La cronaca del blitz notturno a Mboko per eliminare la mitragliatrice pesante cinese Cal. 12,7 mm

La cronaca del blitz notturno a Mboko per eliminare la mitragliatrice pesante cinese Cal. 12,7 mm

La cronaca del blitz notturno a Mboko per eliminare la mitragliatrice pesante cinese Cal. 12,7 mm
Testimonianza del maggiore Tullio Moneta raccolta da Giorgio Rapanelli

 

 

Su di una collina della zona di Mboko a circa 300 metri dalla pista lungo il lago Tanganyka che dalla base del 5 Commando di Baraka portava ad Uvira, a nord, c’era una mitragliatrice pesante calibro 12,7 mm.

Questa arma pericolosa impediva alle colonne di automezzi del 5 Commando di conquistare la cittadina di Uvira.

Già avevamo perduto a Mboko il 18 maggio 1966 il mitico capitano Hugh Van Oppen, probabilmente non a causa di una raffica di kalashnikov, ma per mano del tenente Ross-Johnson, come si mormorava al campo.

Ross-Johnson aveva la fama di killer prezzolato e doveva avere eseguito l’assassinio di Van Oppen per conto di qualcuno. Pure l’autista di un camion era stato centrato, giorni prima, al cuore dal colpo di un cecchino.

Però, il problema vero era quella mitragliatrice pesante che con i suoi proiettili con l’anima al tungsteno perforava da parte a parte un camion, o un’autoblindo Ferret, per poi frantumarsi in schegge pericolose.

No, non si riusciva a passare. La colonna degli automezzi era costretta a ritornare a Baraka.
La mitragliatrice era mimetizzata molto bene tra gli alberi della jungla, che dalla base della collina arrivavano quasi alla sommità, dove poi iniziava la savana.

Anche i caccia bombardieri T-28 che erano stati impiegati per localizzare dall’alto la mitragliatrice, non erano riusciti a scovarla. Evidentemente, doveva essere ben nascosta in una caverna naturale.

Era un problema che doveva essere risolto, poiché si doveva conquistare tutto il territorio congolese del lago Tanganyka, per impedire che dall’altra sponda della Tanzania del buon Nyerere potessero continuare a giungere con le canoe attraverso il lago le armi comuniste ai ribelli Simba, che ancora infestavano la zona di Uvira e di Bukavu.
Furono i civili congolesi ad avvisare i mercenari che sapevano come giungere nel luogo ove era piazzata la mitragliatrice. Si trattava di aggirare la postazione per colpirla alle spalle.

Il colonnello John Peters, che era succeduto al colonnello Mike Hoare nel comando della base di Baraka, organizzò un meeting con gli ufficiali delle pattuglie di mercenari non operative al momento.

Nella sala mensa degli ufficiali il colonnello Peters sparse sul tavolo le carte topografiche della zona di Baraka e di Mboko e pianificò con gli ufficiali e i sottufficiali il piano di attacco alla postazione dei Simba.

Furono organizzati due gruppi di mercenari di venti uomini ciascuno al comando dei tenenti Tullio Moneta e Boet Schoeman. Il comando in capo fu dato al capitano Peter Ross-Smith, un ufficiale che si era distinto nelle operazioni più rischiose fin dalla presa di Stanleyville.

Il tenente Boet Schoeman era noto per la sua mira infallibile.

Da civile organizzava i safari di caccia grossa per i turisti in Kenya. Era soprattutto esperto nello scovare le tracce dei Simba nella savana.
Nella pattuglia di Tullio erano presenti i tre italiani Piero Nebiolo, Eugenio Ciccocelli e Perissinotto, oltre l’ottimo sergente boero Swanepoel, i soldati Penton Ferreira e Butch Scholtz.

Il tenente Mutambala, che comandava i katanghesi di stanza nei paraggi della base di Baraka, aveva fornito alcuni scout. Il villaggio congolese vicino alla base di Baraka aveva fornito altri scout e i portatori.
I quaranta mercenari con gli scout e i portatori salirono su diversi camion, scortati da un paio di autoblindo Ferret al comando di “Skinny” Coleman.

Dovendo aggirare la postazione Simba non si diressero direttamente verso la collina di Mboko, ove era la mitragliatrice pesante. Gli automezzi si diressero, invece, verso sud, come per andare a Fizi.

La colonna ad un certo punto si fermò, mimetizzandosi tra gli alberi della jungla, mentre e gli uomini con portatori e scout si inerpicarono su di una collina, puntando poi a nord, dove a parecchi chilometri si trovava la postazione Simba.
Il sole stava tramontando e nel giro di mezzora fu tutto buio.

Di notte i Simba dormono. Quindi l’attacco a sorpresa sarebbe riuscito di sicuro. In fila indiana i quaranta mercenari con i tre ufficiali e gli scout in testa alla colonna.

I portatori chiudevano la colonna. Era proibito parlare e starnutire.

Anche il più piccolo rumore si sarebbe propagato nel buio della notte, avvisando i Simba della presenza della colonna.

Il buio era pesto.

Le alte erbe occludevano la vista del cielo stellato: queste si aprivano davanti al mercenario che veniva prima e si chiudevano dinnanzi al mercenario che veniva dopo. Il sentiero si sentiva solo con i piedi.

Gli scout katanghesi andavano avanti e indietro lungo la colonna, per controllare se qualcuno della pattuglia si era perso, avendo “preso” con i piedi un altro sentiero.
Quando gli scout riuscirono ad individuare la postazione della mitragliatrice cominciava ad albeggiare.

Tornarono indietro, sussurrando ai tre comandanti dove dirigersi.

Poi scout e portatori si acquattarono per essere fuori tiro.
Parlando all’orecchio di ogni mercenario i comandanti posizionarono ad “elle” gli uomini. Tullio Moneta e Boet Schoeman scelsero i loro migliori combattenti e li schierarono sul fianco destro dell’accampamento dei Simba.

Con Tullio erano i tre italiani e Swanepoel. Intanto, qualche Simba era già sveglio e chiacchierava ridendo con altri ribelli. Ormai il sole stava per sorgere e i Simba si vedevano bene, salvo quelli che ancora dormivano, stesi tra le erbe della savana.
Improvvisamente i Simba si accorsero della presenza dei mercenari e tentarono la fuga urlando, per avvisare gli altri…

I mercenari aprirono il fuoco mirando ai bersagli visibili o tirando a raffica nel folto della savana.

Da una caverna tre Simba portarono fuori la sola mitragliatrice pesante, dandosi alla fuga e cercando di salvarla. La mitragliatrice pesante, montata su di un treppiede, non era visibile dagli aerei perché era nascosta in una caverna naturale.

Il Simba che trasportava l’arma dalla parte più pesante, ossia la parte posteriore, fu colpito e la mitragliatrice, cadendo, rimase ritta da terra.

Poiché si sentivano voci all’interno della caverna, due bombe a mano fecero il silenzio per sempre.
Terminata la breve scaramuccia, i mercenari raggrupparono i Simba ancora in vita e legarono con delle corde il collo dei prigionieri ad una canna di bambù, uno di qua ed uno di là, secondo il sistema dei negrieri arabi. Il capitano Ross-Smith interrogò brevemente i prigionieri.

Ma fu interrotto da una animata discussione tra Boet Schoeman e Piero Nebiolo, che non capiva l’inglese.

Il tenente Schoemann era furente per il fatto che Nebiolo, stando alla sua sinistra durante il combattimento, gli aveva fatto arrivare sul volto i bossoli roventi sparati dal suo FN.

Poiché Nebiolo non capiva le rimostranze di Scheoman, quest’ultimo, per farsi capire, cominciò a sparare i venti colpi del suo caricatore, con i bossoli roventi espulsi che “friggevano” sulle gote di Nebiolo.

Il quale, alla fine della sparatoria, rivolgendosi al tenente Schoeman, disse semplicemente in francese “Et alors?”.

“E allora?” Schoeman si allontanò biascicando parole incomprensibili.
La colonna degli attaccanti cominciò a scendere la collina, portando con loro la mitragliatrice catturata, da utilizzare a difesa della base.

Giunti al villaggio dei civili congolesi furono accolti dal giubilo delle donne che emettevano i classici striduli vocalizzi con la lingua, agitando rami di palma.

Alla vista di uno dei Simba si scagliarono contro di lui con l’intenzione di linciarlo. I mercenari fecero barriera, salvando quel Simba.

In modo concitato le donne spiegarono ai mercenari che costui aveva commesso abusi e crudeltà in quel villaggio e volevano una esemplare condanna a morte.

Poiché non esisteva in quel territorio una corte di giustizia, pretesero giustizia dai mercenari stessi. Il colonnello Peters incaricò il tenente Tullio Moneta, che parlava francese, di creare un processo con tanto di accusa e di difesa. Così avvenne…

Per i crimini commessi il Simba fu condannato a morte mediante impiccagione. Quando ascoltò la sentenza non ebbe alcuna reazione.

Solo l’alluce del piede destro batteva ritmicamente sul terreno.

 

 

Un’inedita testimonianza di Tullio Moneta. Storia di un blitz organizzato per liberare suore e religiosi

Un’inedita testimonianza di Tullio Moneta. Storia di un blitz organizzato per liberare suore e religiosi

Un’inedita testimonianza di Tullio Moneta. Storia di un blitz organizzato per liberare suore e religiosi

Pubblico la testimonianza di Tullio Moneta, raccolta da Giorgio Rapanelli, circa uno dei blitz ai quali lo stesso mercenario italiano prese parte quando era in Congo per liberare un gruppo di suore e di religiosi tenuti in ostaggio dai Simba.

La preparazione del blitz

Il colonnello Peters convocò gli ufficiali nella sala mensa, dove si tenevano le riunioni strategiche militari.

Il lungo tavolo era cosparso di carte topografiche, che il colonnello stava studiando con alcuni scout.

Quando gli ufficiali furono tutti presenti il colonnello esordì: “Salvo le pattuglie oggi operanti, mi rivolgo solo a chi è in libertà”. Dopo una pausa continuò: “I nostri informatori congolesi mi dicono che alcune suore belghe sono tenute in ostaggio dai Simba in un villaggio a nord ovest di Fizi, a circa trenta chilometri da Fizi.

Adesso, pur non essendo un obiettivo militare, ci sentiamo in dovere di liberarle. Mi occorre un ufficiale volontario e dei volontari…”

Da tempo si sapeva che alcune suore dell’ordine religioso di suor Annunziata, quelle che non erano riuscite a fuggire, erano state prese prigioniere dai Simba unicamente perché erano infermiere.

Le altre erano state uccise. Però, nessuno sapeva dove queste suore fossero tenute in ostaggio.

Adesso gli informatori congolesi assicuravano che quattro suore erano ancora in vita, insieme ad un fratello missionario nero, in un villaggio che era stato finalmente individuato sulla carta topografica.

Poiché non erano obiettivi militari, i soldati non erano obbligati a partecipare.

Solo chi partecipava a combattimenti di tipo militare aveva diritto alla diaria e all’assicurazione in caso di morte o di ferimento.

Quindi, nessuna diaria e copertura per i volontari.

Il colonnello Peters continuò: “Come ben sapete, i volontari che parteciperanno all’azione lo faranno gratuitamente e a loro rischio e pericolo…È chiaro?”. Tutti gli ufficiali rimasero presenti, in silenzio.

“Bene – continuò il colonnello – poiché si tratta di suore cattoliche rivolgo l’invito agli ufficiali e ai soldati cattolici. Poiché, nel 5 Commando esiste un solo ufficiale cattolico, il tenente Tullio Moneta, lo invito, senza costrizione, ad organizzare una pattuglia di soldati cattolici per liberare le suore. È chiaro, tenente Moneta?”

“Io non sono un credente cattolico – replicò il tenente Tullio Moneta.

“Sì, ma sei un Italiano e quindi sei cattolico – replicò Peters, con un ironico sorriso… Al quale Moneta rispose con un altrettanto ironico sorriso.

Dopo che Peters mise in libertà gli ufficiali, furono sguinzagliati i sergenti per trovare i volontari cattolici.

In breve tempo ne trovarono una trentina da diverse pattuglie e non tutti cattolici, ma pure protestanti e non credenti.

Tullio ne scelse dieci tra quelli delle varie pattuglie, i migliori come combattenti e fisicamente in ottima forma, facendo firmare loro una dichiarazione che in quell’azione erano in veste di “volontari”.

Ossia, in caso di morte o ferimento non avrebbero avuto compensi finanziari come da contratto, in quanto un’azione umanitaria non era vista come azione militare. Pure i tre mercenari italiani che erano nella pattuglia di Tullio Moneta – Piero Nebiolo, Eugenio Ciccocelli e Perissinotto – fecero parte del commando dei volontari.

Non era la prima volta che Tullio aveva liberato religiosi e civili.

Era capitato altre volte che dopo una sconfitta militare, i Simba scappassero, lasciando vivi gli ostaggi imprigionati. Ma questa sarebbe stata un’azione di guerriglia umanitaria.

Si sarebbe trattato però sempre di un attacco militare, sapendo pure dove si trovassero gli ostaggi, lasciandoli incolumi.

Come faceva sempre prima di partire per un’azione, Tullio controllava lo stato di salute degli uomini della pattuglia. Dovevano essere in perfetta forma mentale, e senza problemi fisici al corpo, alle gambe e ai piedi.

Andare in pattuglia con problemi soprattutto ai piedi feriti significava creare problemi agli altri mercenari e a non poter ritornare. Piedi e gambe in forma eccellente significava la salvezza, a parte le pallottole.

Usciti dalla sicurezza della base trincerata di Baraka, i mercenari sarebbero stati soli in un territorio ostile, sia per i nemici Simba, sia per i pericoli in agguato nelle foreste e nelle savane congolesi.

Era sempre possibile pestare un serpente Mamba… Sapevano che dovevano contare solo sul loro comandante e su ogni commilitone, oltre agli scout, senza i quali un mercenario bianco si sarebbe perso in quell’ambiente equatoriale.

Tullio controllò pure il funzionamento delle armi, se il numero dei caricatori fosse sofficiente, insieme all’attrezzatura sanitaria del “medic”, ossia del mercenario che, oltre che combattente, aveva le funzioni di primo intervento sanitario in caso di ferimento.  Infine, studiò ancora le carte topografiche con gli esperti.

Avrebbe avuto la copertura aerea di un cacciabombardiere T28, come osservatore dall’aria delle mosse dei Simba e in continuo contatto radio con la pattuglia. La pattuglia avrebbe avuto solo un armamento leggero, perché l’azione di guerriglia sarebbe stata quella del tipo “mordi e fuggi”.

Si sarebbe trattato un attacco improvviso e di una ritirata veloce per rientrare alla base, portando con sé gli ostaggi liberati. Ma non si conosceva la effettiva situazione.

Gli informatori congolesi parlavano di un villaggio stabile con circa un’ottantina di Simba, più qualche donna.

Quindi i mercenari avrebbero dovuto compiere con gli scout una osservazione dell’obiettivo, dove erano tenuti rinchiusi i cinque ostaggi e poi sferrare un attacco.

Ma sarebbero dovuti prima giungere sull’obiettivo, osservare la situazione, decidere e poi agire…

La pattuglia partì da Baraka con un solo camion, scortata dall’autoblindo Ferret di “Skinny” Coleman, più due serventi del mezzo.

Giunti alla base delle colline a nord ovest di Fizi gli uomini scesero dal camion, che fu mimetizzato, mentre Coleman metteva in posizione la mitragliatrice del Ferret sul sentiero da cui sarebbero poi ritornati i mercenari dopo l’azione, per respingere eventuali inseguitori Simba.

Il drappello dei volontari si incamminò verso quel villaggio Simba individuato sulla carta topografica.

Precedevano il drappello gli scout katanghesi che il tenente Mutambala forniva costantemente al 5 Commando, più un altro paio di mercenari esperti nel seguire le tracce.

Il drappello camminava veloce, senza parlare. Nelle fitte erbe della savana solo i piedi sentivano il sentiero.

Nelle foreste che attraversavano il caldo era afoso. Ma era ciò che incontravano sempre durante la stagione secca.

Mentre attraversavano una savana videro giungere di corsa uno scout che riferì al tenente Moneta che i mercenari e gli scout mandati in avanscoperta avevano intercettato le quattro suore bianche e i fratello missionario nero mentre lavavano i panni in un ruscello, guardate da cinque Simba armati, a circa quattrocento metri da lì, nella foresta… I mercenari e gli scout si erano acquattati, tenendo sotto tiro i Simba, che stavano chiacchierando tra di loro, con i kalashnikov buttati da una parte, lontani da loro.

Evidentemente, non si aspettavano un attacco.

Né pensavano ad una ribellione da parte delle religiose e del missionario nero.

In prossimità del ruscello dove erano le suore e i Simba, Tullio fece muovere i suoi uomini a semicerchio, spedendo contemporaneamente uno scout e un mercenario sul sentiero verso l’accampamento Simba, che era a circa cinquecento metri da lì.

Quando i mercenari uscirono allo scoperto con le armi spianate, lo stupore si dipinse sul volto dei Simba, delle religiose e del fratello missionario nero. La sorpresa aveva paralizzato i Simba che furono ammucchiati da una parte, sotto tiro delle armi, mentre alcuni mercenari prelevavano i kalashnikov.

Le suore erano macilente, provate, seminude.

Non erano una bella visione… Erano state violentate dai Simba.

Due di esse erano incinte; e si vedeva dal ventre gonfio.

Mentre i mercenari cercavano qualche camicia per ricoprire le nudità delle suore, la radio gracchiò: “Attenzione, attenzione, da Aquila Bianca a Tiger… I Simba del villaggio stanno velocemente venendo verso di voi. Aquila Bianca cercherà di impegnarli e di bloccarli per un quarto d’ora. È il tempo che noi possiamo avere per rimanere in zona prima di rientrare”.

Infatti, era quella l’autonomia che avevano in zona di combattimento gli aerei che partivano dalla base di Albertville, a sud del lago Tanganika.

Tullio dette ordine di rimettersi in marcia velocemente. “Sorelle – disse alle suore – sono spiacente, ma dobbiamo andare via di corsa, perché stanno arrivando i Simba”.

Non potendo portarsi dietro prigionieri, diede l’ordine a Piero Nebiolo di risolvere la cosa. I Simba sapevano di dover morire, ma erano impassibili. Era come se la morte non li riguardasse. Tullio osservava le suore, mentre risuonavano i cinque colpi di pistola di Nebiolo. I volti delle sorelle erano a loro volta impassibili.

Solo ad una suora un lampo di gioia velò gli occhi.

Evidentemente, dopo ciò che avevano subito dai Simba, l’idea della fratellanza tra gli uomini di tutte le razze era stata riconsiderata.

“Adesso dobbiamo andare veloci – disse Tullio ai liberati – Il T28 per un po’ fermerà i Simba, che resteranno immobili nelle erbe della savana per non essere mitragliati”.

Le suore e il missionario nero camminavano veloci come i mercenari, in silenzio.

Tullio aveva lasciato una piccola retroguardia per impegnare eventualmente i Simba in un combattimento di copertura.

Quando giunsero al camion e al Ferret dopo una marcia spossante le suore e il missionario nero si liberarono del peso dell’angoscia con cui avevano convissuto per mesi.

Si misero ad abbracciare i mercenari, a ridere e a piangere contemporaneamente.

Poi vennero portate con il camion a Fizi e lasciate in quella base del 5 Commando.

Sarebbero state riportate nei giorni successivi ad Albertville dalla loro madre superiora, suor Annunziata.

Quando alcuni giorni dopo venne fatta una spedizione armata più consistente per distruggere definitivamente quel villaggio Simba, i mercenari trovarono una radura vuota, senza più le capanne.

Evidentemente temevano un successivo attacco mercenario e quindi smantellarono le capanne, portandosi via i pali da riutilizzare per un nuovo villaggio da qualche altra parte.

 

 

ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Terza parte)

ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Terza parte)

ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Terza parte)

Si decolla

Si decide di partire. Le armi, una volta in volo e fuori del tiro della mitragliera, verranno smontate e consegnate al comandante Saxena. 

I mercenari salgono tutti, compresi i tre feriti: uno alla gamba, un altro al braccio e un terzo, di cui Tullio non ricorda dove era stato colpito. Il morto viene messo nella chiglia.

Rimangono a terra il colonnello Hoare, il maggiore Moneta e Kurt Priefert, con il compito di allontanare dal Boeing la scaletta d’imbarco. Salirebbero poi con una scaletta di corda, calata dal portello della 1^ classe.

Mike Hoare rimane pensieroso, poi sbotta: «Io non parto. Rimango con la Résistence e organizzo la rivolta.»

Tullio gli fa presente che la Resistenza organizzata non esiste, che mentre i mercenari combattevano la Resistenza se ne stava chiusa in casa. Se si fossero uniti a loro, con le armi conquistate ai soldati tanzaniani, avrebbero potuto organizzare la guerriglia e magari battere il regime di René…

Hoare sembra irremovibile. Ciò che è avvenuto e per come è avvenuto lo considera come una sconfitta personale, un’onta al suo nome.

«Va bene, colonnello Hoare,  allora rimaniamo pure noi. Non la lasceremo sola. O andiamo via tutti, e lei con noi, oppure restiamo tutti» dice Tullio.

Di fronte allo sguardo determinato di Tullio e di Kurt, che giocherella con la pistola, il colonnello Hoare abbassa il capo e accetta di salire per la scaletta di corda, seguito dagli altri due.

Il Boeing rulla sulla pista e si solleva.

Appena è in volo, ecco che la mitragliera a quattro canne comincia a sparare. Al comandante Saxena sarà sembrato di essere ritornato in guerra.

Con la differenza che i tedeschi lo avrebbero abbattuto, mentre i soldati delle Seychelles non calcolavano che avrebbero dovuto indirizzare il tiro avanti al Boeing di sei lunghezze del Boeing stesso.

I colpi finiscono quindi di molto oltre la coda dell’aereo. I traccianti e gli scoppi dei proiettili a 1500 metri d’altezza sembrano uno spettacolo pirotecnico di addio ai mercenari e ai passeggeri, che si godono la scena. Come promesso, le armi vengono smontate e consegnate al comandante Saxena, avvolte in una coperta.

Viene stappata una bottiglia di Dom Perignon per un brindisi. Poi, Dunlop Paul comincia a spiegare la situazione e come si era creata.

I passeggeri, ormai rilassati dopo i drammatici momenti vissuti, iniziano ad interrompere Paul con domande pressanti. Al che, spazientito, Paul inizia a zittirli, chiedendo loro di calmarsi…

Cominciava ad eccitarsi pure lui. Si sentiva un “Rambo”, malgrado  non avesse mai partecipato ad azioni di guerra prima d’allora. Interviene allora Tullio e gli intima di smetterla e di mettersi a sedere. Poi chiede scusa ai passeggeri, rassicurandoli che essi non sono terroristi.

Il viaggio continua così, nel silenzio. Una giovane passeggera si era intanto innamorata del mercenario Nick Wilson. Tutti e due se ne stanno a baciarsi in coda all’aereo, in attesa di arrivare a Durban.

Paddy Henrick commenta oggi quel fallito golpe, a 32 anni di distanza: «Se il nostro governo sudafricano ci avesse detto di conquistare le Seychelles – mi scrive – lo avremmo fatto. Comunque, ci avevano detto che il golpe sarebbe dovuto essere senza spargimento di sangue; avevamo quindi le mani legate e fummo costretti ad un abbandono prematuro. Purtroppo, in guerra ci sono delle vittime. La vegetazione dell’isola era il terreno ideale per noi, perché ci eravamo addestrati in terreni molto più aspri. Ricordo che la maggior parte di noi era formata da soldati molto esperti in confronto all’esercito delle Seychelles. Eravamo una forza allenata a combattere e a distruggere il nemico a tutti i costi.»

Un particolare che circola nel  giro negli ambienti bene informati è che “qualcuno” avrebbe voluto abbattere il Boeing con un missile SAM di fabbricazione sovietica mentre erano in volo sull’oceano, diretto in Sudafrica.

Poiché alcuni servizi segreti occidentali erano coinvolti nell’”affaire Seychelles” non si voleva che chi tra i mercenari sapeva dei piani occulti potesse parlare durante il processo che si sarebbe senz’altro tenuto.

Per fortuna sull’aereo c’erano quaranta passeggeri civili ed alcuni ministri dello Zimbabwe e quindi si decise di non abbattere il Boeing, onde evitare grane peggiori.

Arresto e condanna

Il presidente René aveva fatto arrestare Dolinchek e gli altri cinque congiurati rimasti sull’isola.

Salvo Dolinchek che venne graziato dalla condanna a morte (pure per questo motivo il fallito golpe puzzava di tradimento da parte sua), gli altri furono condannati a morte.

Furono poi anch’essi graziati e andarono a scontare la pena del carcere in una deliziosa isola, come fossero turisti. Furono poi liberati definitivamente tutti e sei dietro pagamento da parte del Sudafrica di 5 milioni di dollari. Quanti furono i dollari pagati da parte USA non si sa.

Il generale boero André Beukes  disse che l’assunzione di Dolinchek fu uno dei più grandi errori fatti dai servizi sudafricani. Della stessa opinione erano il generale “Rassie” Erasmus e Craig Williamson, una superspia infiltrata nel KGB.

Il Boeing era atterrato a Durban e i quarantaquattro mercenari arrestati.

Vengono portati al carcere di Zonderwater che in afrikaans significa “senz’acqua” e si pronuncia “Zontervater”.

Zonderwater  era stato un campo di prigionia dei militari italiani durante la Seconda Guerra Mondiale.

E’ rimasto come allora, meta di pellegrinaggi degli Italiani. Dopo l’affondamento della San Giorgio a Tobruk, mio padre Ermanno era rimasto internato per sei anni a Zonderwater, insieme ad altri concittadini di Corridonia, la sua città, tra cui Rinaldo Ermini, che lo ricorda nelle sue lettere alla famiglia.

Finita la guerra e la prigionia, moltissimi prigionieri italiani si stabiliranno in Sudafrica, dove già era presente una comunità italiana numerosa, che li aiutava con affetto. 

Zonderwater, i mercenari rimasero un solo giorno. Furono interrogati durante un  briefing da alti ufficiali e rilasciati.

Un magistrato interrogò Hoare, Moneta, Duffy, Doorewaard, Dalglish, Web e Goatley ed alla fine li rilasciò. Ma lo scandalo del golpe alle Seychelles era diventato uno scandalo internazionale e i governi antiapartheid fecero un putiferio. Il governo sudafricano fu costretto ad arrestare di nuovo Hoare e gli altri golpisti

Il PM chiese 10 anni per ciascun reato (pirateria aerea, possesso di armi, e aver messo in pericolo la vita dei passeggeri), secondo il Civil Aviation Act n. 10, firmato a Toronto dal Sudafrica nel 1972. I 10 anni furono in seguito abbassati a 5 anni, poi a qualche mese da scontare nella prigione di Pretoria.

A Mike Hoare andò peggio con una condanna a 10 anni, poi ridotta, e scontata infine nella prigione di Pietermaritzburg, vicino a casa sua.

Giorgio Rapanelli, Ippolito Edmondo Ferrario, “Mercenario. Dal Congo alle Seychelles. La vera storia di Chifambausiku Tullio Moneta”, Edizioni Lo Scarabeo, Milano

L’addio a “Mad” Mike Hoare. Il ricordo nelle parole del maggiore Tullio Moneta

L’addio a “Mad” Mike Hoare. Il ricordo nelle parole del maggiore Tullio Moneta

I maggiori quotidiani italiani hanno dato la notizia della morte sopraggiunta il 3 febbraio 2020 evocando le sue imprese e la sua fama (https://www.corriere.it/cronache/20_febbraio_03/muore-100-anni-mike-hoare-fu-piu-leggendario-mercenari-48b78154-465c-11ea-afe7-221784afa655.shtml https://www.repubblica.it/esteri/2020/02/03/news/sudafrica_morto_mercenario_mad_mike-247518288/ )

Alla veneranda età di 100 anni se ne è andato  Mad “Mike” Hoare, comandante  del Quinto Commando (formato per lo più da volontari di guerra anglosassoni, sudafricani e rhodesiani), protagonista di numerose imprese nell’ ex Congo Belga. Hoare si è spento nel suo letto, a Durban, in Sudafrica.

Il suo nome rimarrà indissolubilmente legato a quell’epopea, ancora poco raccontata, dei cosiddetti soldati di ventura che nel secondo dopo guerra combatterono in svariati teatri di guerra, soprattutto africani. Al colonnello Hoare si ispirò la pellicola cinematografica, successo di incassi, “I quattro dell’oca selvaggia” (1978) per la quale fu coinvolto nelle vesti di consulente. Hoare fu anche il fautore di un rocambolesco tentativo di golpe alle isole Seychelles nel 1981.

Riporto qui di seguito alcuni estratti dell’intervista che  feci a colui che con “Mad” Mike Hoare condivise parte delle sue imprese, uno dei pochi italiani in forza al Quinto Commando: il maggiore Tullio Moneta.

A Tullio Moneta insieme a Giorgio Rapanelli, ho dedicato una biografia, edita dalle Edizioni Lo Scarabeo-Ritter di Milano nel 2014. (http://www.ritteredizioni.com)