Tullio Moneta ci ha lasciati. L’oca selvaggia è volata

Tullio Moneta ci ha lasciati. L’oca selvaggia è volata

 

Giovedì, 31 marzo 2022, Tullio Moneta ci ha lasciato.

Piace ricordare che combatté per due anni i ribelli Simba per conto dell’ONU con il 5 Commando mercenario anglosassone, fino a ricoprire il grado di Maggiore. Come comandante volontario, insieme ad una pattuglia di volontari, quindi non coperti da assicurazione in caso di morte o di ferimento, partecipò alla liberazione di suore, ostaggi dei Simba. Salvò dall’assassinio un ragazzo poliomielitico ed una vecchia congolese, trovati in un villaggio Simba.
Partecipò come vice-comandante del Colonnello Mike Hoare al fallito tentativo di golpe alle Seychelles per riportare nel campo occidentale il governo di quell’isola, che era stato usurpato da un golpe filomarxista.

Tullio Moneta, sotto la “copertura” di attore, ha sempre lavorato per l’”intelligence” occidentale contro quelle dell’Est sovietico, fino alla caduta del Muro di Berlino.

Tornò in Italia per curarsi una ferita alla gamba destra, causata da un attentato alla sua persona. Ha passato i suoi ultimi anni a Macerata, tra un ricovero e l’altro, soffrendo stoicamente fino alla fine, avvenuta nella tarda serata di giovedì 31 marzo nell’ospedale di San Severino Marche.

Tullio Moneta aveva sempre combattuto per la salvaguardia della civiltà occidentale. Aveva in programma di educare alla lotta i giovani su questa strategia, poiché si era accorto che la nostra millenaria civiltà europea era stata tradita. Non si riconosceva, quindi, nella nuova civiltà, imposta da interessi mondiali, che con l’Europa democratica dei popoli europei nulla ha a che vedere. Diceva che alle democrazie popolari sono state imposte “signorie e principati”, non scelte dal popolo. Quindi, pur nel suo piccolo, c’era da fare qualcosa per ristabilire i diritti dei popoli.

Mi chiedeva sempre, non potendolo magari farlo personalmente, di ringraziare per l’aiuto ricevuto in questi ultimi anni i Servizi sociali del Comune di Macerata, le ACLI, l’Ospedale civile di Macerata, la Clinica Marchetti, la Villa dei Pini e l’Istituto Santo Stefano, l’Ospedale Civile di Civitanova Marche, di Treia, di Camerino e di San Severino, dove è deceduto. E la Casa di Riposo di Mogliano, dove aveva vissuto per alcuni mesi. Infine, un saluto affettuoso ai diversi amici che in Italia hanno collaborato con lui, insieme a quelli maceratesi della sua giovinezza e a quelli di recente conoscenza.

31 marzo 2022

Giorgio Rapanelli


Un’inedita testimonianza di Tullio Moneta. Storia di un blitz organizzato per liberare suore e religiosi

Un’inedita testimonianza di Tullio Moneta. Storia di un blitz organizzato per liberare suore e religiosi

Un’inedita testimonianza di Tullio Moneta. Storia di un blitz organizzato per liberare suore e religiosi

Pubblico la testimonianza di Tullio Moneta, raccolta da Giorgio Rapanelli, circa uno dei blitz ai quali lo stesso mercenario italiano prese parte quando era in Congo per liberare un gruppo di suore e di religiosi tenuti in ostaggio dai Simba.

La preparazione del blitz

Il colonnello Peters convocò gli ufficiali nella sala mensa, dove si tenevano le riunioni strategiche militari.

Il lungo tavolo era cosparso di carte topografiche, che il colonnello stava studiando con alcuni scout.

Quando gli ufficiali furono tutti presenti il colonnello esordì: “Salvo le pattuglie oggi operanti, mi rivolgo solo a chi è in libertà”. Dopo una pausa continuò: “I nostri informatori congolesi mi dicono che alcune suore belghe sono tenute in ostaggio dai Simba in un villaggio a nord ovest di Fizi, a circa trenta chilometri da Fizi.

Adesso, pur non essendo un obiettivo militare, ci sentiamo in dovere di liberarle. Mi occorre un ufficiale volontario e dei volontari…”

Da tempo si sapeva che alcune suore dell’ordine religioso di suor Annunziata, quelle che non erano riuscite a fuggire, erano state prese prigioniere dai Simba unicamente perché erano infermiere.

Le altre erano state uccise. Però, nessuno sapeva dove queste suore fossero tenute in ostaggio.

Adesso gli informatori congolesi assicuravano che quattro suore erano ancora in vita, insieme ad un fratello missionario nero, in un villaggio che era stato finalmente individuato sulla carta topografica.

Poiché non erano obiettivi militari, i soldati non erano obbligati a partecipare.

Solo chi partecipava a combattimenti di tipo militare aveva diritto alla diaria e all’assicurazione in caso di morte o di ferimento.

Quindi, nessuna diaria e copertura per i volontari.

Il colonnello Peters continuò: “Come ben sapete, i volontari che parteciperanno all’azione lo faranno gratuitamente e a loro rischio e pericolo…È chiaro?”. Tutti gli ufficiali rimasero presenti, in silenzio.

“Bene – continuò il colonnello – poiché si tratta di suore cattoliche rivolgo l’invito agli ufficiali e ai soldati cattolici. Poiché, nel 5 Commando esiste un solo ufficiale cattolico, il tenente Tullio Moneta, lo invito, senza costrizione, ad organizzare una pattuglia di soldati cattolici per liberare le suore. È chiaro, tenente Moneta?”

“Io non sono un credente cattolico – replicò il tenente Tullio Moneta.

“Sì, ma sei un Italiano e quindi sei cattolico – replicò Peters, con un ironico sorriso… Al quale Moneta rispose con un altrettanto ironico sorriso.

Dopo che Peters mise in libertà gli ufficiali, furono sguinzagliati i sergenti per trovare i volontari cattolici.

In breve tempo ne trovarono una trentina da diverse pattuglie e non tutti cattolici, ma pure protestanti e non credenti.

Tullio ne scelse dieci tra quelli delle varie pattuglie, i migliori come combattenti e fisicamente in ottima forma, facendo firmare loro una dichiarazione che in quell’azione erano in veste di “volontari”.

Ossia, in caso di morte o ferimento non avrebbero avuto compensi finanziari come da contratto, in quanto un’azione umanitaria non era vista come azione militare. Pure i tre mercenari italiani che erano nella pattuglia di Tullio Moneta – Piero Nebiolo, Eugenio Ciccocelli e Perissinotto – fecero parte del commando dei volontari.

Non era la prima volta che Tullio aveva liberato religiosi e civili.

Era capitato altre volte che dopo una sconfitta militare, i Simba scappassero, lasciando vivi gli ostaggi imprigionati. Ma questa sarebbe stata un’azione di guerriglia umanitaria.

Si sarebbe trattato però sempre di un attacco militare, sapendo pure dove si trovassero gli ostaggi, lasciandoli incolumi.

Come faceva sempre prima di partire per un’azione, Tullio controllava lo stato di salute degli uomini della pattuglia. Dovevano essere in perfetta forma mentale, e senza problemi fisici al corpo, alle gambe e ai piedi.

Andare in pattuglia con problemi soprattutto ai piedi feriti significava creare problemi agli altri mercenari e a non poter ritornare. Piedi e gambe in forma eccellente significava la salvezza, a parte le pallottole.

Usciti dalla sicurezza della base trincerata di Baraka, i mercenari sarebbero stati soli in un territorio ostile, sia per i nemici Simba, sia per i pericoli in agguato nelle foreste e nelle savane congolesi.

Era sempre possibile pestare un serpente Mamba… Sapevano che dovevano contare solo sul loro comandante e su ogni commilitone, oltre agli scout, senza i quali un mercenario bianco si sarebbe perso in quell’ambiente equatoriale.

Tullio controllò pure il funzionamento delle armi, se il numero dei caricatori fosse sofficiente, insieme all’attrezzatura sanitaria del “medic”, ossia del mercenario che, oltre che combattente, aveva le funzioni di primo intervento sanitario in caso di ferimento.  Infine, studiò ancora le carte topografiche con gli esperti.

Avrebbe avuto la copertura aerea di un cacciabombardiere T28, come osservatore dall’aria delle mosse dei Simba e in continuo contatto radio con la pattuglia. La pattuglia avrebbe avuto solo un armamento leggero, perché l’azione di guerriglia sarebbe stata quella del tipo “mordi e fuggi”.

Si sarebbe trattato un attacco improvviso e di una ritirata veloce per rientrare alla base, portando con sé gli ostaggi liberati. Ma non si conosceva la effettiva situazione.

Gli informatori congolesi parlavano di un villaggio stabile con circa un’ottantina di Simba, più qualche donna.

Quindi i mercenari avrebbero dovuto compiere con gli scout una osservazione dell’obiettivo, dove erano tenuti rinchiusi i cinque ostaggi e poi sferrare un attacco.

Ma sarebbero dovuti prima giungere sull’obiettivo, osservare la situazione, decidere e poi agire…

La pattuglia partì da Baraka con un solo camion, scortata dall’autoblindo Ferret di “Skinny” Coleman, più due serventi del mezzo.

Giunti alla base delle colline a nord ovest di Fizi gli uomini scesero dal camion, che fu mimetizzato, mentre Coleman metteva in posizione la mitragliatrice del Ferret sul sentiero da cui sarebbero poi ritornati i mercenari dopo l’azione, per respingere eventuali inseguitori Simba.

Il drappello dei volontari si incamminò verso quel villaggio Simba individuato sulla carta topografica.

Precedevano il drappello gli scout katanghesi che il tenente Mutambala forniva costantemente al 5 Commando, più un altro paio di mercenari esperti nel seguire le tracce.

Il drappello camminava veloce, senza parlare. Nelle fitte erbe della savana solo i piedi sentivano il sentiero.

Nelle foreste che attraversavano il caldo era afoso. Ma era ciò che incontravano sempre durante la stagione secca.

Mentre attraversavano una savana videro giungere di corsa uno scout che riferì al tenente Moneta che i mercenari e gli scout mandati in avanscoperta avevano intercettato le quattro suore bianche e i fratello missionario nero mentre lavavano i panni in un ruscello, guardate da cinque Simba armati, a circa quattrocento metri da lì, nella foresta… I mercenari e gli scout si erano acquattati, tenendo sotto tiro i Simba, che stavano chiacchierando tra di loro, con i kalashnikov buttati da una parte, lontani da loro.

Evidentemente, non si aspettavano un attacco.

Né pensavano ad una ribellione da parte delle religiose e del missionario nero.

In prossimità del ruscello dove erano le suore e i Simba, Tullio fece muovere i suoi uomini a semicerchio, spedendo contemporaneamente uno scout e un mercenario sul sentiero verso l’accampamento Simba, che era a circa cinquecento metri da lì.

Quando i mercenari uscirono allo scoperto con le armi spianate, lo stupore si dipinse sul volto dei Simba, delle religiose e del fratello missionario nero. La sorpresa aveva paralizzato i Simba che furono ammucchiati da una parte, sotto tiro delle armi, mentre alcuni mercenari prelevavano i kalashnikov.

Le suore erano macilente, provate, seminude.

Non erano una bella visione… Erano state violentate dai Simba.

Due di esse erano incinte; e si vedeva dal ventre gonfio.

Mentre i mercenari cercavano qualche camicia per ricoprire le nudità delle suore, la radio gracchiò: “Attenzione, attenzione, da Aquila Bianca a Tiger… I Simba del villaggio stanno velocemente venendo verso di voi. Aquila Bianca cercherà di impegnarli e di bloccarli per un quarto d’ora. È il tempo che noi possiamo avere per rimanere in zona prima di rientrare”.

Infatti, era quella l’autonomia che avevano in zona di combattimento gli aerei che partivano dalla base di Albertville, a sud del lago Tanganika.

Tullio dette ordine di rimettersi in marcia velocemente. “Sorelle – disse alle suore – sono spiacente, ma dobbiamo andare via di corsa, perché stanno arrivando i Simba”.

Non potendo portarsi dietro prigionieri, diede l’ordine a Piero Nebiolo di risolvere la cosa. I Simba sapevano di dover morire, ma erano impassibili. Era come se la morte non li riguardasse. Tullio osservava le suore, mentre risuonavano i cinque colpi di pistola di Nebiolo. I volti delle sorelle erano a loro volta impassibili.

Solo ad una suora un lampo di gioia velò gli occhi.

Evidentemente, dopo ciò che avevano subito dai Simba, l’idea della fratellanza tra gli uomini di tutte le razze era stata riconsiderata.

“Adesso dobbiamo andare veloci – disse Tullio ai liberati – Il T28 per un po’ fermerà i Simba, che resteranno immobili nelle erbe della savana per non essere mitragliati”.

Le suore e il missionario nero camminavano veloci come i mercenari, in silenzio.

Tullio aveva lasciato una piccola retroguardia per impegnare eventualmente i Simba in un combattimento di copertura.

Quando giunsero al camion e al Ferret dopo una marcia spossante le suore e il missionario nero si liberarono del peso dell’angoscia con cui avevano convissuto per mesi.

Si misero ad abbracciare i mercenari, a ridere e a piangere contemporaneamente.

Poi vennero portate con il camion a Fizi e lasciate in quella base del 5 Commando.

Sarebbero state riportate nei giorni successivi ad Albertville dalla loro madre superiora, suor Annunziata.

Quando alcuni giorni dopo venne fatta una spedizione armata più consistente per distruggere definitivamente quel villaggio Simba, i mercenari trovarono una radura vuota, senza più le capanne.

Evidentemente temevano un successivo attacco mercenario e quindi smantellarono le capanne, portandosi via i pali da riutilizzare per un nuovo villaggio da qualche altra parte.

 

 

ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Terza parte)

ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Terza parte)

ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Terza parte)

Si decolla

Si decide di partire. Le armi, una volta in volo e fuori del tiro della mitragliera, verranno smontate e consegnate al comandante Saxena. 

I mercenari salgono tutti, compresi i tre feriti: uno alla gamba, un altro al braccio e un terzo, di cui Tullio non ricorda dove era stato colpito. Il morto viene messo nella chiglia.

Rimangono a terra il colonnello Hoare, il maggiore Moneta e Kurt Priefert, con il compito di allontanare dal Boeing la scaletta d’imbarco. Salirebbero poi con una scaletta di corda, calata dal portello della 1^ classe.

Mike Hoare rimane pensieroso, poi sbotta: «Io non parto. Rimango con la Résistence e organizzo la rivolta.»

Tullio gli fa presente che la Resistenza organizzata non esiste, che mentre i mercenari combattevano la Resistenza se ne stava chiusa in casa. Se si fossero uniti a loro, con le armi conquistate ai soldati tanzaniani, avrebbero potuto organizzare la guerriglia e magari battere il regime di René…

Hoare sembra irremovibile. Ciò che è avvenuto e per come è avvenuto lo considera come una sconfitta personale, un’onta al suo nome.

«Va bene, colonnello Hoare,  allora rimaniamo pure noi. Non la lasceremo sola. O andiamo via tutti, e lei con noi, oppure restiamo tutti» dice Tullio.

Di fronte allo sguardo determinato di Tullio e di Kurt, che giocherella con la pistola, il colonnello Hoare abbassa il capo e accetta di salire per la scaletta di corda, seguito dagli altri due.

Il Boeing rulla sulla pista e si solleva.

Appena è in volo, ecco che la mitragliera a quattro canne comincia a sparare. Al comandante Saxena sarà sembrato di essere ritornato in guerra.

Con la differenza che i tedeschi lo avrebbero abbattuto, mentre i soldati delle Seychelles non calcolavano che avrebbero dovuto indirizzare il tiro avanti al Boeing di sei lunghezze del Boeing stesso.

I colpi finiscono quindi di molto oltre la coda dell’aereo. I traccianti e gli scoppi dei proiettili a 1500 metri d’altezza sembrano uno spettacolo pirotecnico di addio ai mercenari e ai passeggeri, che si godono la scena. Come promesso, le armi vengono smontate e consegnate al comandante Saxena, avvolte in una coperta.

Viene stappata una bottiglia di Dom Perignon per un brindisi. Poi, Dunlop Paul comincia a spiegare la situazione e come si era creata.

I passeggeri, ormai rilassati dopo i drammatici momenti vissuti, iniziano ad interrompere Paul con domande pressanti. Al che, spazientito, Paul inizia a zittirli, chiedendo loro di calmarsi…

Cominciava ad eccitarsi pure lui. Si sentiva un “Rambo”, malgrado  non avesse mai partecipato ad azioni di guerra prima d’allora. Interviene allora Tullio e gli intima di smetterla e di mettersi a sedere. Poi chiede scusa ai passeggeri, rassicurandoli che essi non sono terroristi.

Il viaggio continua così, nel silenzio. Una giovane passeggera si era intanto innamorata del mercenario Nick Wilson. Tutti e due se ne stanno a baciarsi in coda all’aereo, in attesa di arrivare a Durban.

Paddy Henrick commenta oggi quel fallito golpe, a 32 anni di distanza: «Se il nostro governo sudafricano ci avesse detto di conquistare le Seychelles – mi scrive – lo avremmo fatto. Comunque, ci avevano detto che il golpe sarebbe dovuto essere senza spargimento di sangue; avevamo quindi le mani legate e fummo costretti ad un abbandono prematuro. Purtroppo, in guerra ci sono delle vittime. La vegetazione dell’isola era il terreno ideale per noi, perché ci eravamo addestrati in terreni molto più aspri. Ricordo che la maggior parte di noi era formata da soldati molto esperti in confronto all’esercito delle Seychelles. Eravamo una forza allenata a combattere e a distruggere il nemico a tutti i costi.»

Un particolare che circola nel  giro negli ambienti bene informati è che “qualcuno” avrebbe voluto abbattere il Boeing con un missile SAM di fabbricazione sovietica mentre erano in volo sull’oceano, diretto in Sudafrica.

Poiché alcuni servizi segreti occidentali erano coinvolti nell’”affaire Seychelles” non si voleva che chi tra i mercenari sapeva dei piani occulti potesse parlare durante il processo che si sarebbe senz’altro tenuto.

Per fortuna sull’aereo c’erano quaranta passeggeri civili ed alcuni ministri dello Zimbabwe e quindi si decise di non abbattere il Boeing, onde evitare grane peggiori.

Arresto e condanna

Il presidente René aveva fatto arrestare Dolinchek e gli altri cinque congiurati rimasti sull’isola.

Salvo Dolinchek che venne graziato dalla condanna a morte (pure per questo motivo il fallito golpe puzzava di tradimento da parte sua), gli altri furono condannati a morte.

Furono poi anch’essi graziati e andarono a scontare la pena del carcere in una deliziosa isola, come fossero turisti. Furono poi liberati definitivamente tutti e sei dietro pagamento da parte del Sudafrica di 5 milioni di dollari. Quanti furono i dollari pagati da parte USA non si sa.

Il generale boero André Beukes  disse che l’assunzione di Dolinchek fu uno dei più grandi errori fatti dai servizi sudafricani. Della stessa opinione erano il generale “Rassie” Erasmus e Craig Williamson, una superspia infiltrata nel KGB.

Il Boeing era atterrato a Durban e i quarantaquattro mercenari arrestati.

Vengono portati al carcere di Zonderwater che in afrikaans significa “senz’acqua” e si pronuncia “Zontervater”.

Zonderwater  era stato un campo di prigionia dei militari italiani durante la Seconda Guerra Mondiale.

E’ rimasto come allora, meta di pellegrinaggi degli Italiani. Dopo l’affondamento della San Giorgio a Tobruk, mio padre Ermanno era rimasto internato per sei anni a Zonderwater, insieme ad altri concittadini di Corridonia, la sua città, tra cui Rinaldo Ermini, che lo ricorda nelle sue lettere alla famiglia.

Finita la guerra e la prigionia, moltissimi prigionieri italiani si stabiliranno in Sudafrica, dove già era presente una comunità italiana numerosa, che li aiutava con affetto. 

Zonderwater, i mercenari rimasero un solo giorno. Furono interrogati durante un  briefing da alti ufficiali e rilasciati.

Un magistrato interrogò Hoare, Moneta, Duffy, Doorewaard, Dalglish, Web e Goatley ed alla fine li rilasciò. Ma lo scandalo del golpe alle Seychelles era diventato uno scandalo internazionale e i governi antiapartheid fecero un putiferio. Il governo sudafricano fu costretto ad arrestare di nuovo Hoare e gli altri golpisti

Il PM chiese 10 anni per ciascun reato (pirateria aerea, possesso di armi, e aver messo in pericolo la vita dei passeggeri), secondo il Civil Aviation Act n. 10, firmato a Toronto dal Sudafrica nel 1972. I 10 anni furono in seguito abbassati a 5 anni, poi a qualche mese da scontare nella prigione di Pretoria.

A Mike Hoare andò peggio con una condanna a 10 anni, poi ridotta, e scontata infine nella prigione di Pietermaritzburg, vicino a casa sua.

Giorgio Rapanelli, Ippolito Edmondo Ferrario, “Mercenario. Dal Congo alle Seychelles. La vera storia di Chifambausiku Tullio Moneta”, Edizioni Lo Scarabeo, Milano

ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Seconda parte)

ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Seconda parte)

ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Seconda parte)

Lavoro di intelligence

Comunque sia, la pianificazione del golpe continuò.

Nel 1981 Hoare e Tullio fecero un sopralluogo nelle Seychelles. Hoare ripartì, mentre Tullio rimase. 

Tullio ebbe contatti con la Résistence, fece un sopralluogo alla stazione satellitare USA sul monte Mahé, controllò l’ambasciata sovietica dall’esterno, disegnò cartine e planimetrie della State House, del Palazzo del Governo, degli uffici del Presidente al Centro Vittoria, dell’aeroporto, dei posti della guarnigione, delle difese antiaree, delle baracche nell’aeroporto dei soldati  delle Seychelles, tanzaniani e nordcoreani.

Ritornato in Sudafrica Tullio fece una riunione con i mercenari a casa sua, a Johannesburg.

Il 23 novembre 1981 organizzò una seconda riunione sempre a casa sua a Johannesburg, a cui parteciparono tutti i mercenari, insieme a Pieter  Doorewaard e Paddy Henrick del Recce, all’austriaco-svedese Sven Forsell, produttore e regista cinematografico che voleva fare un film sui mercenari, e al noto Kevin Beck.

Alla fine giunse il momento dell’azione:  partirono da Ermelo, una cittadina del Sud Africa, attraversarono il confine con lo Swaziland per prendere il Fokker che li avrebbe portati all’aeroporto delle Seychelles con gli AK47 nascosti nel doppio fondo dei loro borsoni. 

25 novembre 1981

Tralasciamo tutto ciò che è stato già riportato da libri e articoli, con l’arrivo del Fokker dei mercenari, camuffati da rugbisti e sotto la copertura dell’associazione Ye Ancient Order of Frothblowers (l’Antico Ordine dei Bevitori di Birra), effettivamente esistente nel Regno Unito. 

Frothblowers significa “colui che soffia via la schiuma” (come per la birra). Soprattutto è determinante la testimonianza di Mike Hoare nel suo libro The Seychelles Affair, alla seconda ristampa nel 2008.

Guardiamo la scena al presente con gli occhi del testimone Tullio Moneta…

Dopo il “guaio” capitato al borsone di Beck con la scoperta dell’AK47 e dopo che è stato dato l’allarme, Tullio ricorda che Geremiah Puren grida «act!», ovvero esorta ad agire.

Tullio monta in 20 secondi l’AK47 che aveva nel sottofondo del suo borsone e si precipita nei locali della dogana.

All’improvviso si apre la porta di un ufficio ed escono due doganieri armati con l’AK47. Tullio ne affronta uno e lo sbatte contro il muro, disarmandolo. L’altro spara una raffica, colpisce tra il petto e la spalla Johann Fritz, un giovane di 20 anni del Recce Commando. Poi si volatilizza.  

Mentre Tullio chiama il medico della spedizione, dottor De Wet , Fritz viene soccorso immediatamente da due compagni del Recce.

Uno dei due è Paddy Henrick, che mi ha precisato in una lettera: «Ero con Tullio quando Johann morì. Sono arrivato quando era già a terra e cercai di confortarlo come meglio potevo. Era un mio grande amico. In quell’anno aveva corso la Comrades Marathon, una maratona in canoa nel fiume Duzi, e aveva conseguito pure due lauree.»

Il medico in forza al commando, dopo aver visitato Fritz, fa segno a Tullio e a Hoare  che non c’è nulla da fare, poiché il colpo ha reciso l’aorta.

Fritz vivrà per altri 10 minuti. Era figlio di una ricca famiglia sudafricana proprietaria di miniere.

Anthony Mockler ed altri giornalisti hanno scritto che il giovane Fritz sarebbe stato ucciso da “fuoco amico”.

E’ falso. Tullio Moneta e Paddy Henrich erano presenti ed hanno visto come sono andati i fatti: il giovane Fritz non è stato colpito dal friendly fire, ma dalla raffica del doganiere.

Nessuno ha mai chiesto a Tullio e a Paddy di raccontare la verità.

I mercenari scovano in un ufficio vicino all’aeroporto cinque impiegati, tre uomini e due donne.

Li portano dentro l’aeroporto e Tullio li fa rinchiudere in una stanza per metterli al sicuro. Uno di questi si mette ad inveire contro i mercenari, mentre gli altri quattro cercano di zittirlo.

Tullio capisce che è il solito sbruffone e dice: «Piantatela! Siamo qui per fare un lavoro. Non rompete le scatole.»

Tullio requisisce insieme al capitano inglese Mike Webb uno degli autobus che doveva trasportarli all’albergo in cui sarebbero stati alloggiati e che stazionavano all’uscita dell’aeroporto.

Ordina di andare verso le baracche dei soldati tanzaniani che sono a metà strada di lato della pista di atterraggio dell’aeroporto, mentre quelle dell’esercito delle Seychelles sono al termine della pista. 

Il pullman arriva alle baracche dei tanzaniani.

Le baracche consistono in diversi edifici tipo bungalow, ad eccezione di una casa che è di tre piani.

Intanto Tullio ed altri mercenari fanno di corsa i circa 300 metri che li separano dalle baracche dei tanzaniani e le circondano a semicerchio.  

Giunto insieme ai suoi viene accolto da due o tre colpi sparati dalle baracche. I mercenari aprono un fuoco intensivo.

Tullio ordina di sparare al secondo piano della casa in modo che i colpi vadano pure sulle scale di collegamento tra il primo e il terzo piano. 

I tanzaniani scappano. Dei nord coreani neppure l’ombra: si erano squagliati ai primi colpi provenienti  dall’aeroporto.

Tullio e i suoi si dirigono poi verso le baracche dell’esercito delle Seychelles che sono in fondo alla pista di atterraggio. Da dietro le baracche escono quattro autoblindo sovietiche. Due di queste rimangono a difesa delle baracche e due si dirigono verso l’aeroporto.

Tullio ordina al capitano Webb di ritornare con il pullman all’aeroporto per organizzare la difesa.

Tullio stesso ritorna indietro poiché è impossibile fronteggiare le autoblindo senza un bazooka.

Un autoblindo rimane indietro, mentre l’altra attacca l’aeroporto sparando con la mitragliatrice da 12,7 mm. della torretta girevole.

Le pallottole con l’anima interna in tungsteno perforano i muri dell’aeroporto. Per i mercenari asserragliati nell’aeroporto si sta mettendo male.

Tullio accerchia con i suoi l’autoblindo e ordina a Peter Rowain di “accecare” l’autoblindo, spalmandone il visore con il fango di una fogna a cielo aperto.  L’autoblindo “accecata”, una BTR sovietica, finisce con due ruote nella fogna e si inclina da un lato.

A questo punto la mitragliatrice da una parte spara verso l’alto e non può più colpire gli attaccanti. Quindi i mercenari si posizionano da quella parte sicura e ordinano agli uomini dell’autoblindo di arrendersi, altrimenti li avrebbero bruciati con le molotov che avevano preparato svuotando bottiglie di cognac del bar dell’aeroporto e riempiendole di benzina.

Mike Hoare chiede a Tullio di dire in francese all’equipaggio dell’autoblindo: «Arrendetevi, o vi bruciamo!»

Allora dalla cima della torretta appare il tenente (di nome Adnan) che comandava l’autoblindo con il mitra in mano e per questo motivo viene freddato da una decina di colpi esplosi contemporaneamente da Tullio e da tre commando. Il corpo del tenente cade dentro l’autoblindo. 

Anthony Mockler scrive che il tenente venne ucciso dall’equipaggio, in quanto voleva impedire che i suoi soldati si arrendessero.

E’ falso anche questo.

A questo punto ai soldati dell’autoblindo non rimane che arrendersi ed escono dalla torretta uno dopo l’altro, con le mani alzate.

Vengono fatti spogliare completamente nudi e cacciati via.

Si tenta di recuperare l’autoblindo, ma il circuito elettrico della torretta è saltato e la mitragliatrice è quindi inservibile. L’autoblindo viene allora abbandonata.

Al suo interno i mercenari trovano alcuni razzi anticarro, ma senza il lanciarazzi sono inservibili. Intanto, i mercenari si sono asserragliati nell’aeroporto.

La torre di controllo era stata occupata fin dall’inizio e Charles “Chaz” Goatley, che era stato pilota militare e caposquadriglia, quindi uno del mestiere, inizia a controllare il traffico aereo, soprattutto nel caso arrivassero aerei nemici.

I mercenari, proprio per evitare l’atterraggio di aerei nemici, mettono alcuni camion e automezzi  lungo la pista di atterraggio.

Resisi conto della situazione disperata, il gruppo di mercenari comincia a pensare di ripartire con il Fokker che li aveva portati alle Seychelles, ma i piloti erano fuggiti ed erano introvabili.

Sta intanto giungendo un Boeing 707 dell’Air India, proveniente da Harare, capitale dello Zimbabwe, e diretto a Bombay. Deve atterrare per forza, poiché non ha più carburante.

Infatti, il metodo usato dalla Air India per risparmiare soldi del carburante era di partire con i serbatoi piuttosto vuoti, in modo da fare il pieno alle Seychelles, dove il carburante era meno costoso.

 Chaz” Goatley invita il Boeing a non atterrare poiché la pista è interrotta. Inizia un dialogo attraverso la radio.

Il comandante del Boeing, Saxena, dice: «Devo atterrare, non ho più il carburante» «No, non puoi» risponde “Chaz” dalla torre di controllo.

«Fammi parlare con il capo della torre di controllo»

«Non è possibile. E’ assente. La pista è pure occlusa»

«Bene, io atterro lo stesso» conclude il comandante.

Non può farne a meno. Capisce però che c’è qualcosa di strano che sta accadendo. Egli è stato pilota della RAF durante l’ultima guerra ed è quindi abituato a decidere in situazioni estreme. Il comandante del Boeing, il cui vice è il capitano Misra, inizia l’atterraggio. 

 Nel farlo, il Boeing tocca con l’ala un camion che intralciava la  pista sbalzandolo ad almeno 25 metri di distanza. L’ala non viene danneggiata seriamente.

Mentre inizia il rifornimento, il comandante scende dal Boeing veramente arrabbiato.

Immagina che stia accadendo realmente qualcosa di strano. Tullio invia il capitano mercenario Ricky Stannard incontro al comandante, a cui fa un inchino dicendo: «Benvenuto alle Seychelles».

Poi il comandante Saxena parla con Hoare e con Tullio, il quale inizia a spiegargli la situazione in atto. Proprio in quel momento inizia un cannoneggiamento con 2 o 3 pezzi da  75 mm. da una distanza di circa 400 metri dalla pista, per colpire il Boeing.  

Se lo avessero colpito avrebbero fatto una strage di passeggeri. La tragedia sarebbe stata  imputata soprattutto a Mike Hoare.

Hoare contatta telefonicamente la State House per parlare con il presidente René, o con il suo “uomo forte” Berlouis, per un cessate il fuoco.

Occorre salvare la vita dei passeggeri del Boeing dell’Air India. Inizia una trattativa. Poi, il comandante del Boeing parla direttamente con il presidente René: il Boeing, che ha 40 passeggeri, ma ne può trasportare almeno 120, può ripartire non appena effettuato il rifornimento.

Poco dopo i colpi di cannone cessano, evidentemente dietro ordine del presidente René. 

Erano stati sparati una quindicina di colpi: fortunatamente i serventi ai cannoni erano poco addestrati, altrimenti sarebbe stata una strage.

Il golpe era durato dalle 18,00 alle 24,00.

Dove andare?

Messo in salvo il Boeing si presenta un problema: ormai l’attacco era fallito.

Ci sarebbe pure il pericolo di un intervento armato dei “marines” sovietici e sarebbero dolori e grane diplomatiche. Quindi dove fuggire con questo Boeing?

Utilizzarlo, o meglio dirottarlo diventa un atto di “pirateria aerea”.

Se si continua con il Boeing fino a Bombay si viene arrestati per “pirateria aerea”, processati e condannati a morte poiché in India questa sarebbe la condanna. 

Lo dirottiamo nell’Oman – si chiedono i mercenari – dove Mike Webb era già stato come consigliere militare? Oppure, in Kenya, per via degli accordi segreti di occupazione delle Seychelles da parte del governo keniota?

Solo che quel governo non vorrebbe che i piani venissero alla luce del sole, attuati addirittura con mercenari sudafricani…

Tullio propone di farsi portare nel Botswana, che confina col Sudafrica, e da lì passare la frontiera del Sudafrica. Soluzione scartata, perché troppo macchinosa e piena di incognite. Alla fine si decide di atterrare a Durban, in Sudafrica.

Mike Hoare propone di distruggere le armi prima del decollo. Tullio si oppone con forza all’idea del suo colonnello, poiché non vuole finire massacrato insieme ai suoi uomini, qualora dovessero rimanere a terra per qualche motivo. 

Tullio dice: «L’aereo è danneggiato e potrebbe non decollare. Se poi dovesse decollare, potremmo essere colpiti da quella mitragliera sovietica a quattro canne da 14,5 mm., in postazione tra le baracche dei soldati in fondo alla pista. In questo caso, il Boeing dovrebbe atterrare di nuovo e noi, disarmati, potremmo essere catturati o ammazzati.»

Giorgio Rapanelli, Ippolito Edmondo Ferrario, “Mercenario. Dal Congo alle Seychelles. La vera storia di Chifambausiku Tullio Moneta”, Edizioni Lo Scarabeo, Milano

Non chiamateli mercenari, ma soldati liberi (o pirati del XX Secolo)

Non chiamateli mercenari, ma soldati liberi (o pirati del XX Secolo)

Nove anni fa, con poca esperienza e molto entusiasmo, mi accostavo al mondo dei tanto vituperati “mercenari” che avevano combattuto in Congo negli anni Sessanta del secolo scorso. Qualche anno dopo, nel 2018, avrei avuto l’onore e la fortuna di raccogliere le memorie di uno di loro. Un racconto disincantato, intenso e sferzante da cui nacque il libro scritto a quattro mani con Robert Muller. Ritenevo che con quel lavoro potessi voltare pagina e dedicarmi ad altro.

A gennaio di quest’anno, un giorno come un altro, prese forma inaspettatamente un vecchio progetto mai realizzato e di cui di tanto in tanto accennavo a Robert: realizzare un libro fotografico sulla sua esperienza da volontario nel Congo e nello Yemen. Nel giro di qualche giorno mi ritrovai in possesso del suo vasto archivio composto da un qualche centinaio di scatti dell’epoca. L’impegno era quello di raccontare non tanto la sua vicenda personale quanto, attraverso le immagini, quella dei suoi commilitoni, i tanti ragazzi di allora, molti dei quali non hanno fatto ritorno.

Oggi, mentre il libro è quasi pronto per essere consegnato all’editore, sento l’impegno di tenere acceso il riflettore su di loro, i “soldati liberi” di quel tempo. L’avventura per me è ricominciata e si prospetta lunga.

Vi lascio con le parole di Nony, al secolo Girolamo Simonetti, l’amico fraterno con cui Robert partì da Milano alla volta del Congo. Correva il 1965. Quel Nony che ho sentito nominare innumerevoli volte a tal punto da avere l’impressione che fosse ancora qui tra noi, tanto è nitido il suo ricordo in quelli che lo hanno conosciuto. Nony, alla fine del suo libro (Il bottino del mercenario, Ciarrapico Editore, 1987)  così scrisse sulle schiere di ragazzi ai quali si era unito in Congo:

Forse, fra tutti i paragoni fatti, quello che mi sento d’accettare più vicino allo spirito mercenario è quello con i pirati. Pirati all’arrembaggio in un mare ostile di incomprensioni, che necessita della loro presenza ma li disprezza, un mare di opportunismi, di accordi al vertice, di materialismi d’ogni colore, di specioso e interessato perbenismo. Pirati del XX secolo, che difendono la loro filibusta con la sciabola in una mano mentre con l’altra ghermiscono una bottiglia di rum (o di Primus in questo caso) e combattono irridendo al nemico, incuranti di tutto e di tutti.