da Ippolito Edmondo Ferrario | Dic 23, 2020 | News, Soldati di Ventura
“Noi fratelli d’armi in Africa come pirati”: un libro di Ferrario racconta lo spirito dei mercenari
di Matteo Brunetti, Secolo d’Italia, 20 dicembre 2020
È dal 2009 che Ippolito Edmondo Ferrario, scrittore milanese nato nel ’76, dedica parte delle sue ricerche e della sua creatività alla ricostruzione dell’epopea dei volontari italiani che hanno combattuto in Africa negli anni Sessanta. Giovani, non conformisti, coraggiosi: in molti lasciarono la famiglia, gli affetti e il benessere degli anni del boom per raggiungere il Congo. Erano militari di ventura, professionisti della guerra, che seguendo i loro ideali si ritrovarono a combattere in un paese straniero dilaniato al suo interno da un terribile conflitto armato.
Non erano soldati sanguinari
Per la loro condizione di “soldati di ventura” l’opinione pubblica e il conformismo progressista li ha sempre marchiati con l’appellativo di “les affreux”, ovvero gli orrendi, i terribili, e le loro coraggiose e disinteressate azioni, seppur volte a salvaguardare la vita della popolazione civile, passarono in secondo piano rispetto all’ingiusta fama di soldati sanguinari, fascistoidi e senza scrupoli.
La canzone di Pino Caruso al Bagaglino
“Son morto nel Katanga / venivo da Lucera…” cantava, parlandone al positivo, solo Pino Caruso in un disco inciso nel 1968 dal Bagaglino con parole di Pier Francesco Pingitore, il quale nel suo cabaret aveva avuto modo di conoscere qualche ragazzo reduce da quell’esperienza… Conformismo a parte, infatti, quella stagione è stata comunque celebrata nell’immaginario europeo e occidentale. Nei libri, nel cinema e, con la ballata di Pingitore, anche nella musica popolare. A cominciare da Africa addio, il capolavoro cinematografico di Gualtiero Jacopetti che il regista girò – insieme al suo amico e sodale Franco Prosperi – proprio seguendo i mercenari e osservando in presa diretta le loro imprese.
I film che celebrano i mercenari d’Africa
Oppure ai due film che celebrarono al meglio la figura di “quei” ragazzi in Africa: I quattro dell’Oca selvaggia del 1977 e I mastini della guerra del 1980, entrambi trasposizione cinematografica di due bei libri, il primo di Bob Carney, il secondo di Frederick Forsyth, lo scrittore britannico che dedicava il romanzo anche a Pier Giorgio Norbiato, un eroico italiano soprannominato “le fasciste”.
Il libro di Ferrario: Maktub, Congo-Yemen 1965-1969
Appunto, in tutta questa bibliografia, mancava sinora adeguatamente il ruolo svolto dagli italiani, che pure c’erano e non sono stati pochi. Ed ecco con questo ultimo Maktub. Congo-Yemen 1965-1969 (Edizioni Ritter, pp. 107, euro 24,00), Ferrario a quattro mani con Robert Müller, uno dei protagonisti di quell’epopea, manda in libreria un bellissimo libro in grande formato con tutto il racconto fotografico, passo dopo passo, tanto che il risultato è quasi cinematografico.
Le esperienze raccontate nel libro
Müller, classe ’42, figlio di un soldato della Wehrmacht e di madre italiana, nel ’65 parte alla volta del Congo Belga insieme a Girolamo Simonetti. Catapultati in una realtà cruda e spietata, fatta di massacri tribali, morte e distruzione, diventano presto “fratelli d’armi”, entrando a far parte del leggendario gruppo Paras Cobra. Nel ’68, solo qualche anno dopo, Müller raggiunge il deserto dello Yemen per combattere a fianco dei ribelli realisti sostenuti dall’Arabia Saudita contro i repubblicani filo-sovietici. Il libro curato con Ferrario rievoca e racconta entrambe le esperienze.
Centinaia di foto
Non mancano tra le centinaia di foto, quelle più goliardiche e giovanilistiche. In particolare, c’è n’è una in cui Simonetti e Müller “giocano” a fare i pirati. Commentata da parole dello stesso Simonetti, l’amico romano – forse proprio colui che parlandone al Bagaglino ispirò Pingitore – che era partito con l’Africa insieme a Müller: “Fra tutti i paragoni fatti, quello che mi sento d’accettare come più vicino allo spirito mercenario è quello con i pirati. Pirati all’arrembaggio in un mare ostile di incomprensioni, che necessita della loro presenza, ma li disprezza, in un mare di opportunismi, di accordi al vertice, di materialismo d’ogni colore, di specioso e interessato perbenismo. Pirati del XX secolo, che difendono la loro filibusta con la sciabola in una mano, mentre con l’altra ghermiscono una bottiglia di Rhum e combattono irridendo al nemico, incuranti di tutto e di tutti”.
da Ippolito Edmondo Ferrario | Ott 27, 2020 | Accadde Domani, Soldati di Ventura
28 ottobre 1967. La morte del volontario Guy Leleup
Leleup era un volontario belga, ma nato in Congo. «Guy morì da eroe il 28 ottobre del 1967 durante le ultime fasi dell’assedio di Bukavu. Rimase a proteggere la ritirata dei suoi compagni e cadde prigioniero. Quando il colonello Schramme con altri uomini giunse in suo soccorso, Leleup, mentre era tenuto legato ad un albero, urlò a Scharamme avvisandolo dell’imminente imboscata e permettendogli di salvarsi. Leleup fu ucciso con un colpo di pistola in fronte. Venne poi decapitato e la sua testa infilzata su una baionetta per essere portata come trofeo dai soldati congolesi dell’ANC. Questa è la vera storia della morte di Guy Leleup del Para Groupe Cobra».
Così lo ricorda in alcuni significativi passaggi il colonello Jeanne Scharamme nel suo libro di memorie Il Battaglione Léopard. Ricordi di un africano bianco: «Di tutti i nuovi provenienti dalla 6a brigata quello che mi impressionò maggiormente fu il maresciallo Guy Leleup. Era un giovane idealista che conosceva perfettamente gli indigeni e ne parlava correttamente la lingua. Solitario per natura, era mal compreso dal suo comandante, il maggiore Noddyn. Ragazzi del genere erano l’opposto di ciò che normalmente viene chiamato un “mercenario”. Non poteva andar assolutamente d’accordo con Bob Denard e il suo lavoro non era mai stato apprezzato; ma è risaputo che i caratteri energici e le nature generose si rivelano nelle avversità (…)». Compresi subito che la morte di Leleup era un fatto estremamente grave: perdevo una delle posizioni-chiave ma anche uno dei miei migliori ufficiali, un vero simbolo di ciò che stavamo tentando di salvare in Congo: la fratellanza nelle armi tra bianchi e neri».
Tratto da: Robert Muller, Ippolito Edmondo Ferrario, Maktub. Congo-Yemen 1965/1969, Ritter Edizioni.
da Ippolito Edmondo Ferrario | Ott 18, 2020 | Soldati di Ventura
Pubblico qui di seguito, con immenso piacere, il messaggio giuntomi sabato 17 ottobre 2020 dal nipote di Enzo Varani che ha acquistato per caso il libro “Maktub Congo-Yemen 1965/1969”. Le sue parole ripagano Robert ed il sottoscritto di tutto l’impegno speso nella stesura del libro.
A volte gli avvenimenti sembrano accadere per caso, ma il caso non è mai causale, ti aspetta o si fa aspettare e prima o poi si presenta e provoca emozioni. Ho visto un post di Ippolito Edmondo Ferrario sulla presentazione di un suo nuovo libro “Maktub”, un insieme di racconti e fotografie di un posto lontano che tra il 1960 e il 1965 ha attraversato una grande instabilità politica con un susseguirsi di rivolte armate, il Congo. L’istinto mi ha portato ad acquistarlo, mia madre lo sfoglia e ad un certo punto si emoziona e urla “Papà” dicendo di averlo riconosciuto dalla posa. Come mio nonno ci sia finito e perché , non sono mai riuscito a farmelo spiegare da nessuno. Mia nonna mi racconta che lo ha fatto per il suo grande spirito avventuriero (Legionario in Indocina, minatore in Belgio, mercenario in Congo e poi chissà dove…). Nemmeno due figlie piccole e un figlio in arrivo riuscirono a desisterlo dalla sete di avventura e dai soldi “facili” e chissà cos’altro. Cit”…Pirati all’arrembaggio in un mare ostile di incomprensioni, che necessita della loro presenza, ma li disprezza, un mare di opportunismi, di accordi al vertice, di materialismo d’ogni colore, di specioso ed interessato perbenismo. Pirati del XX secolo, che difendono la loro filibusta con la sciabola in una mano, mentre con l’altra ghermiscono una bottiglia di Rhum (o di una Primus in questo caso) e combattono irridendo al nemico, incuranti di tutto e di tutti”. scrisse Nony. Non so se mio nonno si sentisse così, un pirata in cerca del tesoro, ma ho capito che di quel “tesoro” una parte non tornò con lui mentre con l’altra, appena tornato in Italia, comprò una casa per la sua famiglia ed aprì un’osteria diventata poi ristorante. In fondo forse era questo il “tesoro” che cercava. Da lì a poco, dopo tanto rumore, purtroppo, se ne andò in una notte, in silenzio, quando anche il cuore decise di starsene in silenzioso giusto il tempo di riuscire a compiere qualche battito in una vita “normale e tranquilla” che forse in fondo non era fatta per lui, ma provando a darla a chi voleva bene. Ciao nonno, salutami zio.
In ricordo del Maresciallo Enzo Varani
Ascoli Piceno 15/02/1930
Ascoli Piceno 5/2/1978
Qui sotto la foto di gruppo che ritrae Varani insieme ai suoi commilitoni.
SUCRAF. Da sinistra a destra: il Maresciallo Varani (marchigiano, dopo il Congo fece fortuna vendendo pappagalli in giro per l’Europa ad appassionati di animali esotici), Girolamo “Nony” Simonetti, l’italo-argentino Ciccodicola (una volta tornato a casa uccise la moglie a martellate), Benigno Murgia (originario di Carbonia, dopo aver lavorato per un periodo in una miniera di carbone in Belgio si era arruolato tra le fila dei volontari in Congo), Robert Müller. Alla SUCRAF i volontari Varani, Ciccodicola e Murgia, comandanti dal maggiore polacco Topor, erano di stanza a protezione dello stabilimento.
da Ippolito Edmondo Ferrario | Mar 16, 2018 | News
È così che definirei (onirico, visionario, scioccante), se fossi un critico musicale, l’album “Idrovolante” del gruppo Sotto Fascia Semplice il cui cuore pulsante è un personaggio poliedrico da maneggiare con cautela.
Sto parlando di Mario Vattani (www.mariovattani.it), ex console italiano in Giappone, fondatore e voce di una band rock identitaria molto conosciuta.
Vattani però è anche scrittore; il suo nome è legato indissolubilmente al romanzo noir “Doromizu. Acqua torbida” edito da Mondadori per la collana Strade Blu nel 2016.
Mario è anche un profondo conoscitore dell’Oriente, ma non è mio desiderio tesserne le lodi a vanvera. Pur non conoscendolo di persona, credo sia un tipo di sostanza.
A proposito di “Doromizu. Acqua torbida” sappiate che non l’ho letto. Non ancora, ma lo farò.
Sono in perenne ritardo su tutto, specie sui buoni propositi.
Per ora mi fermo all’ album “Idrovolante” facilmente scaricabile. Io l’ho fatto tramite Itunes Store.
Inizialmente lo avevo acquistato perché conteneva la cover del Mercenario di Lucera, lo storico pezzo di Pino Caruso nato nel lontano 1969 al Bagaglino di Roma. Il sottoscritto, che da alcuni anni è in sintonia con le storie di questi volontari di guerra italiani ritratti da Caruso, ha apprezzato molto l’interpretazione di Vattani.Il pezzo conserva tutto il suo fascino, anzi è ancora più bello.
A quel punto era naturale ascoltare il resto dei brani. Il primo ascolto mi provoca disagio. Non fa per me, mi dico. Sonorità che cozzano con il mio gusto. Poi qualche giorno fa, avendo l’album nello smartphone, decido di riascoltarlo. Sono le 9 del mattino, cammino per Brera. Poco dopo mi ritroverò in palestra a spostare ferro con la musica nelle orecchie, perché l’allenamento con i pesi per me è una sfida solitaria, ascetica. La palestra non è una sala da tè in cui tessere relazioni sociali. E la voce di Vattani mi accompagna anche durante l’allenamento. Non riesco a smettere di ascoltare l’album.
C’è qualcosa di torvo, cupo, forte, e viscerale nei testi, nelle musiche e nella sua voce. L’immagine dell’idrovolante che si alza nella nebbia della laguna mi rapisce. Vattani non fa sconti nel pezzo “Come mai”, impietoso ritratto dei tempi che corrono e di un modo “nostro” di vedere le cose.
Mi piace e parecchio. Con “Libera” mi concede di riprendere fiato, ma non troppo. Mi sembra di vivere un amplesso, di fare l’amore. La musica, certa musica, ha un potere straordinario, ti fa volare con la mente. E poi c’è “Lampeggiante”: vedo Vattani sul suo idrovolante in cerca di intuizioni che solo chi vola alto, chi va oltre, può percepire.
Tornerò in futuro a parlare di lui, di Mario, e lo farò dopo aver letto “Doromizu. Acqua torbida”. Lo prometto.