La cronaca del blitz notturno a Mboko per eliminare la mitragliatrice pesante cinese Cal. 12,7 mm Testimonianza del maggiore Tullio Moneta raccolta da Giorgio Rapanelli
Su di una collina della zona di Mboko a circa 300 metri dalla pista lungo il lago Tanganyka che dalla base del 5 Commando di Baraka portava ad Uvira, a nord, c’era una mitragliatrice pesante calibro 12,7 mm.
Questa arma pericolosa impediva alle colonne di automezzi del 5 Commando di conquistare la cittadina di Uvira.
Già avevamo perduto a Mboko il 18 maggio 1966 il mitico capitano Hugh Van Oppen, probabilmente non a causa di una raffica di kalashnikov, ma per mano del tenente Ross-Johnson, come si mormorava al campo.
Ross-Johnson aveva la fama di killer prezzolato e doveva avere eseguito l’assassinio di Van Oppen per conto di qualcuno. Pure l’autista di un camion era stato centrato, giorni prima, al cuore dal colpo di un cecchino.
Però, il problema vero era quella mitragliatrice pesante che con i suoi proiettili con l’anima al tungsteno perforava da parte a parte un camion, o un’autoblindo Ferret, per poi frantumarsi in schegge pericolose.
No, non si riusciva a passare. La colonna degli automezzi era costretta a ritornare a Baraka.
La mitragliatrice era mimetizzata molto bene tra gli alberi della jungla, che dalla base della collina arrivavano quasi alla sommità, dove poi iniziava la savana.
Anche i caccia bombardieri T-28 che erano stati impiegati per localizzare dall’alto la mitragliatrice, non erano riusciti a scovarla. Evidentemente, doveva essere ben nascosta in una caverna naturale.
Era un problema che doveva essere risolto, poiché si doveva conquistare tutto il territorio congolese del lago Tanganyka, per impedire che dall’altra sponda della Tanzania del buon Nyerere potessero continuare a giungere con le canoe attraverso il lago le armi comuniste ai ribelli Simba, che ancora infestavano la zona di Uvira e di Bukavu.
Furono i civili congolesi ad avvisare i mercenari che sapevano come giungere nel luogo ove era piazzata la mitragliatrice. Si trattava di aggirare la postazione per colpirla alle spalle.
Il colonnello John Peters, che era succeduto al colonnello Mike Hoare nel comando della base di Baraka, organizzò un meeting con gli ufficiali delle pattuglie di mercenari non operative al momento.
Nella sala mensa degli ufficiali il colonnello Peters sparse sul tavolo le carte topografiche della zona di Baraka e di Mboko e pianificò con gli ufficiali e i sottufficiali il piano di attacco alla postazione dei Simba.
Furono organizzati due gruppi di mercenari di venti uomini ciascuno al comando dei tenenti Tullio Moneta e Boet Schoeman. Il comando in capo fu dato al capitano Peter Ross-Smith, un ufficiale che si era distinto nelle operazioni più rischiose fin dalla presa di Stanleyville.
Il tenente Boet Schoeman era noto per la sua mira infallibile.
Da civile organizzava i safari di caccia grossa per i turisti in Kenya. Era soprattutto esperto nello scovare le tracce dei Simba nella savana.
Nella pattuglia di Tullio erano presenti i tre italiani Piero Nebiolo, Eugenio Ciccocelli e Perissinotto, oltre l’ottimo sergente boero Swanepoel, i soldati Penton Ferreira e Butch Scholtz.
Il tenente Mutambala, che comandava i katanghesi di stanza nei paraggi della base di Baraka, aveva fornito alcuni scout. Il villaggio congolese vicino alla base di Baraka aveva fornito altri scout e i portatori.
I quaranta mercenari con gli scout e i portatori salirono su diversi camion, scortati da un paio di autoblindo Ferret al comando di “Skinny” Coleman.
Dovendo aggirare la postazione Simba non si diressero direttamente verso la collina di Mboko, ove era la mitragliatrice pesante. Gli automezzi si diressero, invece, verso sud, come per andare a Fizi.
La colonna ad un certo punto si fermò, mimetizzandosi tra gli alberi della jungla, mentre e gli uomini con portatori e scout si inerpicarono su di una collina, puntando poi a nord, dove a parecchi chilometri si trovava la postazione Simba.
Il sole stava tramontando e nel giro di mezzora fu tutto buio.
Di notte i Simba dormono. Quindi l’attacco a sorpresa sarebbe riuscito di sicuro. In fila indiana i quaranta mercenari con i tre ufficiali e gli scout in testa alla colonna.
I portatori chiudevano la colonna. Era proibito parlare e starnutire.
Anche il più piccolo rumore si sarebbe propagato nel buio della notte, avvisando i Simba della presenza della colonna.
Il buio era pesto.
Le alte erbe occludevano la vista del cielo stellato: queste si aprivano davanti al mercenario che veniva prima e si chiudevano dinnanzi al mercenario che veniva dopo. Il sentiero si sentiva solo con i piedi.
Gli scout katanghesi andavano avanti e indietro lungo la colonna, per controllare se qualcuno della pattuglia si era perso, avendo “preso” con i piedi un altro sentiero.
Quando gli scout riuscirono ad individuare la postazione della mitragliatrice cominciava ad albeggiare.
Tornarono indietro, sussurrando ai tre comandanti dove dirigersi.
Poi scout e portatori si acquattarono per essere fuori tiro.
Parlando all’orecchio di ogni mercenario i comandanti posizionarono ad “elle” gli uomini. Tullio Moneta e Boet Schoeman scelsero i loro migliori combattenti e li schierarono sul fianco destro dell’accampamento dei Simba.
Con Tullio erano i tre italiani e Swanepoel. Intanto, qualche Simba era già sveglio e chiacchierava ridendo con altri ribelli. Ormai il sole stava per sorgere e i Simba si vedevano bene, salvo quelli che ancora dormivano, stesi tra le erbe della savana.
Improvvisamente i Simba si accorsero della presenza dei mercenari e tentarono la fuga urlando, per avvisare gli altri…
I mercenari aprirono il fuoco mirando ai bersagli visibili o tirando a raffica nel folto della savana.
Da una caverna tre Simba portarono fuori la sola mitragliatrice pesante, dandosi alla fuga e cercando di salvarla. La mitragliatrice pesante, montata su di un treppiede, non era visibile dagli aerei perché era nascosta in una caverna naturale.
Il Simba che trasportava l’arma dalla parte più pesante, ossia la parte posteriore, fu colpito e la mitragliatrice, cadendo, rimase ritta da terra.
Poiché si sentivano voci all’interno della caverna, due bombe a mano fecero il silenzio per sempre.
Terminata la breve scaramuccia, i mercenari raggrupparono i Simba ancora in vita e legarono con delle corde il collo dei prigionieri ad una canna di bambù, uno di qua ed uno di là, secondo il sistema dei negrieri arabi. Il capitano Ross-Smith interrogò brevemente i prigionieri.
Ma fu interrotto da una animata discussione tra Boet Schoeman e Piero Nebiolo, che non capiva l’inglese.
Il tenente Schoemann era furente per il fatto che Nebiolo, stando alla sua sinistra durante il combattimento, gli aveva fatto arrivare sul volto i bossoli roventi sparati dal suo FN.
Poiché Nebiolo non capiva le rimostranze di Scheoman, quest’ultimo, per farsi capire, cominciò a sparare i venti colpi del suo caricatore, con i bossoli roventi espulsi che “friggevano” sulle gote di Nebiolo.
Il quale, alla fine della sparatoria, rivolgendosi al tenente Schoeman, disse semplicemente in francese “Et alors?”.
“E allora?” Schoeman si allontanò biascicando parole incomprensibili.
La colonna degli attaccanti cominciò a scendere la collina, portando con loro la mitragliatrice catturata, da utilizzare a difesa della base.
Giunti al villaggio dei civili congolesi furono accolti dal giubilo delle donne che emettevano i classici striduli vocalizzi con la lingua, agitando rami di palma.
Alla vista di uno dei Simba si scagliarono contro di lui con l’intenzione di linciarlo. I mercenari fecero barriera, salvando quel Simba.
In modo concitato le donne spiegarono ai mercenari che costui aveva commesso abusi e crudeltà in quel villaggio e volevano una esemplare condanna a morte.
Poiché non esisteva in quel territorio una corte di giustizia, pretesero giustizia dai mercenari stessi. Il colonnello Peters incaricò il tenente Tullio Moneta, che parlava francese, di creare un processo con tanto di accusa e di difesa. Così avvenne…
Per i crimini commessi il Simba fu condannato a morte mediante impiccagione. Quando ascoltò la sentenza non ebbe alcuna reazione.
Solo l’alluce del piede destro batteva ritmicamente sul terreno.
Nell’ottica di una precisa ricostruzione storica di avvenimenti relativi al ruolo dei mercenari italiani in Congo, riporto l’interessante e puntuale ricostruzione fatta dal Maggiore Tullio Moneta sul ruolo di alcuni missionari in quel periodo presenti nello stato africano sconvolto dalla guerra civile e puntualmente raccolta da Giorgio Rapanelli già autore, insieme al sottoscritto, della biografia di Tullio Moneta.
Con grande rammarico, il Maggiore Tullio Moneta del 5 Commando mercenario in Congo deve fare una dichiarazione nei confronti del saveriano padre Angelo Pansa. In un articolo su “Jesus” del 2003, dal titolo “Il missionario dell’Oca Selvaggia” (simbolo del 5 Commando mercenario), Padre Angelo Pansa dichiarava che in Congo fu fatto “colonnello” dal Generale Mobutu, comandante dell’Armée Nationale Congolaise e messo al comando di 45 mercenari di una V Compagnia, di cui facevano parte alcuni mercenari del 5 Commando anglosassone del Colonnello Mike Hoare. Padre Pansa vantava in quell’articolo, come in altri articoli di stampa e in interviste televisive azioni militari umanitarie per liberare centinaia di persone, tra missionari e civili, ostaggi dei ribelli Simba. Cita tra i suoi combattenti pure il noto criminale Ronald Biggs, che con la dinamite creava dalla foresta radure per fare atterrare gli elicotteri con i quali trasportava gli ostaggi verso basi più sicure. Evidentemente padre Pansa non aveva mai visto un elicottero atterrare di una strada, o in uno spazio di dieci metri quadrati… Ma c’è di più: il dinamitardo Ronald Biggs non fu mai in Congo: né prima, né durante la guerra ai Simba, né dopo. Sempre su “Jesus” è pubblicata una foto che mostra alcuni mercenari insieme ad un missionario.
La didascalia su Jesus dice che sono stati gli uomini della V Compagnia guidata da padre Angelo Pansa a liberare il missionario padre Schuster, sfuggito al massacro dei suoi confratelli ad opera dei Simba a Stanleyville. Poi si scopre l’altra parte della foto pubblicata in un sito francese del corpo dei mercenari in Congo, in cui è scritto, in francese “Le lieutenant Kowalski et ses hommes découvrente le pére Schuster”, (il tenente Kowalski e i suoi uomini che scoprono padre Schuster). Nella foto Tadeusz Kowalski è il mercenario con il basco che ascolta padre Schuster. Unendo le due foto si ha la foto intera, di cui la parte sinistra è servita a padre Pansa di prendersi il merito di aver salvato padre Schuster.
Un autentico falso. Soprattutto perché delle gesta di padre Pansa è solo lui, padre Pansa, che ne parla a ruota libera e senza portare prove, con anni di ritardo dalla guerra contro i Simba. Né nel libro “Congo Mercenary” del colonnello Mike Hoare, né in quello del maggiore Siegfried Mueller in “Les nouveaux mercenaires”, di cui faceva parte il tenente Kowalski in tutta la campagna per la liberazione di Stanleyville e di tutto il territorio fino ai confini con l’Uganda e il Sudan, mai è citato un “colonnello” Angelo Pansa, né un missionario combattente di nome Angelo Pansa. Eppure esistono tre foto del padre: una sorridente con il mitra e una didascalia che recita in inglese “Angelo il cappellano scroccone del 5 Commando”; poi altre due con armi in posizione di tiro all’anca, vestito con pantaloncini, camicia cachi senza distintivi, né gradi militari, con berrettino con visiera, probabilmente da boy scout, senza alcun grado…
Da tempo il maggiore Tullio Moneta ha contestato padre Pansa in diversi filmati su youtube. Tullio Moneta ha sempre apprezzato i missionari che aveva conosciuto. Li considerava soldati coraggiosi che combattevano senza armi in una missione a favore dei civili africani, come padre Palmiro Cima, che rischiava la vita sotto gli attacchi dei Simba a Baraka, vicino alla base del 5 Commando; oppure il saveriano padre Silvestro Volta, che aveva conosciuto in Sierra Leone da civile e che lo accompagnava nel suo ospedale di Makeni, in mezzo alla foresta tropicale, a 250 chilometri da Freetown…
Ma quando ha letto negli archivi dei Saveriani che padre Angelo Pansa aveva dichiarato in forma scritta che il col. John Peters, comandante di Tullio Moneta e della base del 5 Commando, succeduto al colonnello Mike Hoare, voleva uccidere i due missionari di Nakiliza per fare ricadere la colpa sui Simba e, peggio ancora che i mercenari sparavano ad una statua della Madonna esposta pubblicamente a Baraka, l’ha mandato fuori dai gangheri. Ha sopportato anni di bugie, da quelle de “L’Unità” e di altri giornalisti e scrittori sui mercenari in Congo, fatti passare da criminali, “da torturatori di prigionieri, violentatori in gruppo di donne, compiendo su di loro spaventose atrocità” come ultimamente ha scritto nel suo romanzo Massimo Valerio Manfredi dal titolo “Quinto comandamento”, con cui ha celebrato le gesta di un missionario “colonnello” guerriero, ispirato da padre Pansa.
Ma la falsità, inspiegabile, da parte di un missionario, Tullio Moneta proprio non se l’aspettava. Inizialmente padre Pansa scrisse a Tullio Moneta tramite me: voleva sapere in che periodo Tullio fu ferito a Baraka. Non glielo scrivemmo, in quanto avrebbe poi affermato che egli era stato a Baraka in quel periodo. Comunque nei quasi due anni – dal settembre 1965 all’aprile del 1967 – in cui Tullio è stato a Baraka, padre Pansa non si è mai visto.
Infatti nessuno lo conosceva. Egli veniva nominato solo dal cuoco greco Triantaphillopulous che diceva “dovremmo fare come padre Angelo che è andato a combattere con i mercenari”. Lo conoscevano quindi solo come “padre Angelo”. Fui io che rivelai a Tullio che padre Angelo faceva di cognome “Pansa”. Lo avevo sentito dire in Congo nel 1966 dal sacramentino padre Giovanni Rottoli, insieme a quello di qualche altro missionario che aveva preso le armi. Se padre Pansa fosse passato a Baraka, l’”intelligence” che controllava la base avrebbe avvisato tutti gli ufficiali e i sottufficiali della presenza passeggera nella base di un secondo missionario di nome Angelo Pansa. Invece, a Baraka è sempre stato un illustre sconosciuto.
In una seconda lettera inviataci, padre Pansa scrisse che tutto ciò che Tullio Moneta aveva scritto e detto era frutto della sua fantasia…
Lasciamo la parola a padre Angelo Pansa che dichiara nella cronaca sugli eventi congolesi, presente negli archivi dei Padri Saveriani:
Scrive padre Angelo Pansa: “Posso anche aggiungere un altro dettaglio: Non erano solo i ribelli Simba che avevano in odio la religione, ma lo stesso comandante di un gruppo di mercenari, colonnello Peter, protestante, aveva in odio i cattolici. Nel suo piano c’ era l’uccisione dei padri di Nakiliza per poi accusare i ribelli di averli uccisi. A Baraka erano proprio i mercenari che si divertivano a sparare alla statua della Madonna in dispregio verso la fede cattolica.”
Padre Palmiro Cima, se ancora vivente, potrebbe dire molto sul colonnello Peters, per l’aiuto da questi dato con scorta di mercenari nel ritrovamento dei corpi dei confratelli assassinati dai Simba. E soprattutto se a Baraka era esposta una statua della Madonna sulla quale i mercenari si divertivano a sparare…
I maggiori quotidiani italiani hanno dato la notizia della morte sopraggiunta il 3 febbraio 2020 evocando le sue imprese e la sua fama (https://www.corriere.it/cronache/20_febbraio_03/muore-100-anni-mike-hoare-fu-piu-leggendario-mercenari-48b78154-465c-11ea-afe7-221784afa655.shtml https://www.repubblica.it/esteri/2020/02/03/news/sudafrica_morto_mercenario_mad_mike-247518288/ )
Alla veneranda età di 100 anni se ne è andato Mad “Mike” Hoare, comandante del Quinto Commando (formato per lo più da volontari di guerra anglosassoni, sudafricani e rhodesiani), protagonista di numerose imprese nell’ ex Congo Belga. Hoare si è spento nel suo letto, a Durban, in Sudafrica.
Il suo nome rimarrà indissolubilmente legato a quell’epopea, ancora poco raccontata, dei cosiddetti soldati di ventura che nel secondo dopo guerra combatterono in svariati teatri di guerra, soprattutto africani. Al colonnello Hoare si ispirò la pellicola cinematografica, successo di incassi, “I quattro dell’oca selvaggia” (1978) per la quale fu coinvolto nelle vesti di consulente. Hoare fu anche il fautore di un rocambolesco tentativo di golpe alle isole Seychelles nel 1981.
Riporto qui di seguito alcuni estratti dell’intervista che feci a colui che con “Mad” Mike Hoare condivise parte delle sue imprese, uno dei pochi italiani in forza al Quinto Commando: il maggiore Tullio Moneta.
A Tullio Moneta insieme a Giorgio Rapanelli, ho dedicato una biografia, edita dalle Edizioni Lo Scarabeo-Ritter di Milano nel 2014. (http://www.ritteredizioni.com)