ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Terza parte)

ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Terza parte)

ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Terza parte)

Si decolla

Si decide di partire. Le armi, una volta in volo e fuori del tiro della mitragliera, verranno smontate e consegnate al comandante Saxena. 

I mercenari salgono tutti, compresi i tre feriti: uno alla gamba, un altro al braccio e un terzo, di cui Tullio non ricorda dove era stato colpito. Il morto viene messo nella chiglia.

Rimangono a terra il colonnello Hoare, il maggiore Moneta e Kurt Priefert, con il compito di allontanare dal Boeing la scaletta d’imbarco. Salirebbero poi con una scaletta di corda, calata dal portello della 1^ classe.

Mike Hoare rimane pensieroso, poi sbotta: «Io non parto. Rimango con la Résistence e organizzo la rivolta.»

Tullio gli fa presente che la Resistenza organizzata non esiste, che mentre i mercenari combattevano la Resistenza se ne stava chiusa in casa. Se si fossero uniti a loro, con le armi conquistate ai soldati tanzaniani, avrebbero potuto organizzare la guerriglia e magari battere il regime di René…

Hoare sembra irremovibile. Ciò che è avvenuto e per come è avvenuto lo considera come una sconfitta personale, un’onta al suo nome.

«Va bene, colonnello Hoare,  allora rimaniamo pure noi. Non la lasceremo sola. O andiamo via tutti, e lei con noi, oppure restiamo tutti» dice Tullio.

Di fronte allo sguardo determinato di Tullio e di Kurt, che giocherella con la pistola, il colonnello Hoare abbassa il capo e accetta di salire per la scaletta di corda, seguito dagli altri due.

Il Boeing rulla sulla pista e si solleva.

Appena è in volo, ecco che la mitragliera a quattro canne comincia a sparare. Al comandante Saxena sarà sembrato di essere ritornato in guerra.

Con la differenza che i tedeschi lo avrebbero abbattuto, mentre i soldati delle Seychelles non calcolavano che avrebbero dovuto indirizzare il tiro avanti al Boeing di sei lunghezze del Boeing stesso.

I colpi finiscono quindi di molto oltre la coda dell’aereo. I traccianti e gli scoppi dei proiettili a 1500 metri d’altezza sembrano uno spettacolo pirotecnico di addio ai mercenari e ai passeggeri, che si godono la scena. Come promesso, le armi vengono smontate e consegnate al comandante Saxena, avvolte in una coperta.

Viene stappata una bottiglia di Dom Perignon per un brindisi. Poi, Dunlop Paul comincia a spiegare la situazione e come si era creata.

I passeggeri, ormai rilassati dopo i drammatici momenti vissuti, iniziano ad interrompere Paul con domande pressanti. Al che, spazientito, Paul inizia a zittirli, chiedendo loro di calmarsi…

Cominciava ad eccitarsi pure lui. Si sentiva un “Rambo”, malgrado  non avesse mai partecipato ad azioni di guerra prima d’allora. Interviene allora Tullio e gli intima di smetterla e di mettersi a sedere. Poi chiede scusa ai passeggeri, rassicurandoli che essi non sono terroristi.

Il viaggio continua così, nel silenzio. Una giovane passeggera si era intanto innamorata del mercenario Nick Wilson. Tutti e due se ne stanno a baciarsi in coda all’aereo, in attesa di arrivare a Durban.

Paddy Henrick commenta oggi quel fallito golpe, a 32 anni di distanza: «Se il nostro governo sudafricano ci avesse detto di conquistare le Seychelles – mi scrive – lo avremmo fatto. Comunque, ci avevano detto che il golpe sarebbe dovuto essere senza spargimento di sangue; avevamo quindi le mani legate e fummo costretti ad un abbandono prematuro. Purtroppo, in guerra ci sono delle vittime. La vegetazione dell’isola era il terreno ideale per noi, perché ci eravamo addestrati in terreni molto più aspri. Ricordo che la maggior parte di noi era formata da soldati molto esperti in confronto all’esercito delle Seychelles. Eravamo una forza allenata a combattere e a distruggere il nemico a tutti i costi.»

Un particolare che circola nel  giro negli ambienti bene informati è che “qualcuno” avrebbe voluto abbattere il Boeing con un missile SAM di fabbricazione sovietica mentre erano in volo sull’oceano, diretto in Sudafrica.

Poiché alcuni servizi segreti occidentali erano coinvolti nell’”affaire Seychelles” non si voleva che chi tra i mercenari sapeva dei piani occulti potesse parlare durante il processo che si sarebbe senz’altro tenuto.

Per fortuna sull’aereo c’erano quaranta passeggeri civili ed alcuni ministri dello Zimbabwe e quindi si decise di non abbattere il Boeing, onde evitare grane peggiori.

Arresto e condanna

Il presidente René aveva fatto arrestare Dolinchek e gli altri cinque congiurati rimasti sull’isola.

Salvo Dolinchek che venne graziato dalla condanna a morte (pure per questo motivo il fallito golpe puzzava di tradimento da parte sua), gli altri furono condannati a morte.

Furono poi anch’essi graziati e andarono a scontare la pena del carcere in una deliziosa isola, come fossero turisti. Furono poi liberati definitivamente tutti e sei dietro pagamento da parte del Sudafrica di 5 milioni di dollari. Quanti furono i dollari pagati da parte USA non si sa.

Il generale boero André Beukes  disse che l’assunzione di Dolinchek fu uno dei più grandi errori fatti dai servizi sudafricani. Della stessa opinione erano il generale “Rassie” Erasmus e Craig Williamson, una superspia infiltrata nel KGB.

Il Boeing era atterrato a Durban e i quarantaquattro mercenari arrestati.

Vengono portati al carcere di Zonderwater che in afrikaans significa “senz’acqua” e si pronuncia “Zontervater”.

Zonderwater  era stato un campo di prigionia dei militari italiani durante la Seconda Guerra Mondiale.

E’ rimasto come allora, meta di pellegrinaggi degli Italiani. Dopo l’affondamento della San Giorgio a Tobruk, mio padre Ermanno era rimasto internato per sei anni a Zonderwater, insieme ad altri concittadini di Corridonia, la sua città, tra cui Rinaldo Ermini, che lo ricorda nelle sue lettere alla famiglia.

Finita la guerra e la prigionia, moltissimi prigionieri italiani si stabiliranno in Sudafrica, dove già era presente una comunità italiana numerosa, che li aiutava con affetto. 

Zonderwater, i mercenari rimasero un solo giorno. Furono interrogati durante un  briefing da alti ufficiali e rilasciati.

Un magistrato interrogò Hoare, Moneta, Duffy, Doorewaard, Dalglish, Web e Goatley ed alla fine li rilasciò. Ma lo scandalo del golpe alle Seychelles era diventato uno scandalo internazionale e i governi antiapartheid fecero un putiferio. Il governo sudafricano fu costretto ad arrestare di nuovo Hoare e gli altri golpisti

Il PM chiese 10 anni per ciascun reato (pirateria aerea, possesso di armi, e aver messo in pericolo la vita dei passeggeri), secondo il Civil Aviation Act n. 10, firmato a Toronto dal Sudafrica nel 1972. I 10 anni furono in seguito abbassati a 5 anni, poi a qualche mese da scontare nella prigione di Pretoria.

A Mike Hoare andò peggio con una condanna a 10 anni, poi ridotta, e scontata infine nella prigione di Pietermaritzburg, vicino a casa sua.

Giorgio Rapanelli, Ippolito Edmondo Ferrario, “Mercenario. Dal Congo alle Seychelles. La vera storia di Chifambausiku Tullio Moneta”, Edizioni Lo Scarabeo, Milano

ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Seconda parte)

ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Seconda parte)

ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Seconda parte)

Lavoro di intelligence

Comunque sia, la pianificazione del golpe continuò.

Nel 1981 Hoare e Tullio fecero un sopralluogo nelle Seychelles. Hoare ripartì, mentre Tullio rimase. 

Tullio ebbe contatti con la Résistence, fece un sopralluogo alla stazione satellitare USA sul monte Mahé, controllò l’ambasciata sovietica dall’esterno, disegnò cartine e planimetrie della State House, del Palazzo del Governo, degli uffici del Presidente al Centro Vittoria, dell’aeroporto, dei posti della guarnigione, delle difese antiaree, delle baracche nell’aeroporto dei soldati  delle Seychelles, tanzaniani e nordcoreani.

Ritornato in Sudafrica Tullio fece una riunione con i mercenari a casa sua, a Johannesburg.

Il 23 novembre 1981 organizzò una seconda riunione sempre a casa sua a Johannesburg, a cui parteciparono tutti i mercenari, insieme a Pieter  Doorewaard e Paddy Henrick del Recce, all’austriaco-svedese Sven Forsell, produttore e regista cinematografico che voleva fare un film sui mercenari, e al noto Kevin Beck.

Alla fine giunse il momento dell’azione:  partirono da Ermelo, una cittadina del Sud Africa, attraversarono il confine con lo Swaziland per prendere il Fokker che li avrebbe portati all’aeroporto delle Seychelles con gli AK47 nascosti nel doppio fondo dei loro borsoni. 

25 novembre 1981

Tralasciamo tutto ciò che è stato già riportato da libri e articoli, con l’arrivo del Fokker dei mercenari, camuffati da rugbisti e sotto la copertura dell’associazione Ye Ancient Order of Frothblowers (l’Antico Ordine dei Bevitori di Birra), effettivamente esistente nel Regno Unito. 

Frothblowers significa “colui che soffia via la schiuma” (come per la birra). Soprattutto è determinante la testimonianza di Mike Hoare nel suo libro The Seychelles Affair, alla seconda ristampa nel 2008.

Guardiamo la scena al presente con gli occhi del testimone Tullio Moneta…

Dopo il “guaio” capitato al borsone di Beck con la scoperta dell’AK47 e dopo che è stato dato l’allarme, Tullio ricorda che Geremiah Puren grida «act!», ovvero esorta ad agire.

Tullio monta in 20 secondi l’AK47 che aveva nel sottofondo del suo borsone e si precipita nei locali della dogana.

All’improvviso si apre la porta di un ufficio ed escono due doganieri armati con l’AK47. Tullio ne affronta uno e lo sbatte contro il muro, disarmandolo. L’altro spara una raffica, colpisce tra il petto e la spalla Johann Fritz, un giovane di 20 anni del Recce Commando. Poi si volatilizza.  

Mentre Tullio chiama il medico della spedizione, dottor De Wet , Fritz viene soccorso immediatamente da due compagni del Recce.

Uno dei due è Paddy Henrick, che mi ha precisato in una lettera: «Ero con Tullio quando Johann morì. Sono arrivato quando era già a terra e cercai di confortarlo come meglio potevo. Era un mio grande amico. In quell’anno aveva corso la Comrades Marathon, una maratona in canoa nel fiume Duzi, e aveva conseguito pure due lauree.»

Il medico in forza al commando, dopo aver visitato Fritz, fa segno a Tullio e a Hoare  che non c’è nulla da fare, poiché il colpo ha reciso l’aorta.

Fritz vivrà per altri 10 minuti. Era figlio di una ricca famiglia sudafricana proprietaria di miniere.

Anthony Mockler ed altri giornalisti hanno scritto che il giovane Fritz sarebbe stato ucciso da “fuoco amico”.

E’ falso. Tullio Moneta e Paddy Henrich erano presenti ed hanno visto come sono andati i fatti: il giovane Fritz non è stato colpito dal friendly fire, ma dalla raffica del doganiere.

Nessuno ha mai chiesto a Tullio e a Paddy di raccontare la verità.

I mercenari scovano in un ufficio vicino all’aeroporto cinque impiegati, tre uomini e due donne.

Li portano dentro l’aeroporto e Tullio li fa rinchiudere in una stanza per metterli al sicuro. Uno di questi si mette ad inveire contro i mercenari, mentre gli altri quattro cercano di zittirlo.

Tullio capisce che è il solito sbruffone e dice: «Piantatela! Siamo qui per fare un lavoro. Non rompete le scatole.»

Tullio requisisce insieme al capitano inglese Mike Webb uno degli autobus che doveva trasportarli all’albergo in cui sarebbero stati alloggiati e che stazionavano all’uscita dell’aeroporto.

Ordina di andare verso le baracche dei soldati tanzaniani che sono a metà strada di lato della pista di atterraggio dell’aeroporto, mentre quelle dell’esercito delle Seychelles sono al termine della pista. 

Il pullman arriva alle baracche dei tanzaniani.

Le baracche consistono in diversi edifici tipo bungalow, ad eccezione di una casa che è di tre piani.

Intanto Tullio ed altri mercenari fanno di corsa i circa 300 metri che li separano dalle baracche dei tanzaniani e le circondano a semicerchio.  

Giunto insieme ai suoi viene accolto da due o tre colpi sparati dalle baracche. I mercenari aprono un fuoco intensivo.

Tullio ordina di sparare al secondo piano della casa in modo che i colpi vadano pure sulle scale di collegamento tra il primo e il terzo piano. 

I tanzaniani scappano. Dei nord coreani neppure l’ombra: si erano squagliati ai primi colpi provenienti  dall’aeroporto.

Tullio e i suoi si dirigono poi verso le baracche dell’esercito delle Seychelles che sono in fondo alla pista di atterraggio. Da dietro le baracche escono quattro autoblindo sovietiche. Due di queste rimangono a difesa delle baracche e due si dirigono verso l’aeroporto.

Tullio ordina al capitano Webb di ritornare con il pullman all’aeroporto per organizzare la difesa.

Tullio stesso ritorna indietro poiché è impossibile fronteggiare le autoblindo senza un bazooka.

Un autoblindo rimane indietro, mentre l’altra attacca l’aeroporto sparando con la mitragliatrice da 12,7 mm. della torretta girevole.

Le pallottole con l’anima interna in tungsteno perforano i muri dell’aeroporto. Per i mercenari asserragliati nell’aeroporto si sta mettendo male.

Tullio accerchia con i suoi l’autoblindo e ordina a Peter Rowain di “accecare” l’autoblindo, spalmandone il visore con il fango di una fogna a cielo aperto.  L’autoblindo “accecata”, una BTR sovietica, finisce con due ruote nella fogna e si inclina da un lato.

A questo punto la mitragliatrice da una parte spara verso l’alto e non può più colpire gli attaccanti. Quindi i mercenari si posizionano da quella parte sicura e ordinano agli uomini dell’autoblindo di arrendersi, altrimenti li avrebbero bruciati con le molotov che avevano preparato svuotando bottiglie di cognac del bar dell’aeroporto e riempiendole di benzina.

Mike Hoare chiede a Tullio di dire in francese all’equipaggio dell’autoblindo: «Arrendetevi, o vi bruciamo!»

Allora dalla cima della torretta appare il tenente (di nome Adnan) che comandava l’autoblindo con il mitra in mano e per questo motivo viene freddato da una decina di colpi esplosi contemporaneamente da Tullio e da tre commando. Il corpo del tenente cade dentro l’autoblindo. 

Anthony Mockler scrive che il tenente venne ucciso dall’equipaggio, in quanto voleva impedire che i suoi soldati si arrendessero.

E’ falso anche questo.

A questo punto ai soldati dell’autoblindo non rimane che arrendersi ed escono dalla torretta uno dopo l’altro, con le mani alzate.

Vengono fatti spogliare completamente nudi e cacciati via.

Si tenta di recuperare l’autoblindo, ma il circuito elettrico della torretta è saltato e la mitragliatrice è quindi inservibile. L’autoblindo viene allora abbandonata.

Al suo interno i mercenari trovano alcuni razzi anticarro, ma senza il lanciarazzi sono inservibili. Intanto, i mercenari si sono asserragliati nell’aeroporto.

La torre di controllo era stata occupata fin dall’inizio e Charles “Chaz” Goatley, che era stato pilota militare e caposquadriglia, quindi uno del mestiere, inizia a controllare il traffico aereo, soprattutto nel caso arrivassero aerei nemici.

I mercenari, proprio per evitare l’atterraggio di aerei nemici, mettono alcuni camion e automezzi  lungo la pista di atterraggio.

Resisi conto della situazione disperata, il gruppo di mercenari comincia a pensare di ripartire con il Fokker che li aveva portati alle Seychelles, ma i piloti erano fuggiti ed erano introvabili.

Sta intanto giungendo un Boeing 707 dell’Air India, proveniente da Harare, capitale dello Zimbabwe, e diretto a Bombay. Deve atterrare per forza, poiché non ha più carburante.

Infatti, il metodo usato dalla Air India per risparmiare soldi del carburante era di partire con i serbatoi piuttosto vuoti, in modo da fare il pieno alle Seychelles, dove il carburante era meno costoso.

 Chaz” Goatley invita il Boeing a non atterrare poiché la pista è interrotta. Inizia un dialogo attraverso la radio.

Il comandante del Boeing, Saxena, dice: «Devo atterrare, non ho più il carburante» «No, non puoi» risponde “Chaz” dalla torre di controllo.

«Fammi parlare con il capo della torre di controllo»

«Non è possibile. E’ assente. La pista è pure occlusa»

«Bene, io atterro lo stesso» conclude il comandante.

Non può farne a meno. Capisce però che c’è qualcosa di strano che sta accadendo. Egli è stato pilota della RAF durante l’ultima guerra ed è quindi abituato a decidere in situazioni estreme. Il comandante del Boeing, il cui vice è il capitano Misra, inizia l’atterraggio. 

 Nel farlo, il Boeing tocca con l’ala un camion che intralciava la  pista sbalzandolo ad almeno 25 metri di distanza. L’ala non viene danneggiata seriamente.

Mentre inizia il rifornimento, il comandante scende dal Boeing veramente arrabbiato.

Immagina che stia accadendo realmente qualcosa di strano. Tullio invia il capitano mercenario Ricky Stannard incontro al comandante, a cui fa un inchino dicendo: «Benvenuto alle Seychelles».

Poi il comandante Saxena parla con Hoare e con Tullio, il quale inizia a spiegargli la situazione in atto. Proprio in quel momento inizia un cannoneggiamento con 2 o 3 pezzi da  75 mm. da una distanza di circa 400 metri dalla pista, per colpire il Boeing.  

Se lo avessero colpito avrebbero fatto una strage di passeggeri. La tragedia sarebbe stata  imputata soprattutto a Mike Hoare.

Hoare contatta telefonicamente la State House per parlare con il presidente René, o con il suo “uomo forte” Berlouis, per un cessate il fuoco.

Occorre salvare la vita dei passeggeri del Boeing dell’Air India. Inizia una trattativa. Poi, il comandante del Boeing parla direttamente con il presidente René: il Boeing, che ha 40 passeggeri, ma ne può trasportare almeno 120, può ripartire non appena effettuato il rifornimento.

Poco dopo i colpi di cannone cessano, evidentemente dietro ordine del presidente René. 

Erano stati sparati una quindicina di colpi: fortunatamente i serventi ai cannoni erano poco addestrati, altrimenti sarebbe stata una strage.

Il golpe era durato dalle 18,00 alle 24,00.

Dove andare?

Messo in salvo il Boeing si presenta un problema: ormai l’attacco era fallito.

Ci sarebbe pure il pericolo di un intervento armato dei “marines” sovietici e sarebbero dolori e grane diplomatiche. Quindi dove fuggire con questo Boeing?

Utilizzarlo, o meglio dirottarlo diventa un atto di “pirateria aerea”.

Se si continua con il Boeing fino a Bombay si viene arrestati per “pirateria aerea”, processati e condannati a morte poiché in India questa sarebbe la condanna. 

Lo dirottiamo nell’Oman – si chiedono i mercenari – dove Mike Webb era già stato come consigliere militare? Oppure, in Kenya, per via degli accordi segreti di occupazione delle Seychelles da parte del governo keniota?

Solo che quel governo non vorrebbe che i piani venissero alla luce del sole, attuati addirittura con mercenari sudafricani…

Tullio propone di farsi portare nel Botswana, che confina col Sudafrica, e da lì passare la frontiera del Sudafrica. Soluzione scartata, perché troppo macchinosa e piena di incognite. Alla fine si decide di atterrare a Durban, in Sudafrica.

Mike Hoare propone di distruggere le armi prima del decollo. Tullio si oppone con forza all’idea del suo colonnello, poiché non vuole finire massacrato insieme ai suoi uomini, qualora dovessero rimanere a terra per qualche motivo. 

Tullio dice: «L’aereo è danneggiato e potrebbe non decollare. Se poi dovesse decollare, potremmo essere colpiti da quella mitragliera sovietica a quattro canne da 14,5 mm., in postazione tra le baracche dei soldati in fondo alla pista. In questo caso, il Boeing dovrebbe atterrare di nuovo e noi, disarmati, potremmo essere catturati o ammazzati.»

Giorgio Rapanelli, Ippolito Edmondo Ferrario, “Mercenario. Dal Congo alle Seychelles. La vera storia di Chifambausiku Tullio Moneta”, Edizioni Lo Scarabeo, Milano

Accadde Domani. 25 novembre 1981. Il tentato golpe alle isole Seychelles nella testimonianza di Tullio Moneta (Prima parte)

Accadde Domani. 25 novembre 1981. Il tentato golpe alle isole Seychelles nella testimonianza di Tullio Moneta (Prima parte)

ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (PRIMA PARTE)

Evoluzione del golpe

Terminata la lavorazione del film I quattro dell’Oca Selvaggia, iniziò l’organizzazione del golpe.  Tullio e William Dunlop Paul, il proprietario di una catena di palestre ed esperto di karate ed arti marziali, di cui si è detto sopra, che però mai aveva combattuto,  si misero in moto per reclutare i mercenari che conoscevano fin dal Congo. Nel frattempo i due furono contattati dal comandante George Schroeder per organizzare insieme a lui un piano, che ai due sembrò surreale e che, quindi, non accettarono. Ma la vera ragione per cui non accettarono era che non avrebbero abbandonato Mike Hoare, che intanto teneva contatti con diplomazie e servizi segreti occidentali, e con il governo delle Seychelles in esilio. Hoare fece vedere una volta una lettera inviatagli dagli ex-ministri, che lo invitavano a compiere il golpe. Intanto l’operazione andava avanti con il reclutamento di due capitani, tre tenenti e vari graduati che erano nel Quinto Commando in Congo. Furono reclutati validi combattenti come Barney Carey, Geremiah Puren, pilota di piccoli aerei nella campagna del Congo, Peter Rohein, Kurt Priefert, Desmond Jurgen Botes, detto “Des Botes”, Charley William Duchi, detto “Charley Dukes”, Roger England, ed altri.

Tullio reclutò anche 20 uomini del Recce Commando che come abbiamo detto era un corpo speciale formato da patrioti volontari, molti dei quali provenivano da famiglie benestanti, da dirigenti amministrativi e dalla magistratura, e perfino da ex-ministri sudafricani, che venivano addestrati fino a perdere la propria personalità.

Ad esempio, dopo aver fatto 40 chilometri con zaino ed armamento, senza mangiare e bere acqua, in un ambiente piuttosto arido, tipo quello che appare nel film I quattro dell’Oca Selvaggia, girato proprio in quei  luoghi, gli aspiranti commando del Recce  giungevano ad un baobab, sotto cui stava seduto un istruttore che beveva una Coca Cola ghiacciata. Per gli affamati e assetati c’era solo del pane imbevuto di alcol denaturato e dell’acqua mescolata ad urina. L’addestratore, indicando un frigorifero portatile pieno di bevande ghiacciate, chiedeva: «Chi vuol bere una Coca Cola?». Chi si avvicinava per bere la bibita fresca veniva scartato in quanto non era adatto a fare parte della élite del Recce Commando. Questo era ciò che il colonnello del Recce  Van der Spy raccontò a Tullio.

Nel Recce esistevano molte specializzazioni. Ad esempio c’era un corso avanzato di paracadutismo chiamato HALOHigh Altitude Low Open, in cui ci si gettava da 30.000 piedi, circa 9.000 metri, con il respiratore. E ancora si insegnavano tecniche di sopravvivenza e addestramento a seguire le tracce sul terreno, apprese dai boscimani, infiltrazione in territorio nemico con marce, paracadutismo e dal mare, fusione col nemico, addestramento con le armi in uso in tutti i Paesi del mondo, (quindi armi pesanti come contraerea e artiglieria), cecchinaggio. C’erano poi corsi sugli esplosivi e sulle mine antiuomo e su come disinnescarle, alpinismo, addestramento su terreni diversi e in diversi climi. E ciò durava per mesi… Il Recce Commando era un’unità di forza permanente. All’epoca il Sudafrica era circondato da nemici e l’ANC (African National Congress) di quegli anni era ben diverso da ciò che è oggi. All’epoca esisteva una branca armata dell’ANC, l’Umkonto we siswe, la “lancia della nazione”, di cui Nelson Mandela era il presidente. Erano marxisti e compivano sabotaggi e azioni di terrorismo  con vittime in bar, in ristoranti, nelle chiese. Esisteva l’infiltrazione da paesi confinanti come Mozambico, Botswana e Swaziland di forze comuniste (cubani, sovietici, tedeschi orientali, cinesi) con il compito di addestrare i loro nemici. I patrioti del Recce hanno combattuto per il loro Paese e per la libertà religiosa. Paddy, infatti, era ed è un cattolico praticante. 

Tullio non avrebbe mai fatto parte di questo corpo speciale, che non “pensava”, ma che “ubbidiva” ciecamente agli ordini. I mercenari dovevano invece pensare velocemente con la propria mente e decidere velocemente il da farsi.

Il sospetto

Avvennero però cose che misero in sospetto Tullio. Intanto egli non capiva perché al golpedovevano partecipare membri dei servizi segreti come Martin Dolinchek che era entrato nel 1978 portandosi dietro pure Peter Duffy, il fotoreporter che seguì la campagna dei mercenari in Congo standosene al sicuro nel campo base. Tullio considerava Dolinchek e Duffy dei “venditori di fumo”.    

Facevano parte pure agenti dei servizi come Kenneth John Kelly, detto “Blue Kelly,  unaustraliano, e Jan Olav Sydow, uno svedese che conosceva l’inglese e il russo.

Tipi “oscuri e inaffidabili” come quelli, sospettati di essere killer professionisti: che ci stavano a fare in mezzo a militari organizzati, si chiedeva Tullio?   

Come mai, fallito il coup d’état, il colpo di Stato, tutti i mercenari catturati furono condannati a morte dal Regime di René, salvo Dolinchek? Come mai quest’ultimo, appena iniziato il combattimento, scomparve per mettersi in salvo in un hotel a bere birra?

Fonti confidenziali del  Recce assicurano che Kevin Beck odiava Dolinchek, Duffy e Kelly, come del resto quasi tutti i Recce Commando.

Tullio aveva cercato, prima di partire per le Seychelles, di conoscere il pensiero di due dei migliori combattenti, Pieter Doorewaard e Paddy Henrick, esperti group leaders del Recce, sulle cose che lo insospettivano, soprattutto per gli accordi iniziali che venivano disattesi, facendo ritirare dal complotto ottimi ufficiali. Essi rispondevano che in questo genere di azioni poteva capitare di dover decidere di tagliare alcune cose, impossibili da realizzare. Comunque, l’azione doveva andare in porto, pur mancando  le armi pesanti trasportate con uno yacht

Tullio si chiedeva pure se c’era forse l’ordine di assassinare l’usurpatore René ed alcuni ministri chiave. Tullio fu pubblicamente categorico, perfino con Mike Hoare presente: «Noi siamo dei soldati combattenti, non degli assassini. Il lavoro sporco non lo facciamo… Né permetterò che lo facciano altri. Noi saremo nelle Seychelles come soldati dell’Occidente solo per abbattere il regime filocomunista di René e ridare il potere al presidente legittimo Jimmy Mancham. Stop. Se poi, dopo esserci ritirati dalle Seychelles e dato il potere in mano agli uomini della Resistenza, vorranno attuare le vendette sarà affare loro. E’ chiaro?»

Lo allarmava non ultimo  il fatto che era stato annullato lo yacht che avrebbe dovuto trasportare alle Seychelles le armi pesanti, mitragliatrici e bazooka, già nascoste in precedenza nella villa di Hoare. Tullio sapeva che l’esercito delle Seychelles aveva autoblindo e mezzi pesanti, che non si sarebbero potuti neutralizzare con i mitragliatori leggeri AK47, in dotazione. Non c’era neanche più il C 130 per il trasporto delle armi e dei mercenari. In un incontro di Tullio e di Dunlop Paul con  il maggiore Willie Ward del RecceCommando notarono che quest’ultimo faceva delle difficoltà e alla fine si ritirò… Si era ritirato anche un certo Bryan Walls del Recce Commando che nella vita civile faceva il gioielliere, ma era una professione di copertura. Pure quattro ufficiali del Recce si erano ritirati… La cosa cominciava a puzzare all’olfatto sospettoso di Tullio.

Però Mike Hoare giustificava tutto ciò che accadeva come cose che erano state decise dall’alto. Pure alcuni ufficiali dei mercenari, sentendo puzza di bruciato, si ritirarono. Tullio rimase nel commando per la fedeltà e per l’amicizia verso Hoare che aveva maturato in anni di collaborazione in Congo e in altre azioni. Non voleva che circolasse la voce che il maggiore Tullio Moneta aveva abbandonato il suo colonnello per timore di un esito negativo dell’azione.

C’era poi pure una parte di egoismo in questa decisione. Tullio si chiedeva: e se, invece, le cose fossero andate bene, come pronosticava Hoare e senza alcun spargimento di sangue, egli avrebbe perduto un’occasione d’oro per aumentare il proprio prestigio in quel mondo dove si preferisce morire piuttosto che fallire?

Comunque, per sminuire le defezioni, Hoare aveva messo Tullio sotto i riflettori del palcoscenico, dicendo pubblicamente in una riunione collettiva: «Finché ho gente come Tullio sto a posto. Voi potete andare pure via tutti.»

Giorgio Rapanelli, Ippolito Edmondo Ferrario, “Mercenario. Dal Congo alle Seychelles. La vera storia di Chifambausiku Tullio Moneta”, Edizioni Lo Scarabeo, Milano

Accadde domani. 28 ottobre 1967. La morte del volontario Guy Leleup

Accadde domani. 28 ottobre 1967. La morte del volontario Guy Leleup

28 ottobre 1967. La morte del volontario Guy Leleup

Leleup era un volontario belga, ma nato in Congo. «Guy morì da eroe il 28 ottobre del 1967 durante le ultime fasi dell’assedio di Bukavu. Rimase a proteggere la ritirata dei suoi compagni e cadde prigioniero. Quando il colonello Schramme con altri uomini giunse in suo soccorso, Leleup, mentre era tenuto legato ad un albero, urlò a Scharamme avvisandolo dell’imminente imboscata e permettendogli di salvarsi. Leleup fu ucciso con un colpo di pistola in fronte. Venne poi decapitato e la sua testa infilzata su una baionetta per essere portata come trofeo dai soldati congolesi dell’ANC. Questa è la vera storia della morte di Guy Leleup del Para Groupe Cobra».

Così lo ricorda in alcuni significativi passaggi il colonello Jeanne Scharamme nel suo libro di memorie Il Battaglione Léopard. Ricordi di un africano bianco: «Di tutti i nuovi provenienti dalla 6a brigata quello che mi impressionò maggiormente fu il maresciallo Guy Leleup. Era un giovane idealista che conosceva perfettamente gli indigeni e ne parlava correttamente la lingua. Solitario per natura, era mal compreso dal suo comandante, il maggiore Noddyn. Ragazzi del genere erano l’opposto di ciò che normalmente viene chiamato un “mercenario”. Non poteva andar assolutamente d’accordo con Bob Denard e il suo lavoro non era mai stato apprezzato; ma è risaputo che i caratteri energici e le nature generose si rivelano nelle avversità (…)». Compresi subito che la morte di Leleup era un fatto estremamente grave: perdevo una delle posizioni-chiave ma anche uno dei miei migliori ufficiali, un vero simbolo di ciò che stavamo tentando di salvare in Congo: la fratellanza nelle armi tra bianchi e neri».

Tratto da: Robert Muller, Ippolito Edmondo Ferrario, Maktub. Congo-Yemen 1965/1969, Ritter Edizioni.

 

 

 

 

Italo Zambon. Il paracadutista della Folgore morto durante l’assedio di Bukavu nel 1967

Italo Zambon. Il paracadutista della Folgore morto durante l’assedio di Bukavu nel 1967

Italo Zambon è stato uno dei volontari italiani più conosciuti e apprezzati. Veneziano, già parà della Folgore, operò prima nella zona di Paulis e successivamente, alla fine del marzo 1965, insieme al volontario Jean-Claude Laponterique (proveniente dal 11e Régiment Parachutiste de Choc di stanza a Calvi) fu aggregato al 1er CHOC guidato da Bob Denard; qui venne inserito nel gruppo comandato da Roger Bruni e denominato Charly One. L’altro solo italiano presente era Carlo Chiesa, proveniente dai ranghi della Legione Straniera. Zambon si guadagnò il soprannome di “orecchiofino” per la sua capacità in pattuglia di percepire i movimenti dei ribelli ed evitare di cadere nelle loro imboscate. Prima di giungere in Congo aveva viaggiato moltissimo, spesso con mezzi di fortuna, raggiungendo il Nord Africa e attraversando il deserto con le carovane. Zambon troverà la morte durante le ultime fasi dell’assedio della città di Bukavu il 29 ottobre 1967, durante uno degli attacchi più violenti condotti dalle truppe dell’ANC. Nel suo libro Il battaglione Léopard Jean Schramme ricorda le ultime concitate fasi dell’assedio della città: «Baka non avrebbe potuto essere raggiunta. Al calare della notte la 4a compagnia sarebbe stata obbligata a sganciarsi verso la posizione Venus. Anche il mio commando fu obbligato a indietreggiare e recuperammo le mitragliatrici e il cannone delle jeeps. Al mio fianco, Italo Zambon fu letteralmente tagliato in due da una raffica di mitragliatrice pesante. Era il migliore dei nostri volontari italiani». E ancora il volontario francese Jean-Claude Laponterique lo ricorda con affetto: «In combattimento Italo era una persona di cui ti potevi fidare. Nei momenti liberi era estremamente simpatico e faceva ridere per quel suo strano accento con cui parlava il francese. Era sempre pronto ad aiutare le persone che abbiamo salvato dai ribelli. Quando mi sono congedato e ci siamo ritrovati insieme a Parigi mi ha chiesto se fossi disposto a ritornare in Congo. Io gli dissi di no, per me l’avventura era terminata. Ormai i ribelli erano stati debellati ad eccezione di poche zone residue. Lui partì nuovamente. Tempo dopo venni a sapere della sua fine. Sono certo che è morto in quella terra che amava più di tutto». 

(Foto J.C.L.)