Primi giorni dell’ottobre del 1965. Robert Müller e Girolamo “Nony” Simonetti arrivano in Congo
Girolamo “Nony” Simonetti (primo a sinistra) e Robert Müller al loro arrivo. Giunti sul suolo congolese, i due volontari italiani sembrano due ragazzini pronti a vivere una grande avventura. Con loro la valigia contenente i pochi effetti personali portati dall’Italia. Per le rispettive famiglie entrambi hanno trovato un lavoro in Belgio presso un’azienda farmaceutica.
«Durante il viaggio in treno, Nony ed io giurammo che se non ci avessero arruolato per il Congo, non saremmo comunque tornati a Milano da sconfitti. Piuttosto avremmo tentato l’arruolamento nel Tercio Spagnolo o nella Legione Straniera.» (R.M.)
Tratto da: Robert Müller, Ippolito Edmondo Ferrario, Maktub. Congo-Yemen 1965/1969, Ritter Edizioni
2 ottobre 1968. Viene giustiziato il leader congolese Pierre Mulele.
In questo turbinio di violenza tribale lo stesso Pierre Mulele, quasi per ironia della sorte, dopo aver sobillato per anni i Simba a compiere le peggiori nefandezze, pagherà in prima persona le conseguenze. Nel 1968 Mulele fece ritorno a Kinshasa dopo che Mobutu gli aveva concesso l’amnistia illudendolo di poter tornare ad essere un uomo libero. Fu organizzato un ricevimento in suo onore dal generale Louis de Gonzague Bobozo, capo di stato maggiore dell’esercito. Mulele e la moglie furono ospitati nella residenza del Ministro Justin Marie Bomboko presso Gomba.
Il giorno seguente, mentre veniva portato in auto allo stadio dove Mobutu lo avrebbe dovuto aspettare per onorarlo pubblicamente di fronte al popolo, fu condotto invece al campo militare di Kokolo. Qui il 2 ottobre del 1968 venne sottoposto a supplizio: mentre era ancora in vita gli vennero amputati orecchie, naso, occhi, genitali. Fu poi fatto a pezzi e gettato nel fiume.
Tratto da:
Robert Müller, Ippolito Edmondo Ferrario, Maktub. Congo-Yemen 1965/1969, Ritter Edizioni
1967, Bukavu. Lui è il sergente George Seren Rosso. Sarà uno dei pochi e valorosi europei a resistere per mesi all’assedio della città da parte di migliaia di soldati congolesi. A settembre conoscerete meglio la sua straordinaria storia nel libro scritto con Robert Muller in uscita per le edizioni Ritter di Milano. Qui di seguito un link con una rara intervista fatta a George e ad altri volontari europei nei giorni del lungo assedio.
30 giugno 1965. Robert Muller si prepara a lasciare il Congo
Come da programma, rientrai a Stanleyville e vi rimasi alcuni giorni. Feci qualche pattuglia nei pressi della città, ma nulla di memorabile. Qui incontrai Bob Denard, che era diventato il comandante del battaglione, avendo sostituito il belga Lamouline. Il giorno della partenza guardò le mie carte e mi congedò. Mi disse che ci saremmo rivisti. Era il 30 giugno, festa dell’indipendenza congolese. Quel giorno Mobutu, ormai divenuto un despota, fece impiccare tre dissidenti, per mostrare il suo potere. Io ormai ero prossimo a lasciare il Congo. Il 10 luglio mi fu consegnato il biglietto aereo per Bruxelles. Partimmo per Léopoldville dove rimanemmo un giorno prima di imbarcarci per l’Europa. Arrivato a Bruxelles andai a cercare un albergo e ritirai tutti i soldi che avevo depositato in banca. Avrei dovuto fare festa. Andai a cena in un ristorante, ma non mi sentivo soddisfatto, anzi. Anche la sera, tornato in albergo, feci fatica ad addormentarmi, tanto che, per chiudere occhio, dovetti prendere il cuscino e le coperte e sdraiarmi sul pavimento. A certe comodità non ero più abituato. Crollai comunque in un sonno profondo. Il mattino successivo, la donna delle pulizie mi trovò mentre dormivo ancora a terra. era giunto il momento di partire.
Tratto da: Robert Muller, Ippolito Edmondo Ferrario, Un parà in Congo e Yemen 1965-1969, Mursia
Nove anni fa, con poca esperienza e molto entusiasmo, mi accostavo al mondo dei tanto vituperati “mercenari” che avevano combattuto in Congo negli anni Sessanta del secolo scorso. Qualche anno dopo, nel 2018, avrei avuto l’onore e la fortuna di raccogliere le memorie di uno di loro. Un racconto disincantato, intenso e sferzante da cui nacque il libro scritto a quattro mani con Robert Muller. Ritenevo che con quel lavoro potessi voltare pagina e dedicarmi ad altro.
A gennaio di quest’anno, un giorno come un altro, prese forma inaspettatamente un vecchio progetto mai realizzato e di cui di tanto in tanto accennavo a Robert: realizzare un libro fotografico sulla sua esperienza da volontario nel Congo e nello Yemen. Nel giro di qualche giorno mi ritrovai in possesso del suo vasto archivio composto da un qualche centinaio di scatti dell’epoca. L’impegno era quello di raccontare non tanto la sua vicenda personale quanto, attraverso le immagini, quella dei suoi commilitoni, i tanti ragazzi di allora, molti dei quali non hanno fatto ritorno.
Oggi, mentre il libro è quasi pronto per essere consegnato all’editore, sento l’impegno di tenere acceso il riflettore su di loro, i “soldati liberi” di quel tempo. L’avventura per me è ricominciata e si prospetta lunga.
Vi lascio con le parole di Nony, al secolo Girolamo Simonetti, l’amico fraterno con cui Robert partì da Milano alla volta del Congo. Correva il 1965. Quel Nony che ho sentito nominare innumerevoli volte a tal punto da avere l’impressione che fosse ancora qui tra noi, tanto è nitido il suo ricordo in quelli che lo hanno conosciuto. Nony, alla fine del suo libro (Il bottino del mercenario, Ciarrapico Editore, 1987) così scrisse sulle schiere di ragazzi ai quali si era unito in Congo:
Forse, fra tutti i paragoni fatti, quello che mi sento d’accettare più vicino allo spirito mercenario è quello con i pirati. Pirati all’arrembaggio in un mare ostile di incomprensioni, che necessita della loro presenza ma li disprezza, un mare di opportunismi, di accordi al vertice, di materialismi d’ogni colore, di specioso e interessato perbenismo. Pirati del XX secolo, che difendono la loro filibusta con la sciabola in una mano mentre con l’altra ghermiscono una bottiglia di rum (o di Primus in questo caso) e combattono irridendo al nemico, incuranti di tutto e di tutti.