La chiamano cripta, ma in realtà è una chiesa sotterranea la cui parte originaria si compone di ben cinque navate scandite da antiche colonne di reimpiego.
Siamo nell’area del Foro imperiale e sul retro della Pinacoteca Ambrosiana, in pratica davanti alla chiesa di San Sapolcro. Dismesso il complesso d’età romana e frazionato in tante proprietà, nel 1030 donna Ferlenda e il marito Benedetto Rozo (o Rozzone) vanno dal notaio e sanciscono con un atto giuridico «l’assegnazione di uno spazio del foro con queste parole: “Dono e offro al mio Signore e Creatore la chiesa avviata a costruzione sopra la mia proprietà; essa, collocata al completo nelle vicinanze della mia abitazione, sorge nel nome della Santa Trinità [etc. N.d.A.]”
Quattro anni dopo l’opera è costruita, consacrata e dalla carta di fondazione risulta architettata in tre distinti corpi posti su altrettanti livelli: «leggermente sotto il piano della piazza, una chiesa inferiore o sotterranea, il cui centro esprime un sepolcro simbolico, a ricordo della venerazione del santo sepolcro di Gerusalemme; a livello del suolo, una chiesa superiore, collocata sulle identiche linee di quella inferiore: essa si avvale di un’ampia aula, a tre navate, chiuse da un abside a forma di trifoglio, e si presenta molto varia per altari e cappelle, allineati su un percorso dedicato alla Passione di Gesù Cristo; a un terzo livello, un’ampia tribuna»
Sul finire dell’XI secolo il vescovo Anselmo IV da Bovisio intitola il complesso al “Santo Sepolcro”, per celebrare la conquista di Gerusalemme avvenuta nel 1099 durante la prima Crociata, ma in realtà abbiamo pur sempre due distinte chiese: San Sepolcro sopra e Santissima Trinità sotto.
Leonardo da Vinci ce ne ha lasciato le piante in uno dei codici fatti rubare da Napoleone Bonaparte e mai più restituiti all’Ambrosiana.
Nei secoli seguenti mutano in parte le architetture originarie «ma la chiesa sotterranea oggi conserva ancora l’impianto a cinque navate separate da esili colonne con capitelli, solo parzialmente alterato da interventi posteriori.
Si possono inoltre apprezzare le lastre di Rosso Ammonitico che ancora coprono buona parte del pavimento; in alcune di esse si notano chiaramente i solchi lasciati dalle ruote dei carri che percorsero l’area del Foro».
Attenzione, con il medesimo biglietto potete visitare anche l’area del Foro in via dell’Ambrosiana, segnalata in una scheda.
Tratto da Alla scoperta di Milano Sotterranea, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan, Newton Compton Editori, 2018
I collettori fognari sotterranei e “monumentali” più interessanti per la loro architettura sono tre, situati al di sotto di piazza Geremia Bonomelli, via Giovanni Pacini e via Giuseppe Ponzio.
In questi ultimi trent’anni sono stati saltuariamente aperti al pubblico.
Ultimamente Metropolitana Milanese S.p.A., in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, ha organizzato visite guidate gratuite e generalmente nel Collettore Bonomelli nonché in alcuni impianti dell’Acquedotto Comunale.
Tenete quindi sott’occhio i relativi prossimi avvisi sul sito di MM.
Il nodo idraulico si estende sotto l’omonima piazza a 9 metri di profondità, occupando una superficie di circa 2.250 metri quadrati. La sua costruzione è stata ultimata nel 1927 ed è in cemento armato, mattoni e granito.
Ci sono le scale d’accesso, i passaggi che permettono di controllare ogni singolo canale che confluisce nel collettore e un locale da cui si comandano le paratie per moderare i flussi: «Qui confluiscono i rami (destro e sinistro) del collettore di Nosedo per dare origine all’omonimo emissario e incrociano il canale Scaricatore al Cavo Redefossi»
Collettore Pacini
Ubicazione. Via Giovanni Pacini.
Mezzi pubblici. Linee tranviarie 23 e 33; linee filoviarie 90, 91 e 93; linee automobilistiche 39, 53, 54, 62, 75 e 81; metropolitana M2 (St. Piola e St. Lambrate).
Il manufatto di via Pacini è senz’altro il più elegante dal punto vista architettonico ed è stato realizzato tra il 1926 e il 1927 «in calcestruzzo con rivestimento in malta di cemento lisciata a ferro mentre i gradini della scala a chiocciola di accesso sono in granito»
Collettore Ponzio
Ubicazione. Via Giuseppe Ponzio.
Mezzi pubblici. Linee tranviarie 23 e 33; linee filoviarie 90, 91 e 93; linee automobilistiche 39, 53, 54, 62, 75 e 81; metropolitana M2 (St. Piola).
Costruito tra il 1925 e il 1926 il Collettore di Ampliamento Est «è dotato di un manufatto dove confluiscono anche i canali provenienti dalle vie Bonardi e Ponzio, per dare origine a un unico condotto.
La costruzione a pianta circolare è coperta con volta a sesto ribassato, suddivisa in otto spicchi terminanti con un cupolino centrale semisferico con foro di aerazione»
Tratto da Alla scoperta di Milano Sotterranea, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan, Newton Compton Editori, 2018
Mezzi pubblici. Linea tranviaria 2; linee filoviarie 90 e 91; passante ferroviario (St. Lancetti).
Visita. Su prenotazione.
Contatti. Scuola primaria “Giacomo Leopardi”, sito Internet: icmaffucci.gov.it.
Questo rifugio antiaereo è “legato” alla figura del regista, sceneggiatore e scrittore Ermanno Olmi.
Nato a Treviglio il 24 luglio 1931, all’entrata in guerra del Regno d’Italia Olmi aveva da poco compiuto 9 anni.
All’epoca dei fatti abitava a Milano, nel popolare quartiere della Bovisa, situato a nord.
Racconta dei primi lavori per la protezione dei civili, con «l’ordinanza di sgomberare le cantine: si dovevano costruire i rifugi in caso di guerra», e scrivendolo nelle prime pagine del suo romanzo, Ragazzo della Bovisa (Ermanno Olmi, Ragazzo della Bovisa, Arnoldo Mondadori Editore, ristampa, Milano 2004.).
Seguono le pagine sui primi bombardamenti, la paura di andare a rifugiarsi nella cantina non ancora puntellata e delle strisce di carta incollate ai vetri delle finestre, per evitare che gli scoppi le mandassero in frantumi dentro casa.
Nel settembre del 1940 le lezioni riprendono dopo le vacanze estive e gli alunni della scuola elementare Rosa Maltoni Mussolini, situata nell’allora Via Calabria e oggi Viale Luigi Bodio, al civico 22, partecipano alle prime esercitazioni in caso d’attacco aereo.
Sono fatti scendere nelle cantine e il maestro di ginnastica «nel buio della cantina tutta puntellata di travi di sostegno, spiegava a gruppi di classi l’uso della maschera antigas».
Inaugurata nel 1929, la scuola è un bell’edificio a ferro di cavallo, con le aule spaziose e gli alti soffitti; all’interno lascia un vasto cortile dove gli alunni possono giocare, mentre il fronte aperto su strada è occupato da sue cancellate che fungono da passo carraio e un basso corpo di fabbrica adibito a palestra.
In cima campeggia ancora lo stemma regio e durante la guerra avevano piazzato accanto una sirena d’allarme.
La scuola ha cambiato nome dopo la guerra ed ora si chiama Primaria Giacomo Leopardi.
A partire dal 1940 e per tutta la durata della Seconda Guerra Mondiale i locali sotterranei dell’edificio sono stati in parte utilizzati come rifugio antiaereo ad uso pubblico.
Il Comune di Milano aveva disposto il rinforzo delle volte di alcuni ambienti con legname e aveva fatto collocare panche e seggiole affinché i ricoverati vi attendessero, con un minimo di comodità, il “cessato allarme aereo”.
La scheda catastale d’epoca c’informa che il rifugio aveva una superficie di 220 metri quadrati, una capacità di 450 persone, era suddiviso in dieci “celle”, era dotato di due gabinetti “alla turca” e un rubinetto erogante l’acqua potabile.
I locali sotterranei del complesso sono oggi meta di visite guidate per gli alunni, per gli studenti di altre scuole e per coloro i quali desiderano riscoprire un frammento del passato milanese.
Ed è proprio la Preside, prof. Laura Barbirato, a parlarcene nel libro La Bovisa e la sua scuola:
Il Rifugio Antiaereo N° 87 si può ancora visitare ed è effettivamente divenuto “museo di sé stesso”.
All’interno vi è una mostra permanente sui rifugi antiaerei di Milano e il regista Cesare Gallarini manda in scena lo spettacolo teatrale scritto e diretto da lui stesso: «256 secondi, piovono bombe! “Ai bambini uccisi dalla guerra, nelle loro scuole, con i loro maestri”».
Tratto da Alla scoperta di Milano Sotterranea, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan, Newton Compton Editori, 2018
Da oggi disponibile, in prevendita e in offerta limitata, su ferrogallico.it: spedizioni entro il 31 luglio.
In distribuzione libraria, invece, dopo l’estate…
Sudafrica. Oggi. Località nei pressi di Pretoria. Italo, classe 1944, sta trascorrendo una serata nella propria farm, in compagnia della famiglia e di Giorgio, suo vecchio amico… ben presto, la conversazione finisce sull’ennesima aggressione, feroce, subita da farmer bianchi e sul clima di terrore e di violenza a cui sono sottoposti. Improvvisamente, la corrente elettrica viene interrotta. Rumori provengono dall’esterno della casa. I due uomini si preparano al peggio… in loro, l’istinto è ancora quello di una volta; gli amici sono pronti ad affrontare l’ennesima sfida, forse l’ultima. In un lampo, nella mente di Italo riaffiorano i ricordi dei giorni del suo arrivo in Africa… Prima metà degli anni Sessanta, la guerra civile sconvolge l’ex Congo belga. Migliaia di uomini, donne e bambini vengono massacrati. Il Paese è sull’orlo del baratro, impotente di fronte alla guerra civile. Nessuno sembra in grado di respingere questo orrore. Ad un certo punto, arrivano loro. Per molti, sono semplici avventurieri. Per altri, sono reduci sconfitti di guerre passate o assassini al soldo del migliore offerente. In patria, li chiamano “mercenari”. Per i loro nemici, diventano, semplicemente “les affreux”. I terribili.
Soggetto e sceneggiatura di Ippolito Edmondo Ferrario, disegni di Stefano Mazzotti. Con i contributi extra di Franco Nerozzi (“Les affreux. Trent’anni dopo”: un lungo ricordo personale fatto di immagini e parole) e di Alberto Palladino (con uno scritto sulla storia e sulla situazione attuale del Sudafrica, con le foto di Davide Di Stefano).
Sabato 25 maggio 2019 alle ore 18.30 presso la Libreria Feltrinelli di piazza Duomo a Milano Gianluca Padovan e Ippolito Edmondo Ferrario sveleranno i retroscena che si celano dietro la stesura del noir speleologico “La Gorgone di Milano” (Fratelli Frilli Editori). Non mancate.