Il macellaio del Verziere

Il macellaio del Verziere

Ripropongo qui di seguito, in una veste nuova e rivisitata, un racconto noir uscito qualche anno fa nell’antologia “Delitti alla milanese” curata da Gianluca Margheriti.

Buona lettura

Il macellaio del Verziere

Milano, dicembre del 1965

“Non è possibile? Era tutto quello che avevamo…Come faremo desso?! Sei un maledetto…” mormorò la donna incredula mentre singhiozzava.

Lei e lui erano nel retro del loro negozio. Il marito la guardava immobile, non sapendo cosa dire o fare.

Non provava vergogna, ma semmai fastidio nel dover rendere conto alla moglie di ciò che aveva fatto.
Tutti i nodi vengono al pettine, così si dice, ma Luigi aveva sperato di poter risolvere da solo quel debito che ogni giorno era diventato sempre più grande. Un’illusione che aveva nutrito per mesi.
“La giocata… la prossima giocata sarà quella fortunata” diceva a sé stesso quando usciva dalla bisca del Tino, in quel sottoscala fumoso della Vetra, dove trascorreva sempre più spesso le sere.
Rincasava in piena notte, barcollante, con i sensi anestetizzati dal vinaccio nero.

A volte si doveva appoggiare ai muri dei palazzi, colto dal senso di vertigine che l’alcool gli induceva.

Non di rado si fermava a vomitare per strada, da solo, alla stregua di un reietto.
Si riprometteva che dal giorno dopo sarebbe cambiato tutto, giurava a sé stesso che avrebbe chiuso con quella vita dissoluta.
I soldi ormai non bastavano più, la posta in gioco era sempre più alta.
E poi c’era lei, Anna, che aveva il potere di chiedergli qualsiasi cosa.

Quando lei gli si metteva tra le gambe lui era in suo potere, ammaliato da quegli occhi neri.

La donna, oltre a succhiargli il cazzo, sembra volesse ingoiargli l’anima.
“Non abbiamo più nulla” disse Maria che aveva investito l’eredità dei genitori in quel piccolo negozio di macelleria dopo anni di sacrifici.
Tutto sembrava perduto. Il conto corrente era stato svuotato dalla follia di Luigi, soggiogato dal demone del gioco e della lussuria.
La fine del mese non era ancora arrivata, ed erano già in ritardo con i fornitori da pagare.
Ma quelle che Luigi usava come scuse, errori della banca, come li chiamava lui, si erano ben presto rivelate un castello di bugie.
La lettera inviata dall’istituto stesso e aperta da Maria quella mattina stessa non lasciava dubbi.
Il conto era in rosso di parecchio e le spese continuavano ad aumentare.

Quella mattina Maria si era recata in piazza Fontana, presso la banca di cui erano clienti, scoprendo gli ammanchi.
Luigi aveva continuato a prelevare soldi e ora non avevano più nulla.
A quel punto il marito non aveva più potuto nasconderle la verità.

Se non avessero rispettato i trenta giorni di tempo concessi per saldare gli arretrati, le cose si sarebbero complicate.

Per non parlare di tutte le spese che sarebbero ancora arrivate.
“Vedrai, troveremo una soluzione. Se solo avessi ancora qualche soldo da giocare, potrei fare il colpo.

So che posso vincere” obbiettò lui nella sua follia, non rendendosi conto che la bisca era truccata .
Tino, che aveva un night-club, e gestiva la bisca nello scantinato attiguo riadattato a locale, aveva visto in Luigi il perfetto pollo da spennare, esattamente come quelli che l’uomo vendeva ai propri clienti del Verziere.
Tino aveva l’occhio clinico per individuare i soggetti deboli e vulnerabili; con la complicità di Anna aveva lentamente ridotto Luigi sul lastrico.
Tutto era iniziato una sera come tante, la prima volta che Luigi era andato con degli amici al night-club.
Complice lo champagne, il macellaio aveva parlato del lavoro, della sua bottega di carni che era la più rinomata del quartiere e del fatto che dopo anni di stenti era riuscito a uscire dalla miseria.
Aveva mostrato un Rolex d’oro al polso che aveva comprato da un non meglio precisato amico che gli procurava ori e preziosi a buon prezzo.
Quella stessa sera Tino aveva invitato Luigi ad andare a giocare da lui, in un ritrovo privato dove si poteva giocare soldi lontano, da occhi indiscreti.

Un posto per uomini di mondo, come lo aveva definito lui stesso sapendo di fare breccia nel macellaio. Lo aveva radiografato subito.
Gran lavoratore Lugi Brambilla, ma con un tallone d’Achille, un punto debole: per avere quello che ora possedeva aveva dovuto sudare e faticare come aiuto garzone nella stessa macelleria che poi rilevato, insieme a sua moglie, dal vecchio signor Cagnazzi.
Dunque una vita di privazioni. Ora che aveva raggiunto una certa solidità economica, Luigi voleva provare il brividio del vizio e di tutto ciò che fino a quel momento gli era stato precluso.
Le prime sere aveva pure guadagnato qualcosa a vincendo a poker e a scopa, ma poi la fortuna aveva cominciato a voltargli le spalle.
Se al gioco non era più fortunato a consolarlo c’era lei, Anna, che gli alleviava le pene del giocatore sfortunato, facendogli vivere sensazioni che sua moglie Maria, donna timorata di Dio, gli negava.

***

“Tu sei pazzo? Sei un mostro” commentò Maria sgomenta di fronte alla proposta del marito.
Era sera e stavano cenando a casa, nel loro appartamento di via Maddalena.
Ormai ogni giorno non facevano che discutere della situazione in cui si erano ritrovati.
“Allora preparati a perdere tutto. Ci pignoreranno il negozio, ci porteranno via tutto. Senza il negozio non abbiamo altre entrate” aggiunse lui cercando di convincerla.
“Dimenticavo, c’è anche l’affitto di casa. Con quali soldi lo pagheremo? Non abbiamo più nulla” aggiunse con un tono arrogante.
Luigi al posto di mostrarsi pentito per quello che aveva fatto, trattava la moglie con disprezzo, quasi fosse lei la causa che lo aveva spinto ad una vita dissoluta.
“Ci sono i gioielli di mia mamma. Forse con quelli potremo tirare avanti” abbozzò Maria mortificata.
“Con quella robetta ci paghiamo forse un mese di affitto. Se non facciamo come dico io, devi essere disposta a vivere in strada. Quella è la fine che faremo. Dovremo cambiare quartiere, a meno che tu non voglia farti vedere dalle tue clienti in mezzo ad una strada a fare la questua”
“Qualcuno sarà disposto ad aiutarci!”
“Tu dici?! Ti ricordi quando avevamo bisogno di un prestito e nessuno ci ha voluto dare una mano? Adesso sarebbe anche peggio”
“Ma io non voglio fare del male a nessuno” piagnucolò lei.
“Tu non dovrai fare nulla, ci penserò io. Vedrai che sarà più facile di quello che credi.

E poi il Carlino è sempre bevuto. Non si ricorderà di nulla” fece lui, biascicando un pezzo di michetta del giorno prima, ormai rafferma.

***

Il giorno successivo in negozio la carne scarseggiava. Era rimasto del pollame, della polpa per bistecche, polmoni, interiora, nodini di vitello.
I clienti quel giorno di dicembre, freddo e piovoso, guardavano le vetrine della macelleria e tiravano avanti.

Era come se intorno al negozio di Luigi cominciasse a respirarsi aria di disgrazia.
Poco prima di mezzogiorno entrò, come quasi ogni giorno, Carlino.
Sessant’anni, vedovo da una decina, aveva ereditato da una vecchia zia due cascine nel lodigiano, due floride aziende agricole che gli garantivano ottime entrate, oltre a due appartamenti in via Broletto che aveva messo a frutto.

Carlino si era così assicurato la vecchiaia e non solo quella.
Aveva il vizio delle prostitute e del bere. Un tempo era stato un bell’uomo e forte del suo fascino, ci provava con tutte le donne del quartiere, sposate e non.

Un Don Giovanni alla milanese, amante del cibo e delle forme giunoniche.
Nonostante Maria non fosse né giunonica, né tantomeno appariscente, Carlino aveva un debole per quella donna sempre affabile e gentile, sorridente con i clienti. Nel quartiere si diceva che facesse anche lo strozzino.

Prestava soldi alla gente in difficoltà ed era spietato se qualcuno pensava di gabbarlo.
Girava voce che avesse un amico siciliano, che lavorava al mercato ortofrutticolo, al quale affidava il recupero dei crediti.
“Buongiorno Luigi, Buongiorno Maria” disse entrando nel negozio e guardandosi intorno con aria perplessa.
“Buongiorno signor Carlo” avevano risposto i coniugi Brambilla, scambiandosi uno sguardo d’intesa.
“Che cosa le posso dare oggi?” gli domandò Luigi più affabile del solito.
“Lugànega. Oggi voglio la vostra lugànega. Me la cucino col vino rosso” annunciò l’uomo, soddisfatto del proposito culinario del giorno.
Luigi fece un’espressione vagamente dispiaciuta.
“Non l’abbiamo ancora preparata. Se ha pazienza nel pomeriggio gliela facciamo trovare fresca come piace a lei” fece il macellaio accomodante.
Carlino bestemmiò.
“Venga nel pomeriggio, alla riapertura. Gliela do io, non appena finiamo di farla” si premurò di aggiungere Maria.

La donna sembrava a disagio.
“Ghe nient chi, ostia” sibilò Carlino riferendosi al bancone vuoto.
“Ricordati che oggi non ci sono tutto il pomeriggio e devi fare banco e cassa” aggiunse Luigi rivolgendosi alla moglie.
“Il signor Carlino può venire anche prima dell’apertura.

Io in pausa non mi muovo da qui” specificò Maria, con uno strano sorriso indirizzato all’uomo.
“Fai come vuoi. Io tra poco devo andare” aggiunse Lugi.
Quelle parole innescarono strani pensieri nella mente di Carlino.
Biascicò qualcosa e parve rabbonirsi. Fece spallucce.
“Allora vengo dopo pranzo” disse prima di congedarsi.

***

Maria era immobile, incapace di reagire. Accanto a lei c’era il bicchiere di grappa, ancora mezzo pieno. Carlino la sovrastava, tenendola forte per il collo con le sue grosse mani.
Lei era appoggiata al tavolaccio, con il freddo del piano di marmo che le faceva indurire i capezzoli dei seni schiacciati.
L’uomo, ubriaco, cercava, senza riuscirvi, di slacciarsi i pantaloni.

Le sue dita tozze sembravano incapaci di sfilare il bottone dall’asola. Stava lottando anche con la cintura, ma non voleva mollare la presa su Maria. L’idea di averla lì, nel retro negozio, disponibile a farsi montare, lo faceva impazzire.
Barcollava per l’alcool; per reggersi in piedi la schiacciava giù.
Maria aveva il fiato strozzato e digrignava i denti.

Nelle narici sentiva l’odore intenso del sangue e della carne che su quel tavolo veniva macellata.

I minuti parvero infiniti.
Alla fine riuscì a denudarsi e a prendersi in mano il pene. Maria lo sentì tra le natiche che premeva.
Poi un grugnito, rauco, animalesco, si levò alle sue spalle.

La donna provò una strana sensazione di umido sulle guance, come se avesse qualcosa di bagnato l’avesse toccata. Carlino lentamente abbandonò la presa, permettendole di tornare a respirare. Maria ansimava col fiato rotto, incredula più per la situazione nella quale si era ritrovata, che per il resto.

Era mezza nuda, i capelli scarmigliati, la gonna arrotolata sui fianchi, sgualcita, le mutande strappate.
Si voltò e rabbrividì. Carlino la guardava incredulo, tastandosi il collo con la mano destra, in un gesto frenetico. Aveva la bocca distorta in una smorfia di stupore e sgomento. Non poteva essere vero.
Era in piedi davanti a lei coni pantaloni abbassati, il cazzo semi turgido che penzolava.
Le dita della sua mano avevano incontrato, sgomente, il freddo acciaio della mannaia che Luigi, da dietro, gli aveva conficcato alla base del collo. Era stato un colpo netto, come quando c’era da tagliare l’osso dei nodini.

La lama era penetrata nella carne come se fosse burro. Il sangue era schizzato fuori, zampillando sulle guance piene della moglie del macellaio. Carlino non provò dolore nel sentire che la vita gli scivolava via nel retrobottega della macelleria dei coniugi Brambilla.
Almeno così parve a Maria che lo vide accasciarsi piano, in un rantolo osceno che durò pochi istanti.

***

“Ho dovuto farlo… Quel maiale schifoso ti voleva fare. Ha avuto quello che si meritava” sibilò Luigi stralunato, con gli occhi neri che sembravano uscirgli dalle orbite e un ghigno bieco che gli deformava il volto pacioso.

Carlino giaceva a terra morto con la esta quasi staccata dal collo, con il sangue che andava formando un lago scuro, denso e spesso.
“Dovevamo solo farlo bere! Adesso che cosa facciamo?!” strillò Maria portandosi le mani al viso.

Era disperata e inorridita.
Luigi per tutta risposta, osservando il cadavere con odio, vi sputò sopra in segno di disprezzo.
“Non startene impalata. Stasera andrò a ripulirgli la casa. E adesso diamoci da fare. Vai a mettere il cartello che oggi restiamo chiusi. Abbiamo tanto lavoro da fare- le ordinò il marito che fin dall’inizio aveva pensato di far fuori Carlino.
“Ci arresteranno…La polizia ci scoprirà, finiremo…”
“Taci e fai quello che ti dico- le urlò lui con aria spiritata.

In quel momento avrebbe potuto uccidere anche lei se non avesse obbedito.
Luigi aveva perso ogni freno inibitorio o remora morale.

Avrebbe portato a termine il suo folle progetto con la complicità della moglie. La donna non aveva alternativa.
Quel pomeriggio di dicembre la macelleria dei coniugi Brambilla al Verziere rimase chiusa anche se era un giorno della settimana. Nessuno ci fece caso, visto che ormai negli ultimi tempi nel negozio la carne scarseggiava.
Il cadavere del Carlino venne spogliato.

Maria ne avrebbe bruciato i vestiti nella stufa a carbone di casa la sera stessa, riducendoli in cenere. Una volta messo sul tavolaccio, nudo, senza più vita, il macellaio del Verziere provò uno strano piacere nell’avere a sua completa disposizione il corpo di un uomo che un tempo lo metteva in soggezione.
Per prima cosa volle evirarlo e castrarlo. Mise da parte i testicoli e il pene che avrebbe utilizzato successivamente.
Poi si dedicò con tutta la sua perizia al cadavere.

La dissezione richiese ore di lavoro. Andò avanti fino alle dieci di sera. Fu un’operazione bizzarra, ma istruttiva al tempo stesso. Per uno abituato alla macellazione di animali fu come provare qualcosa di nuovo, un nuovo campo di sperimentazione.
Non provò disgusto, ma procedette senza fretta, cercando di non buttare via nulla, esattamente come si faceva con la carne di maiale.
La sera stessa, dopo la mezzanotte, il macellaio si introdusse nell’appartamento dell’uomo che abitava in via Laghetto. Sapeva esattamente dove abitava perché in passato gli aveva consegnato la carne a casa.

Nessuno si accorse di lui. A quell’ora il quartiere era deserto. Frugò in tutta la casa e alla fine trovò quello che sperava: orologi, alcuni di valore, contanti e gioielli, per lo più ori. Probabilmente erano i preziosi che la gente gli dava in pegno. Setacciò la casa da cima a fondo.
Verso le tre del mattino, in silenzio, se ne andò.

Quando tornò a casa trovò Maria a letto che dormiva profondamente.

Dal giorno successivo la macelleria dei coniugi Brambilla riaprì e il bancone tornò lentamente a essere rifornito di carne. Quello che avevano in gran quantità era la luganega. Ce n’era tanta, a rotoli lunghissimi.

Aveva un aspetto chiaro, forse un po’ esangue, ma era fortemente profumata grazie all’ aglio, al pepe e al finocchietto che Luigi aveva abilmente dosato. Aveva poi aggiunto il brodo di carne, il Marsala e il grana padano per rendere perfetto l’impasto macinato.

In pochi giorni la esaurì tutta e alcuni dei clienti la ricomprarono più di una volta facendogli i complimenti per quanto era buona. Luigi sorrideva, ringraziandoli. Non poteva dire loro che l’ingrediente segreto era Carlino.

 

 

 

Le fatiche dello scrittore…

Le fatiche dello scrittore…

Scrivere un racconto. Per il sottoscritto rimane una fatica immane. Una prova a livello mentale, uno scoglio che ogni volta che si presenta all’orizzonte preferirei aggirare. Poco prima del sopraggiungere dell’estate, ad una cena post presentazione del libro Alla scoperta di Milano Sotterranea, mi trovo a valutare e ad aderire subito, anche per amicizia nei confronti di chi mi propone questa opportunità, al progetto di scrivere un racconto per una raccolta di storie noir il cui filo conduttore è la cucina milanese. L’editore è Excalibur di Milano. Le garanzie ci sono tutte.

Il racconto che scriverò vedrà la luce un mese dopo la serata, a luglio, mentre sono in montagna. Nel giro di un giorno, allontanando la tentazione di gettare la spugna, mi metto a scrivere. Scelgo come piatto la “luganega”, ovvero la salsiccia, che magari non è propriamente un piatto completo, ma certamente rientra tra i prodotti della cucina milanese e anche lombarda.

Parto da un’immagine, una suggestione meglio, che mi “perseguita” fin dalla tenera età, cioè l’ambientazione della storia al Verziere. Quartiere storico, antico, secolare di Milano, ha sempre sortito uno strano magnetismo sul sottoscritto. All’età di nove anni circa sognavo il giorno in cui mia nonna mi avrebbe portato a visitare l’ossario della Chiesa di San Bernardino, al Verziere appunto.

Da allora il Verziere per me divenne questa chiesa, il cui ossario è rimasto chiuso per parecchi anni per i lavori di restauro. Ricordo che di tanto in tanto telefonavo in parrocchia per sapere quando l’avrebbero aperto. Roba da necrofili.

Decenni dopo sarei tornato in San Bernardino alle Ossa, nei panni dello speleologo, per studiarne i sotterranei e il suo particolare putridarium, sotto la guida dell’amico speleologo (quello vero!) Gianluca Padovan. Fra l’altro anche Gianluca è presente, e non poteva essere diversamente, tra gli autori selezionati per questa raccolta. E ancora tra questi compare un certo Roberto Allegri, conoscenza ormai di vecchia data, e uno degli scrittori più umani, caparbi e capaci che io conosca. Un artigiano silenzioso quanto risoluto della scrittura.

Tutto sembra deporre a favore della teoria dei corsi e dei ricorsi. O forse, come direbbe Gianluca, gli Dei spesso hanno progetti imperscrutabili…

Il mio racconto noir a base di luganega non poteva trovare dunque migliore ambientazione.

Il Verziere… quartiere un tempo malfamato, così riferiscono le cronache cittadine, sorto all’ombra del Duomo, abitato da emarginati, poveri e prostitute. Forse anche da streghe, così dicono le leggende.

Ancora adesso, esaurite le indagini speleologiche sotto la chiesa di San Bernardino alle Ossa, e placato il mio piacere nel visitarne l’ossario,  spesso capito al Verziere. Succede due volte al mese, con gli amici del circolo “I proscritti del Gendarmi”, presieduto dal Comandante Mauro Melchionda. C’è un’ottima pizzeria, si chiama Original Pizza e fa una straordinaria pizza grande e sottilissima. Sono serate di pura goliardia, di progetti e di riflessioni.

Naturalmente, visto che la specialità è la pizza, ben mi guardo dall’andarvi a mangiare la luganega…

Vi chiederete come mai?

Vi invito a leggere il racconto….

Il macellaio del Verziere

Milano, dicembre del 1965

-Non è possibile? Era tutto quello che avevamo…Come faremo desso?!Sei un maledetto…- disse la donna incredula, piangendo sommessamente nel retro del negozio mentre il marito la guardava pietrificato, non sapendo cosa dire o fare. Tutti i nodi vengono al pettine, così si dice, ma Luigi aveva sempre sperato di poter risolvere quel debito che ogni giorno diventava sempre più grande. Un’illusione che aveva nutrito per settimane che erano poi diventate mesi.

-La giocata, la prossima giocata sarà quella fortunata- diceva a sé stesso quando usciva dalla bisca del Tino, in quel sottoscala fumoso della Vetra,  dove consumava sempre più spesso le sue sere. Rincasava in piena notte, spesso barcollante, con i sensi anestetizzati dal vinaccio nero o dalla grappa. A volte si doveva appoggiare ai muri dei palazzi, colto dai sensi di vertigine che l’alcool gli induceva. Altre volte si fermava a vomitare per strada, da solo. Si riprometteva che dal giorno dopo sarebbe cambiato tutto, giurava a sé stesso che avrebbe chiuso con quella vita.

(continua)

( In libreria dai primi di dicembre 2018)

Come nasce il libro…

Milano ha una grande tradizione di narratori gialli, conosciuti e apprezzati in tutto il paese. L’antologia di racconti Delitti alla milanese riunisce alcuni dei più prestigiosi nomi del panorama letterario milanese e un piccolo gruppo di promettenti autori emergenti per metterli di fronte a una sfida incredibile… e molto golosa: scrivere racconti noir che abbiano al centro della narrazione un piatto tipico della cucina milanese.
I racconti che compongono l’antologia sono diversissimi tra loro, si va da quelli che si muovono in accurate ambientazioni storiche ai polizieschi più classici, da quelli che parteggiano per l’assassino a quelli che trattano l’argomento in modo più scanzonato. Venti diverse interpretazioni del giallo, ma non solo quello del risotto allo zafferano. Venti interpretazioni che vi faranno ridere, piangere e rabbrividire, ma che soprattutto vi faranno venire fame!

Siccome, come scrive Stefano Benni in Margherita Dolcevita, «Il mondo si divide in: quelli che mangiano il cioccolato senza il pane; quelli che non riescono a mangiare il cioccolato se non mangiano anche il pane; quelli che non hanno il cioccolato; quelli che non hanno il pane», il ricavato dei diritti d’autore dei racconti verrà interamente devoluto all’Opera San Francesco che dal 1959 garantisce cibo, assistenza e accoglienza ai poveri. Dal canto suo l’editore devolverà la medesima cifra dal ricavato delle vendite.

Ad accompagnare i racconti ci sono diciannove schede curate da Gian Luca Margheriti che raccontano storie e leggende sulla nascita dei piatti della cucina milanese e altrettante ricette della tradizione curate da Giovanna Mazzoni.