Dall’Archivio. Se l’Inquisitore diventa eroe (e detective)
Se l’inquisitore diventa eroe (e detective)
Ippolito Edmondo Ferrario
Secolo d’Italia, 6 ottobre 2007
Valerio Evangelisti torna a ottobre in libreria con il nono episodio del ciclo di romanzi dedicati alla figura storica dell’inquisitore spagnolo Nicolas Eymerich (1320-1399). “La luce di Orione” (Strade Blu Mondadori, www.eymerich.com) si prospetta come una nuova allucinata e allucinante avventura del domenicano che ha consacrato Evangelisti non solo in Italia, ma nel mondo. Tanto per fare un esempio i suoi romanzi e i racconti sono tradotti in francese, spagnolo (per la Spagna e per il Messico), tedesco, portoghese (per Brasile e Portogallo), croato, serbo, greco, ceco, slovacco, russo, rumeno, ebraico, polacco, inglese. Nonostante l’indubbia fama, Evangelisti da sempre segue un modello di vita piuttosto ritirata. Non frequenta i salotti mondani e tantomeno lo si vede in televisione. Per avere qualche anticipazione sul suo nuovo romanzo lo abbiamo intervistato.
-Qualche anticipazione sul nuovo romanzo “La luce di Orione”. Quale sarà il tema centrale di questa nuova storia?
Eymerich, nel romanzo, parte per ciò che resta dell’impero bizantino, su cui grava la minaccia degli Ottomani. I sovrani, in piena decadenza, contano per il loro riscatto su una creatura che tengono prigioniera, e che forse ha un nesso con misteriosi giganti che ogni mattina sorgono dal mare. L’inquisitore saprà svelare la chiave del mistero.
-L’inquisitore Nicolas Eymerich e lo scrittore Valerio Evangelisti: come è nato questo binomio?
Eymerich rappresenta il peggio di me, la parte oscura. Me ne accorsi mentre collaboravo alla stesura di un manuale di psicoterapia, giunto alla voce “la sub-personalità schizoide”. Decisi di spostare in un personaggio letterario ciò che di patologico esisteva in me.
-Crede che i lettori la identifichino con Eymerich?
No, o almeno capita raramente. Sono di indole tutto sommato cordiale, non spavento nessuno, non ho mai fatto del male ad anima viva. Certo, bisogna conoscermi di persona, e io mi faccio vedere poco in giro.
-Che cosa c’è di Valerio Evangelisti nella figura dell’inquisitore?
Una certa asocialità. Ma mentre Eymerich cerca adepti, e di modellare la società sul suo esempio umano, io tendo piuttosto a farmi i fatti miei. Somiglio maggiormente a un altro mio personaggio, il pistolero Pantera.
-Di recente ha partecipato a Trieste a un convegno sull’Inquisizione. Che cosa ne pensa dell’Inquisizione e del suo operato?
Largamente condannabile, sebbene il Santo Uffizio non sia stato colpevole di tutti gli eccessi che gli vengono attribuiti. Va poi tenuto presente che la Chiesa cattolica tentava di sostituire, con mezzi rudi, l’impero romano venuto meno. Ciò non toglie che coartasse le coscienze. Erede diretto dell’Inquisizione è stato il sovietico Vishinskij.
-La trama narrativa dei romanzi del ciclo di Eymerich si svolge sempre su più piani temporali, tra passato, presente e un futuro plausibile. Come mai?
Cerco di far capire come la personalità tenebrosa di Eymerich varchi le epoche storiche, e domini il nostro futuro ancor più che il nostro passato. Questo è un pericolo serio, che vivo con angoscia. Vedo in giro tanti eredi di Eymerich, sparsi per il mondo.
-L’inquisitore Eymerich, seppur riluttante alla ferocia e al sadismo, non si tira indietro di fronte all’uso della tortura per estorcere confessioni. Nonostante questo, chi legge i suoi libri si identifica inevitabilmente con l’inquisitore dandone un’impronta solo positiva. Come lo spiega?
La violenza di Eymerich è anzitutto psicologica. A volte ricorre alla tortura, ma senza trascendere. Credo che questo risponda a una verità storica, circa l’Inquisizione medioevale: fu quella rinascimentale a fare della tortura una prassi. Quanto all’attrazione esercitata da Eymerich, va considerato che lui è, di norma, molto più intelligente e colto dei suoi nemici. Inoltre tutto è visto attraverso i suoi occhi. L’identificazione è obbligata. Si tratta, per chi sa intenderlo, del “fascino discreto” dell’autoritarismo.
-In questo prossimo libro si parla dell’attuale guerra all’Iraq. Qual è il suo punto di vista sulla questione?
All’Iraq accenno proprio in “La luce di Orione”. Per il commento a quella guerra, cito una frase detta dal ministro napoleonico Fouché, in occasione del rapimento del duca d’Enghien: “Peggio di un crimine: un errore politico”.
-Quale sarebbe quello dell’inquisitore Eymerich?
Penso analogo al mio (e a quello di Fouché, cui somiglia). Forse più cinico.
-Dai suoi libri emergono temi d’attualità quali la scienza che sfugge al controllo dell’uomo, o meglio che viene asservita per scopi malefici. Come si pone di fronte al dilemma scienza o morale?
La morale, purché non superstiziosa o “bacchettona”, deve prevalere sempre.
-Se incontrasse Eymerich adesso che cosa gli direbbe?
Gli direi: “Come mai governi il mondo?”
-Una sua riflessione sull’attualità politica italiana.
Credo che uno scrittore debba occuparsi di questioni etiche generali, non di problemi partitici. Si individua una contraddizione, la si indica al lettore. Questi, al momento di votare, farà le sue scelte. Ho la fortuna di trascorrere in Messico alcuni mesi all’anno. Mi appassiona più la politica di laggiù, con tutte le sue turbolenze, di quella di casa nostra. Almeno, da quelle parti non esistono “Ballarò” né programmi altrettanto molesti, tipo “Matrix” o “Porta a porta”.