Sì, in Ultimo Tango a Milano ci sono anche loro. Per raccontare la mia storia ambientata nel capoluogo meneghino nel 1984 non potevo non parlare di questi ragazzi e del fenomeno giovanile che essi rappresentarono.
Il sottoscritto, pur avendo vissuto in provincia ( a Lodi per esattezza) fino al 1987, ma venendo a Milano nei finesettimana, dei paninari sapeva tutto o quasi. Frequentavo le scuole elementari ed il loro mito c’era, che piaccia o meno.
Mi rendo conto che non tutti coloro che leggeranno “Ultimo tango Milano” potrebbero avere dimestichezza con il mondo dei paninari. Per le nuove generazioni sono “preistoria”…
Ma scriverne per me è stato come fare un salto nel passato, al di là dei giudizi che se ne possono dare a distanza di decenni. Permettetemi però un po’ di rimpianto per quegli anni. Non li rimpiango tanto per me, quanto per chi oggi è bambino. C’era sicuramente un po’ più di spensieratezza. Il futuro sembrava roseo, ed il presente lo era.
Per chi volesse tornare indietro a quegli anni e conoscere meglio la moda lanciata da un gruppo di ragazzi milanesi, può seguire Bircide il paninaro che ha un proprio canale su YouTube www.youtube.com/c/bircide ed una pagina Facebook www.facebook.com/PaninaroBircide/.
Bircide è la memoria storica del movimento dei Paninari e riferimento per tutti coloro che vogliono approfondire un argomento che abbraccia la moda, il costume e le abitudini di un’intera generazione.
Ho pensato di scrivere qualche riga per presentarvi il mio nuovo romanzo noir “Ultimo tango a Milano”. Non è facile per un autore essere obbiettivi nei confronti di quello che scrive, lo ammetto. Abbiate un po’ di indulgenza nei confronti del sottoscritto.
Iniziamo dal titolo che potrebbe ispirare atmosfere cinematografiche con il giovane Marlon Brando protagonista. Quelle mettetele da parte, ma non il tango. Il tango, la musica ed in particolare quella jazz, fanno da sfondo a questa storia. In diversi momenti c’è una canzone, un pezzo particolare, ad accompagnare i protagonisti della vicenda.
Anzi vi consiglierei di leggere il libro con in sottofondo le note del clanirettista Artie Shaw.Vi aiuterà ad immergervi nel mondo di Gunther Sander, proprietario del Bodega, uno dei night club più in voga e frequentati nella Milano del 1984.
Gunther (che qualcuno di voi forse ha già incontrato nel racconto “È solo un arrivederci” contenuto nell’antologia “Una finestra sul noir” a cura di A. D’Amaro, Fratelli Frilli Editori e dedicata allo scomparso editore Marco Frilli) è un personaggio dal passato insolito e dal presente cupo. Già volontario di guerra in Congo nella metà degli anni Sessanta, aggregato al Sesto Commando, Gunther ha poi vissuto per diversi anni in Francia, “dilettandosi” nel rapinare banche insieme ad Albert, suo ex commilitone.
Qui, la morte accidentale di suo figlio, il piccolo Florian, incrinerà per sempre la sua anima, il suo spirito di ribelle e anticonformista. Da quel giorno qualcosa si è rotto in lui. Nulla sarà più come prima.
Gunther si discosta quindi dai personaggi che normalmente animano il panorama del noir italiano. Non è un vanto, ma un dato di fatto. Non ci sono giornalisti investigativi, poliziotti e carabinieri che indagano su un crimine per un senso del dovere o desiderio di giustizia.
Qui c’è solo Gunther e la sua coscienza, i suoi valori, che la maggior parte delle volte non collimano con quelli dell’uomo comune. Ma poco importa. Lui e Albert si considerano dei combattenti in un mondo che sostanzialmente è loro avverso. “Non marceremo più come eravamo avezzi. La nostra folle schiera non esiste più” dice spesso Gunther citando Ernst Von Salomon autore de I Proscitti, libro che racconta le gesta dei Corpi Franchi tedeschi a cavallo delle due guerre mondiali.
Gunther si muove come un fantasma malinconico nella Milano, in apparenza dorata, degli anni 80. Una Milano da bere, dove tutto è possibile e dove tutto appare alla portata di chiunque voglia ottenerlo. Senza remore o scrupoli.
“Ultimo tango a Milano” è dunque un tuffo nella città di quel tempo.
Non ho la pretesa di aver raccontato quel periodo, ma ho cercato di evocarne le atmosfere che io stesso ho vissuto e percepito, seppur da bambino.
Quegli anni in cui i ragazzi della Milano “bene”, lasciatisi alle spalle l’epopea politica e umana di San Babila, avevano fatto dell’omonima piazza un luogo di aggregazione nuovo, caratterizzato dalla moda dei Paninari. Abbigliamento, abitudini, gergo, locali, discoteche, motociclette e automobili di quegli anni…nel libro troverete anche questo.
Essendo un noir ho concepito una storia “figlia” del periodo, legata al mondo della malavita e della droga. Una malavita violenta che faceva sentire la propria presenza sul territorio soprattutto con le armi, con i suoi uomini e i suoi clan. Non che la situazione milanese oggi sia migliorata, ma i cartelli che controllano il traffico degli stupefacenti non hanno più bisogno di impegnarsi in infinite e sanguinarie faide condotte con sparatorie in strada e nei locali. Le nuove frontiere sono il settore finanziario e gli investimenti, il riciclaggio: meno killer in giro e più uomini d’affari in doppiopetto. Nella Milano del 1984 c’era poi lo spettro dell’eroina che avrebbe condizionato un’intera generazione di ragazzi, alcuni salvatisi e altri mai più usciti da essa con risultati devastanti.
Non voglio aggiungere altro, anche perché non ci riuscirei.
Vi posso solo invitare a leggere questa storia e a conoscere meglio Gunther.
Ultimo Tango a Milano. La prima indagine del Maggiore Gunther Sander
Fratelli Frilli Editori, 207 pagine, 12,90 euro
www.frillieditori.com
(si ringrazia Bircide il Paninaro per parte del materiale fotografico relativo agli anni 80)
C’è l’editoria dei grandi numeri, dei colossi editoriali, dei fatturati che fanno la differenza, degli amministratori delegati, delle librerie in franchising che assomigliano ai supermercati della grande distribuzione.
L’editoria, come fenomeno di massa e puramente commerciale, è quella che ci piace meno forse perché è quella alla quale siamo pressoché assuefatti.
E poi capita ancora, sempre più raramente, di imbattersi in storie di editori che nascono piccoli, ma che da soli, forti della loro tenacia e di ottime intuizioni, costruiscono qualcosa che va al di là di ogni più rosea aspettativa e migliore previsione. E quando questi editori ci lasciano, la loro eredità morale non è sempre facile da mantenere, specie quando ad essa si aggiunge una grande vuoto affettivo.
Marco Frilli, il papà del noir, prima ligure e poi italiano, se ne è andato dopo una lunga malattia nell’ottobre del 2016.
Per tentare di colmare questo vuoto i suoi autori, che a lui devono molto, se non tutto, hanno scritto ognuno un racconto nel quale far rivivere il loro amato editore. Sembra una favola, ma non lo è.
Quarantacinque autori italiani di noir in trentanove racconti hanno voluto ricordare il “loro” Marco. In questa antologia che esce in questi giorni, intitolata «Una finestra sul noir», le “penne” sono diverse, ma uguali nel manifestare rispetto e, soprattutto, affetto verso un uomo che, per la fortuna dei lettori, a un certo punto della sua vita ha voluto tentare l’avventura decidendo, in un’Italia che legge poco, di pubblicare libri.
In queste pagine gli “investigatori seriali” dei romanzi giallo pantone lo incontrano, coinvolgendolo in inchieste o confidandosi con lui, perché effettivamente così succedeva: chiacchierare con Marco era utilissimo – un abbozzo di trama, personaggi accennati, una città come sfondo – e i suoi consigli aiutavano a definire quanto ancora nebuloso, cosa andava e cosa no. Racconti si diceva, microstorie giallo- noir efficacemente tratteggiate in chiaroscuro a metà strada tra fantasia e realismo, “cerchi chiusi”, ma non tanto da non poter essere attraversati con fare deciso da chi sente sue le trame che percorre: Marco, che evidentemente vive, tenendo i suoi autori – e non solo – come prigionieri di un incantesimo. Non per nulla su questa antologia suo figlio Carlo ha detto: «…per me sarà come incontrarlo ancora…». Il quarantesimo racconto – selezionato da una giuria di esperti presieduta dallo scrittore Valeri Varesi (autore anche della prefazione) e composta da Patrizia Debicke, Manuel Figliolini, Cecilia Lavopa e Cristina Marra – è il vincitore del concorso organizzato dagli amici di Radio Savona Sound a Lui dedicato, mentre i proventi delle vendite del volume saranno devoluti, con gratitudine, all’Associazione Gigi Ghirotti ONLUS.
Gli autori della raccolta sono: Adriana Albini, A. Alioto e R. Repaci, Rocco Ballacchino, Ivano Barbiero, Alessandro Bastasi, R. Besola, A. Ferrari e F. Gallone, Fabrizio Borgio, Daniele Cambiaso, Roberto Carboni, Diego Collaveri, Dario Crapanzano, Armando d’Amaro, Matteo Di Giulio, Massimo Fagnoni, Ippolito Edmondo Ferrario, Roberto Gandus, Fiorenza Giorgi e Irene Schiavetta, Daniele Grillo e Valeria Valentini, Domenico Ippolito, Achille Maccapani, Vincenzo Maimone, Gino Marchitelli, Maria Masella, Marvin Menini, Alberto Minnella, Roberto Mistretta, Bruno Morchio Ugo Moriano, Roberto Negro, A. Novelli e G. Zarini, Paola Mizar Paini, Alessio Piras, Alessandro Reali, Nicoletta Retteghieri, Massimo Tallone, Simone Togneri, Alberto Tondella, Maria Teresa Valle, Laura Veroni, Maria Bellucci.
Sono trascorsi diversi mesi dall’uscita del mio ultimo noir per la Fratelli Frilli Editori. In questo lasso di tempo, per certi versi complicato e costellato da ostacoli, ho dovuto fare alcune scelte. La prima è stata quella di non mollare, di non lasciare perdere. E chi ha orecchie per intendere, intenda. Mi sono visto, permettetemi l’azzardato paragone, come la Fenice che mitologicamente risorge dalle sue ceneri. Le mie ceneri sono state essenzialmente seccature di poco conto, ma pur sempre seccature, alle quali si è posto rimedio. E mentre a fine marzo di quest’anno ritornerò in libreria con una sostanziosa pubblicazione dedicata alla Milano sotterranea, quasi in contemporanea il noir tornerà di prepotenza nella mia vita di scrittore (…e anche in quella dei lettori che decideranno di leggerlo). Manca davvero poco. Sarà un tuffo, cupo e disilluso, nella Milano del 1984; lo farò in compagnia di un personaggio nuovo ed insolito per il suddetto genere. E con lui spero di far vivere o rivivere al lettore (a seconda delle età) atmosfere, luoghi e volti della cosiddetta “Milano da bere”…Per ora vi lascio con un’immagine: un’ auto che ha fatto parte del mio vissuto personale e che troverete nella storia. Essa è un piccolo dettaglio, niente di più. Vi invito a continuare a seguirmi.
In questi giorni sono stato assediato da alcuni ricordi. Con la scomparsa di una persona, Giovanni, ho messo mano ad un faldone pieno di articoli, recensioni e interviste sulla mia attività letteraria di questi ultimi dieci anni. Sfogliando le pagine ho ricordato serate, presentazioni, amicizie, persone e luoghi. Tra le varie iniziative collaterali, una in particolare mi ha riportato alla memoria il bello di quegli anni oggi lontani. Certamente non ho scritto capolavori della letteratura, ma alcuni libri, seppur in piccola parte, hanno aiutato qualcuno che ne aveva bisogno. In particolare i bambini. Il progetto “Una strega per un Sorriso” nato da me e da Simona Pastor, l’albergatrice della Colomba d’Oro di Triora, aveva come finalità l’aiutare i bambini con problemi oncologici e le loro famiglie. In che modo: regalando loro soggiorni a Triora, il suggestivo paese delle streghe. Negli anni una cosa però mi ha sempre turbato e infastidito. Che qualcuno potesse pensare che dare i propri diritti d’autore in favore di un qualche ente o progetto benefico servisse all’autore a farsi in qualche modo pubblicità. Se così fosse stato, sarei sparito dalla circolazione per la vergogna. A distanza di anni però ho avuto la certezza che nessuno acquistava e leggeva i miei libri per questo motivo…Di questo ne sono felice. Anni fa, tramite Facebook, un ragazzo mi ha scritto. Quella sera, leggendo le sue parole, mi sono commosso.
Lui si chiama Marco. Mi aveva conosciuto all’epoca a Triora. Lui era in vacanza con sua sorella e i suoi genitori grazie al progetto “Una strega per un sorriso”. Sua sorella, che era una bambina, poco più piccola di lui, oggi non c’è più. Anni dopo Marco si è ricordato di me e mi ha scritto. Ha avuto parole buone. E questo mi rincuora. Lui oggi è un uomo, un atleta e un amante della montagna.
Dopo tante meditazioni ho compreso che l’essenza di tutto il mio lavoro di scrittore sta in una frase, presa in prestito al “Vate”, Gabriele D’Annunzio: “Io ho quel che ho donato”.
Questa è una verità assoluta. Almeno per me.
Ecco perché a breve, con l’uscita ormai imminente di un mio nuovo romanzo, intendo continuare su questa linea. Che le storie allietino o meno i lettori va bene. Che esse aiutino un bambino o la sua famiglia in difficoltà è meglio. A breve, sempre su queste pagine, quando uscirà il libro in questione, fornirò precise indicazioni in proposito.