quando tornò a casa trovò Maria a letto che dormiva profondamente.

Dal giorno successivo la macelleria dei coniugi Brambilla riaprì e il bancone tornò lentamente a essere rifornito di carne. Quello che avevano in gran quantità era la luganega. Ce n’era tanta, a rotoli lunghissimi.

Aveva un aspetto chiaro, forse un po’ esangue, ma era fortemente profumata grazie all’ aglio, al pepe e al finocchietto che Luigi aveva abilmente dosato. Aveva poi aggiunto il brodo di carne, il Marsala e il grana padano per rendere perfetto l’impasto macinato.

In pochi giorni la esaurì tutta e alcuni dei clienti la ricomprarono più di una volta facendogli i complimenti per quanto era buona. Luigi sorrideva, ringraziandoli. Non poteva dire loro che l’ingrediente segreto era Carlino.

 

 

 

Itinerari sotterranei a Milano. Chiesa sotterranea della Santissima Trinità

Itinerari sotterranei a Milano. Chiesa sotterranea della Santissima Trinità

Chiesa sotterranea della Santissima Trinità

Ubicazione. Piazza San Sepolcro.

Mezzi pubblici. Linee tranviarie 2, 3, 12, 14, 16 e 27; metropolitana M1 (St. Cordusio).

Visita. A pagamento.

Contatti. Veneranda Biblioteca Ambrosiana, sito Internet: ambrosiana.net; Circuito di San Sepolcro, sito Internet: criptasansepolcromilano.it.

Visite guidate. Milanoguida, sito Internet: milanoguida.com.

La chiamano cripta, ma in realtà è una chiesa sotterranea la cui parte originaria si compone di ben cinque navate scandite da antiche colonne di reimpiego.

Siamo nell’area del Foro imperiale e sul retro della Pinacoteca Ambrosiana, in pratica davanti alla chiesa di San Sapolcro. Dismesso il complesso d’età romana e frazionato in tante proprietà, nel 1030 donna Ferlenda e il marito Benedetto Rozo (o Rozzone) vanno dal notaio e sanciscono con un atto giuridico «l’assegnazione di uno spazio del foro con queste parole: “Dono e offro al mio Signore e Creatore la chiesa avviata a costruzione sopra la mia proprietà; essa, collocata al completo nelle vicinanze della mia abitazione, sorge nel nome della Santa Trinità [etc. N.d.A.]”

Quattro anni dopo l’opera è costruita, consacrata e dalla carta di fondazione risulta architettata in tre distinti corpi posti su altrettanti livelli: «leggermente sotto il piano della piazza, una chiesa inferiore o sotterranea, il cui centro esprime un sepolcro simbolico, a ricordo della venerazione del santo sepolcro di Gerusalemme; a livello del suolo, una chiesa superiore, collocata sulle identiche linee di quella inferiore: essa si avvale di un’ampia aula, a tre navate, chiuse da un abside a forma di trifoglio, e si presenta molto varia per altari e cappelle, allineati su un percorso dedicato alla Passione di Gesù Cristo; a un terzo livello, un’ampia tribuna»

Sul finire dell’XI secolo il vescovo Anselmo IV da Bovisio intitola il complesso al “Santo Sepolcro”, per celebrare la conquista di Gerusalemme avvenuta nel 1099 durante la prima Crociata, ma in realtà abbiamo pur sempre due distinte chiese: San Sepolcro sopra e Santissima Trinità sotto.

Leonardo da Vinci ce ne ha lasciato le piante in uno dei codici fatti rubare da Napoleone Bonaparte e mai più restituiti all’Ambrosiana.

Nei secoli seguenti mutano in parte le architetture originarie «ma la chiesa sotterranea oggi conserva ancora l’impianto a cinque navate separate da esili colonne con capitelli, solo parzialmente alterato da interventi posteriori.

Si possono inoltre apprezzare le lastre di Rosso Ammonitico che ancora coprono buona parte del pavimento; in alcune di esse si notano chiaramente i solchi lasciati dalle ruote dei carri che percorsero l’area del Foro».

Attenzione, con il medesimo biglietto potete visitare anche l’area del Foro in via dell’Ambrosiana, segnalata in una scheda.

Tratto da Alla scoperta di Milano Sotterranea, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan, Newton Compton Editori, 2018

 

Itinerari sotterranei a Milano. I grandi collettori fognari

Itinerari sotterranei a Milano. I grandi collettori fognari

I grandi collettori fognari

 

I collettori fognari sotterranei e “monumentali” più interessanti per la loro architettura sono tre, situati al di sotto di piazza Geremia Bonomelli, via Giovanni Pacini e via Giuseppe Ponzio.

In questi ultimi trent’anni sono stati saltuariamente aperti al pubblico.

Ultimamente Metropolitana Milanese S.p.A., in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, ha organizzato visite guidate gratuite e generalmente nel Collettore Bonomelli nonché in alcuni impianti dell’Acquedotto Comunale.

Tenete quindi sott’occhio i relativi prossimi avvisi sul sito di MM.

 

Collettore Bonomelli

Ubicazione. Piazza Geremia Bonomelli.

Mezzi pubblici. Linee automobilistiche 34 e 97; metropolitana M2 (St. Brenta).

Visita. Occasionale, gratuita.

Contatti. Metropolitana Milanese S.p.A., sito Internet: metropolitanamilanese.it.

Il nodo idraulico si estende sotto l’omonima piazza a 9 metri di profondità, occupando una superficie di circa 2.250 metri quadrati. La sua costruzione è stata ultimata nel 1927 ed è in cemento armato, mattoni e granito.

Ci sono le scale d’accesso, i passaggi che permettono di controllare ogni singolo canale che confluisce nel collettore e un locale da cui si comandano le paratie per moderare i flussi: «Qui confluiscono i rami (destro e sinistro) del collettore di Nosedo per dare origine all’omonimo emissario e incrociano il canale Scaricatore al Cavo Redefossi»

Collettore Pacini

Ubicazione. Via Giovanni Pacini.

Mezzi pubblici. Linee tranviarie 23 e 33; linee filoviarie 90, 91 e 93; linee automobilistiche 39, 53, 54, 62, 75 e 81; metropolitana M2 (St. Piola e St. Lambrate).

Visita. Occasionale, gratuita.

Contatti. Metropolitana Milanese S.p.A., sito Internet: metropolitanamilanese.it.

Il manufatto di via Pacini è senz’altro il più elegante dal punto vista architettonico ed è stato realizzato tra il 1926 e il 1927 «in calcestruzzo con rivestimento in malta di cemento lisciata a ferro mentre i gradini della scala a chiocciola di accesso sono in granito»

Collettore Ponzio

Ubicazione. Via Giuseppe Ponzio.

Mezzi pubblici. Linee tranviarie 23 e 33; linee filoviarie 90, 91 e 93; linee automobilistiche 39, 53, 54, 62, 75 e 81; metropolitana M2 (St. Piola).

Visita. Occasionale, gratuita.

Contatti. Metropolitana Milanese S.p.A., sito Internet: www.metropolitanamilanese.it.

Costruito tra il 1925 e il 1926 il Collettore di Ampliamento Est «è dotato di un manufatto dove confluiscono anche i canali provenienti dalle vie Bonardi e Ponzio, per dare origine a un unico condotto.

La costruzione a pianta circolare è coperta con volta a sesto ribassato, suddivisa in otto spicchi terminanti con un cupolino centrale semisferico con foro di aerazione»

Tratto da Alla scoperta di Milano Sotterranea, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan, Newton Compton Editori, 2018

Le foto allegate sono di Beatrice Mancini

 

 

Accadde Domani. 21 giugno 1971. L’Assalto al Circolo Perini di Quarto Oggiaro

Accadde Domani. 21 giugno 1971. L’Assalto al Circolo Perini di Quarto Oggiaro

21 giugno 1971. L’Assalto al Circolo Perini di Quarto Oggiaro
L’episodio che però sancì l’inizio delle mie disavventure giudiziarie fu la cosiddetta aggressione al Circolo Perini, che ebbe a lungo l’onore della prima pagina.
Qualche giorno prima dei fatti fui avvisato di un dibattito sul fascismo che si sarebbe tenuto al circolo stesso. Me ne parlò Remo Casagrande, storico militante missino di Quarto Oggiaro, invitandomi ad andare insieme a lui e ad altri. Accettai, e il 21 giugno del 1971 ci recammo alla serata. Eravamo in tanti, ma non tutti avevano interesse ad ascoltare il dibattito e, come spesso succedeva, alcuni preferirono attendere fuori; qualcuno si spostò in un bar non lontano. Il circolo era chiaramente un luogo di aggregazione della sinistra, ma l’atmosfera era abbastanza tranquilla. Prendemmo posto all’interno della sala e partecipammo alla discussione. Si creò qualche scontro verbale, anche acceso, ma nulla che facesse presagire cosa sarebbe successo. Terminati i nostri interventi decidemmo di lasciare la sala. Qui accadde l’equivoco dal quale si scatenò ciò che poi sarebbe stato definito, impropriamente, l’assalto al circolo. Nello stesso momento in cui uscivamo, i camerati che erano rimasti fuori si stavano avvicinando al circolo. Se non ricordo male stavano cantando e facendo un po’ di confusione. La persona addetta agli ingressi, vedendoli arrivare in gruppo – saranno stati una trentina -, si affrettò a chiudere il portone per non farli entrare. Posso comprendere la sua paura, anche se non c’erano intenzioni violente da parte loro. Ma nello stesso tempo i camerati che sopraggiungevano, vedendo che ci veniva impedito di uscire, equivocarono e pensarono ad una trappola tesa nei nostri confronti. A quel punto le cose trascesero e scoppiò il finimondo.
Giancarlo Rognoni, Ippolito Edmondo Ferrario, La Fenice. Una testimonianza del neofascismo milanese, Ritter Edizioni.

La Fenice. Da oggi in libreria

La Fenice. Da oggi in libreria

La Fenice. Una testimonianza del neofascismo milanese

Un libro di Giancarlo Rognoni e Ippolito Edmondo Ferrario, Ritter Edizioni

“In quegli anni la militanza ci imponeva di misurarci quotidianamente con
situazioni di violenza fisica, perché la violenza era all’ordine del giorno. Lo
scontro fisico, lieve o pesante che fosse, era la normalità per chi faceva politica.
Rappresentando una minoranza, noi neofascisti avevamo la vita non facile.
Più volte durante le manifestazioni partecipammo ad aspri scontri, ma i problemi
non si limitavano a queste situazioni. Si diventava dei possibili bersagli
dal momento in cui si usciva di casa fino a quando non si rientrava.
Fu quindi necessario attrezzarci per sopravvivere. È un dato evidente che
la cosiddetta “caccia al fascista” era una pratica abitualmente perpetrata a cominciare
dalle scuole e nelle strade. Di conseguenza ci organizzammo per
rispondere a questa violenza con altrettanta violenza”.

G.Rognoni

Ritter Editore, 2020
168 pagine + 16 di foto a colori
20 euro
www.ritteredizioni.com