L’agonia della falena. Un’indagine del commissario Scichilone.

 

Dopo anni di assenza dal mondo dei libri nelle vesti di lettore (durante i quali ho ascoltato e riascoltato i romanzi di Umberto Eco e di Valerio Evangelisti), mi sono ritrovato immerso nuovamente nella lettura cartacea, in maniera spasmodica e incontrollata.
Due sono stati gli elementi che mi hanno portato a immergermi in un libro nuovo e a non riuscire a distaccarmene fino alla fine: l’estremo Ponente Ligure e Roberto Negro.
Negro lo conosco personalmente da molto tempo in qualità di noto e affermato autore di noir ambientati nella sua città d’adozione, Ventimiglia; nonostante ciò non avevo mai letto la sua serie di romanzi con protagonista il commissario Vittorio Scichilone.
Un motivo vero e proprio per questa mia mancanza di interesse non c’è mai stato, fino a quando, dopo essermi rivisto di recente con Roberto, incuriosito dal suo ultimo libro, ho deciso di leggerlo.
L’agonia della falena. Un’indagine del commissario Scichilone (Fratelli Frilli Editori) è il tredicesimo capitolo di una saga longeva e di successo.
Un giorno e mezzo di lettura, intervallata dalla ritualità della spiaggia, per calarmi nella quotidianità di Vittorio Scichilone e rimanerne coinvolto, se non invischiato.
Terminato il romanzo, ho provato una sensazione di malessere che per il sottoscritto è indice di qualità: quando un libro lascia il lettore indifferente o distratto, per l’autore di turno si prospetta una sconfitta. In questo caso non c’è posto per l’apatia o per la noia.
Al di là dell’efferatezza delle situazioni descritte, la figura del protagonista è un formidabile motore trainante di tutta la storia.
Il commissario Scichilone non scimmiotta altri personaggi che ritroviamo nell’attuale panorama del noir italiano, non è l’ennesimo clone di un Montalbano, ma un poliziotto reale, forse anche troppo.
Roberto Negro non si è dovuto inventare nulla perché lui stesso ha lavorato nella Polizia di Stato a Ventimiglia, e non solo, per anni e il mestiere lo conosce meglio di chiunque altro.
Non c’è spazio per la finzione, né per la fantasia: la vicenda narrata è un viaggio, angosciante, nella psiche umana, là dove si annidano incubi e mostri, gli stessi che popolano la cronaca nera.
La vita di Scichilone, come dicevo, è intrisa di frustrazioni, scandita da problemi personali e sentimentali e proprio per questo non si può e non si riesce a non provare fin da subito empatia, a non calarsi nei suoi panni perché le sue debolezze lo rendono vero e soprattutto umano.
Nelle descrizioni asciutte, ma puntuali, Roberto ci regala uno spaccato della questura, della vita di chi è preposto a un lavoro tanto delicato quanto fondamentale.
Non ci sono sparatorie (da me peraltro tanto amate, ma questa è un mio punto debole, come scrittore), ma ci sono le macchine che distribuiscono il caffè a tutte le ore, c’è l’odore degli uffici in cui si lavora anche di notte, senza orari, dove si consumano pasti veloci e dove si vive perennemente attaccati al telefono.
E poi c’è Ventimiglia, una città che mi ha sempre messo a disagio, forse perché non la conosco; la sensazione che essa mi comunica da sempre è quella di precarietà, quasi di pericolo.
Città di confine, di traffici illeciti da sempre, luogo dove il disagio sociale lo si percepisce come un male atavico per il quale non c’è cura, come se fosse segnata da un destino che non ammette alcuna forma di riscatto.
Roberto Negro questo male di vivere della sua città lo ha visto da vicino per anni con il proprio lavoro e ora ce lo regala con la scrittura.
Forse è un suo modo per esorcizzarlo, per lenire ciò con cui ha convissuto per tanti anni e che credo non si possa dimenticare facilmente.
Alcuni sostengono che la scrittura è una forma di catarsi; non so se questo valga anche per Roberto Negro…
In cuor mio non ho mai amato coloro che tendono a psicanalizzare gli scrittori in base a ciò che scrivono.
Ecco perché preferisco non aggiungere altro a quello che ho scritto fin qui.
La mia copia de “L’agonia della falena”, giace sul comodino della mia camera da letto, un po’ maltrattata dalla lettura fatta in spiaggia, tra sabbia e salmastro.
Un tempo badavo a conservare i libri in maniera maniacale, ma mi sento in qualche modo giustificato.
Forse, con un pizzico di supponenza, penso che lo stesso Scichilone approverebbe questo trattamento, non essendo il tipo da badare a certi inutili vezzi maniacali da bibliofilo.