La ricetta originale del brodetto di pesce de L’assassino di via Amedei a Milano

La ricetta originale del brodetto di pesce de L’assassino di via Amedei a Milano

La ricetta originale del brodetto di pesce de L’assassino di via Amedei a Milano

Per tutti coloro che non hanno avuto la fortuna di poter cenare almeno una volta presso il ristorante L’Assassino di via Amedei, un cult della cucina toscana a Milano, magistralmente diretto da Ottavio Gori e Lino Morganti, oggi c’è una sorpresa.

Proprio questa sera mi è giunta la ricetta originale, direttamente dalla famiglia Morganti-Natalini, di quel leggendario brodetto di pesce che lì si poteva gustare e che tanto ama il banchiere di Milano. In ogni romanzo mi rendo conto che Raoul Sforza non perde occasione di citarla.

Eccola qui di seguito:

Brodetto di scampi e calamari:

Ingredienti

(per 4 persone, il piatto secondo la dose, può essere consumato come antipasto oppure come secondo)

-Circa 500 grammi di scampi e calamari

-Olio extravergine di oliva, aglio, prezzemolo e un cucchiaio di farina, sale.

-Qualche vongola

-Pane toscano a fette

Preparazione:

Mettere scampi e calamari a crudo in una padella con olio, prezzemolo (tritato fine), uno spicchio d’aglio agghiacciato e il cucchiaio di farina; si mescola mantenendo il fuoco medio;

si aggiunga l’acqua delle vongole che precedentemente sono state messe in una casseruola a cuocere;

lasciar bollire per 3 o 4 minuti a fuoco moderato;

servire con i crostini o con fette di pane toscano tostate.

(Nella foto lo chef Cesare Marchigiani mostra la sua creazione. Nell’altra immagine, festa di Natale, 1988. Giorno di chiusura per L’Assassino, ma al suo interno quel giorno festeggiarono tutti insieme tutta la squadra e lo staff dirigenziale del Milan che all’epoca erano di casa presso il ristorante. Per gentile concessione di Giuseppe Natalini)

 

 

Quella straordinaria piadina riccionese in via Taramelli a Milano

Quella straordinaria piadina riccionese in via Taramelli a Milano

Con la nostalgia non si va da nessuna parte, ma a volte capita di fermarsi per ricordare ciò che è stato e che abbiamo avuto la fortuna di conoscere personalmente.

Milano è cambiata anche a tavola.

La ristorazione milanese è un qualcosa in continua evoluzione e non spetta al sottoscritto giudicarne gli aspetti positivi o negativi, perlomeno non qui.

Semplicemente mi piace ricordare, di tanto in tanto, locali e persone che ho frequentato, seppur molti anni fa, e che mi sono rimasti nel cuore.

Erano i primi anni Novanta e ancora, in certe sere di autunno inoltrato, la nebbia calava su Milano tanto inesorabile quanto fitta a tal punto da rendere perfino affascinante e a tratti misteriosa una strada come via Taramelli.

Dietro a delle anonime vetrine illuminate, nascoste da tendaggi che da fuori non lasciavano intravedere nulla, si celava un ristorante che ha scaldato il cuore a generazioni di milanesi.

All’ingresso c’era sempre lui, Giuliano, ad accoglierti, uno dei tre fratelli Metalli, al secolo Gino e Tonino, che proprio lì avevano aperto nel 1950 il primo ristorante di pesce a Milano.

Giuliano, volto scavato, sguardo intenso e battuta sempre pronta, ti metteva sempre a tuo agio con la sua parlata romagnola e la sua schiettezza. Sempre impeccabile, era un padrone di casa di quelli memorabili che non mancava, con gli amici, di sedersi al tavolo a chiacchierare.

Questo era il ristorante “A Riccione”, un’istituzione a Milano, ma che per me era soprattutto un luogo famigliare, un locale in cui ho trascorso tanti sabato sera in famiglia.

All’epoca poter mangiare un’ autentica piadina riccionese a Milano non era affatto semplice (a dire il vero anche oggi…), ma  in via Taramelli la piadina non mancava, anche se era destinata ad accompagnare le meravigliose portate di pesce che venivano proposte.

Penso ad esempio a quei filetti di sogliola serviti tiepidi e marinati con una punta d’aceto che non ho più avuto occasione di mangiare o ancora agli spiedini di pesce o al fritto chiamato “nuvola” per la sua estrema leggerezza.

Chissà se leggendo queste righe qualcuno si ricorderà dei camerieri che lavoravano nel locale.

Non posso non ricordare Davide e Angelo, nelle loro livree bianche o verdi, che erano sempre al nostro tavolo e che conoscevano perfettamente le abitudini di noi affezionati clienti.

Ai tavoli di questo magnifico ristorante si sono seduti tantissimi personaggi, volti noti del cinema, del mondo della cultura, dello spettacolo e dello sport, ma non erano ancora i tempi in cui a Milano c’erano locali alla moda.

“A Riccione” si andava per mangiare il migliore pesce di Milano e per vivere la più autentica e genuina atmosfera romagnola, seppur con grande eleganza.

Ricordo che tra gli “aficionados” c’erano lo stilista Ottavio Missoni  e con lui il mitico  giornalista Gianni Brera che capitanava il cosiddetto “tavolo degli sportivi” del giovedì sera.

I ricordi sono tanti, ma una cosa è certa.

Milano certamente era meno bella forse, meno internazionale, meno ricca di attrattive, ma per certi aspetti era molto più umana e più viva di quanto voglia apparire oggi.

(La foto che ritrae l’attore Charlie Chaplin con lo staff del ristorante “A Riccione” è tratta dall’articolo https://www.famijarciunesa.org/charlie-chaplin-al-ristorante-a-riccione-a-milano/ che propone una delle poche immagini storiche disponibili del ristorante)

 

 

 

 

Itinerari sotterranei a Milano. Putridarium del santuario di San Bernardino alle Ossa

Itinerari sotterranei a Milano. Putridarium del santuario di San Bernardino alle Ossa

Putridarium del santuario di San Bernardino alle Ossa

Ubicazione. Piazza Santo Stefano.

Mezzi pubblici. Linee tranviarie 12, 15, 23 e 27; linee automobilistiche 54, 60 e 84; metropolitane M1 (St. Duomo) e M3 (St. Duomo).

Visita. Aperti al pubblico solo il santuario e la cappella dell’ossario.

Contatti. Santuario di San Bernardino alle Ossa, sito Internet: sanbernardinoalleossa.it.

Si tratta di un particolare sepolcreto ipogeo forse risalente al XII secolo, situato al centro dell’ottagono che compone la parte principale e monumentale del soprastante Santuario di San Bernardino alle Ossa, edificio d’epoca successiva orientato lungo gli assi cardinali con ingresso a sud.

L’accesso al putridarium è chiuso da una grande grata a pavimento in ferro e ottone in cui campeggia la scritta: «novo hoc templo / ad satisfaciendum / comm. erga defunctos implorantes / s. bernardini sodales / novum hoc sepulcrum sibi et posteris suis / p.p. anno domini mdccliv».

Una ripida e stretta scala in muratura di dieci scalini conduce all’aula sotterranea (5 x 6 metri circa) di cinque lati, la cui geometria pentagonale irregolare è stata dettata dalla presenza di una parete preesistente in posizione nord ovest.

La volta a botte di laterizi ha le arcate posizionate lungo le pareti est e ovest e il cervello di volta è posto al centro dello sviluppo longitudinale, mentre un arco trasversale di sostegno si trova nel punto d’ingresso.

Lungo i lati abbiamo ventuno nicchie in muratura dove sono alloggiate le sedute in lastre di cotto per la decomposizione dei corpi.

Hanno una doppia inclinazione su sedile e schienale, tutte uguali, con foro al centro di convergenza e la sezione della seduta è di tipo circolare, in pianta e in alzato, per favorire la raccolta dei liquidi verso il deflusso; il sistema di scolo ne prevede la raccolta, l’incanalamento e lo smaltimento.

La raccolta avviene dai sedili che, data la loro inclinazione, raccolgono i liquami in bocche quadrangolari poste, come detto, sul fondo delle sedute.

L’incanalamento avviene attraverso piccole condotte in cotto che sbucano sul piano di calpestio alla base dei sedili stessi. Il pavimento della sala ha le pendenze che dai lati convergono in un unico punto in cui si apre un pozzetto circolare la cui funzione era lo smaltimento.

In un momento successivo sulla sua bocca è stato posto un grande prisma modanato di granito, la cui base presenta quattro piccole aperture passanti che permettevano il deflusso dei liquidi nella sottostante cavità.

Su di un lato è incisa una data (1764?) ed è sormontato da una piccola croce di ferro.

Lo studio è stato condotto nel maggio del 2010 grazie alla disponibilità di Monsignor Gianni Zappa e le operazioni di rilievo sono state dirette dall’architetto-speleologo Roberto Basilico, dell’Associazione S.C.A.M.-F.N.C.A.

Dal santuario un corridoio conduce all’attigua Cappella dell’Ossario il cui apparato decorativo è costituito da teschi e ossa.

Il complesso è interessante sia perché si tratta d’architetture del passato non usuali sia perché comunicano un particolare approccio all’unica certezza che abbiamo in vita, quella della morte.

Taluni colgono il solo aspetto diciamo “sensazionalistico” o, superficialmente, quello definito “macabro” della cappella e del putridarium, forse senza interpretare con la necessaria riflessione il messaggio che ancora oggi sono in grado di trasmetterci.

Non neghiamo che la fretta non solo “meneghina” tende ad accantonate taluni aspetti del vivere quotidiano, ignorandoli e quindi non meditandoli per tempo.

Tratto da Alla scoperta di Milano Sotterranea, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan, Newton Compton Editori, 2018

 

 

Itinerari sotterranei a Milano. Rifugio antiaereo N. 56

Itinerari sotterranei a Milano. Rifugio antiaereo N. 56

Rifugio antiaereo N. 56

Ubicazione. Piazza Giuseppe Grandi.

Mezzi pubblici. Linea tranviaria 27; linee filoviarie 90, 91 e 93; linee automobilistiche 45, 62 e 66.

Visita. Occasionalmente aperto al pubblico.

Contatti. Comune di Milano, sito Internet: comune.milano.it.

L’anno seguente, nel 1936, è ultimato il rifugio di Piazza Grandi, progettato dall’Ufficio Tecnico del Comune di Milano e realizzato in fase con la soprastante fontana monumentale.

Tanto la piazza quanto la fontana sono dedicati all’architetto Giuseppe Grandi, esponente della Scapigliatura milanese, noto per avere progettato il monumento alle Cinque Giornate e di cui si parlerà più avanti perché al di sotto è stato ricavato il rifugio pubblico N. 8.

La fontana è composta da una vasca rettangolare in pietra chiara, in un angolo sovrastata da una torre anch’essa in pietra dalla cui sommità sgorga a cascata l’acqua.

Nel corso dei decenni si è formata una pronunciata concrezione calcarea, ricoperta da muschio verdissimo, che si è deciso di mantenere in quanto rafforza il significato stesso della natura rigogliosa e prorompente.

L’angolo opposto è occupato da una statua in bronzo, l’uomo proteso verso lo specchio che simboleggia lo stupore innanzi alla bellezza della natura che dona il prezioso liquido.

Il rifugio, o meglio il bunker in cemento armato, doveva essere segreto e la fontana aveva innanzitutto la funzione di “mascherarlo”.

La sua destinazione ci è ignota, ma in ogni caso non venne mai ultimato nei dettagli, rimanendo privo dei portelloni metallici e dell’impianto di ventilazione, filtrazione e rigenerazione dell’aria.

Con l’inizio della guerra è destinato a rifugio pubblico e identificato con il N. 56.

Ha la pianta rettangolare di 23 x 17 metri; l’interno è diviso in 23 “celle” di cui le sole sei centrali adibite a rifugio vero e proprio, per una capienza complessiva di 450 persone.

In una scheda compilata dal Comune di Milano in tempo di guerra si legge che aveva una capacità inferiore, ovvero di 430 persone, ed era considerato «Ambiente popolare».

Curiosamente, pur rimanendo sotto una fontana, non era dotato di acqua potabile corrente.

Eppure se lo visitate vedrete che in ben quattro punti le scritte d’epoca indicano: «acqua potabile» in prossimità di ganci metallici infissi nelle pareti.

Grazie anche alle testimonianze di chi lo utilizzò, sappiamo che ai ganci erano appesi secchi metallici pieni d’acqua e accanto erano assicurate con un cordino le tazze di metallo smaltato con cui attingere e bere.

A seguito del restauro progettato e diretto dall’architetto del Comune di Milano Alfredo Bonfanti, lunedì 27 febbraio 2017 fontana e rifugio sono stati inaugurati.

I locali sotterranei sono stati ripuliti mantenendo le numerose scritte d’epoca in vernice nera.

L’impianto d’illuminazione, pur non essendo quello d’epoca in quanto asportato a fine guerra, svolge egregiamente la propria funzione.

Non è “invasivo” e con discrezione ricalca in parte il tracciato originario su cavetti metallici, alimentando numerosi faretti dotati di sensori di movimento che illuminano solo gli ambienti percorsi dai visitatori.

L’intento è di aprire a scadenze fisse questo impianto, eccezionale per la sua originale costruzione e collocazione.

Tratto da Alla scoperta di Milano Sotterranea, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan, Newton Compton Editori, 2018

 

 

Itinerari sotterranei a Milano. “Complesso delle Pompe di Sollevamento – Casamatta Celestino”

Itinerari sotterranei a Milano. “Complesso delle Pompe di Sollevamento – Casamatta Celestino”

“Complesso delle Pompe di Sollevamento – Casamatta Celestino”

Ubicazione. Castello Sforzesco.

Non visitabile. Si tratta dei tratti più interessanti dei sotterranei del Castello comprendente la cosiddetta Galleria dei Cavalieri, ritenuto vero e proprio passaggio segreto.

Eravamo rimasti alla “Galleria dei Tenaci” e davanti a una bella tamponatura recente.

Oltre si sviluppava un intricato complesso di cunicoli, gallerie e casematte e di cu se n’è conservata una buona parte. Ma partiamo dall’inizio dicendo che il “Complesso delle Pompe di Sollevamento” è composto da più opere situate su livelli differenti e parzialmente interessate dalla costruzione dell’impianto fognario nel 1960.

Questo raccoglie in una moderna grande vasca di cemento armato le acque reflue provenienti dal Castello e mediante apposite pompe le convoglia in una condotta fognaria, ma unendole alle acque provenienti dal laghetto di Parco Sempione.

Ad un primo livello abbiamo la “Stanza della Chiusa”, opera quattrocentesca perfettamente conservata, a pianta rettangolare, mattoni a vista e volta a botte.

A pavimento vi sono le lastre di granito che riquadrano l’accesso al sottostante “Cunicolo delle Conchiglie II” e la guida sempre in granito attraverso cui calare la saracinesca.

Analogamente al “Cunicolo delle Conchiglie I” era un condotto segreto attraverso il quale veniva garantito il continuo flusso d’acqua per alimentare sia il fossato interno sia il “Fossato Morto” di Piazza d’Armi anche qualora, in caso d’assedio, i canali a vista fossero stati interrotti. Entrambi i cunicoli passavano al di sotto dell’interrato fossato esterno destinato a proteggere la Ghirlanda.

La “Casamatta Celestino” è composta da una galleria le cui estremità sono murate, ma verso est una rampa doveva connetterla alla soprastante “Galleria delle Postazioni” e verso ovest scendeva di quota attraversando un portale in mattoni, murato, per raggiungere un livello inferiore ad oggi inesplorato.

Una parte della galleria s’allarga per lasciare spazio a una postazione d’artiglieria, la casamatta per l’appunto, che ha subìto in antico una riduzione della feritoia.

Al di sotto sbuca il condotto sotterraneo che consente il deflusso delle acque del laghetto verso la fognatura.

Il livello inferiore del complesso è costituito da un tratto di galleria con volta a sesto ribassato, alta circa 3,5 metri, che abbiamo battezzato “Galleria dei Cavalieri”, oggi utilizzata per lo scarico delle acque reflue.

Di certo non vi transitavano i cavalieri a cavallo, ma essendo l’opera più profonda dell’intero complesso sotterraneo ad oggi esplorato supponiamo che fosse parte se non del favoleggiato passaggio segreto che conduceva a Santa Maria alle Grazie, almeno di un altro.

Difatti la galleria, giunta in prossimità della “Casamatta Celestino”, scendeva repentinamente e questo ce lo dicono le tracce dell’imposta di volta superstiti perché la parte restante è stata interessata dalla costruzione della menzionata vasca di cemento armato.

Secondo i nostri calcoli transitava al di sotto della sopra citata casamatta e quindi anche sotto l’antistante fossato.

L’altezza della galleria può essere giustificata dal fatto che poteva marciarvi una scorta armata con le alabarde in resta, forse quella del Duca o d’altro personaggio importante, autorizzato a percorrere il passaggio segreto.

Tratto da Alla scoperta di Milano Sotterranea, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan, Newton Compton Editori, 2018

 

Itinerari sotterranei a Milano. Cripta della chiesa di San Fedele

Itinerari sotterranei a Milano. Cripta della chiesa di San Fedele

Cripta della chiesa di San Fedele

Ubicazione. Piazza San Fedele n. 4.

Mezzi pubblici. Linee tranviarie 1 e 12; metropolitana M1 (St. Duomo) e M3 (St. Duomo).

Visita. A pagamento.

Contatti. Parrocchia San Fedele, siti Internet: centrosanfedele.net, parrocchiasanfedele.gesuiti.it.

Visite guidate. Visite guidate a cura del Museo, sito Internet: sanfedeleartefede.it.

Chiesa dei Gesuiti costruita nella seconda metà del XVI secolo, è situata sul sedime della più antica chiesa di Santa Maria in Solariolo o Solario «poiché sorta accanto ad una casa solariata, cioè il tradizionale edificio medioevale di area padana, con al piano inferiore a portici e al piano superiore una sala con funzioni pubbliche» (Sito Internet: lombardiabeniculturali.it.).

La cripta, unitamente alla chiesa, sono state recentemente restaurate; all’interno vi è un percorso artistico, religioso e storico attraverso la sacrestia, la così detta “Cappella delle Ballerine”, la cripta e il Museo dei dipinti e dei reliquiari, le cui opere più antiche risalgono al XIV secolo.

Scrive Antonio Cassi Ramelli: «Chi discende la scaletta del Convento dei Minoriti viennesi, trasecola nel sentire che le spoglie dei Grandi di Casa d’Austria non si conservavano intere e che l’usanza di riserbare al corpo, ai visceri e al cuore, distinto ricovero e diverso riposo, abbia potuto perpetuarsi tanto a lungo.

E pochi sospettano che il solo cuore di Maria Carolina, figlia dell’arciduca Ranieri, (l’“idiota di turno” secondo i suoi sudditi e vicerè di Lombardia dal 1818 al 1856), nata a Milano il 6 febbraio 1821 e morta a Vienna il 23 gennaio 1842, sia conservato in una teca d’argento dentro la cripta di S. Fedele».

Tratto da Alla scoperta di Milano Sotterranea, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan, Newton Compton Editori, 2018