Accadde Domani. 12 ottobre 1979. La seconda rapina del Nucleo Economico di Avanguardia Nazionale

Accadde Domani. 12 ottobre 1979. La seconda rapina del Nucleo Economico di Avanguardia Nazionale

2 ottobre 1979. La seconda rapina del Nucleo Economico di Avanguardia Nazionale

La prima rapina, al di là della disavventura col cassiere, si concluse positivamente. Eravamo pronti per il secondo colpo: l’agenzia N. 1 del Banco di Roma in via XX settembre di fronte al Ministero del Tesoro. Decidemmo di procedere il giorno successivo, il 12 ottobre 1979.

Dimitri ed un altro si preoccuparono di neutralizzare la guardia giurata che aveva l’abitudine di starsene comodamente a leggere il giornale seduto in auto davanti alla banca. I due si avvicinarono passando inosservati. Spacciandosi per turisti gli mostrarono un cartello sul quale c’era scritto: “Questa è una rapina, non ti muovere”. Lo stratagemma funzionò. Dopo averlo disarmato salirono sulla macchina e lo portarono con loro in zona Villa Borghese per circa mezz’ora. Nel frattempo Alibrandi ed io, con le chiavi dateci da un altro basista addetto alle pulizie, entrammo dall’ingresso riservato ai dipendenti. A quell’ora l’agenzia era chiusa al pubblico, c’era solo il personale. Cominciammo a prendere i soldi nei cassetti e nelle casseforti che stavano dietro gli sportelli. Quello però a cui miravamo era il caveau e il suo contenuto. Mi rivolsi ad un vicedirettore per avere le chiavi del caveau. Costui iniziò a prendere tempo. Diceva che oltre alle sue ci volevano altre chiavi che in quel momento non erano nella filiale. Persi la pazienza e lo invitai a slacciare la cintura dei pantaloni. Lui non capì che cosa volessi fare. Gli mostrai la bomba a mano che avevo con me. Gli dissi che avrei tolto la sicura e gliela avrei messa nelle mutande. La minaccia sortì l’effetto desiderato. Il vicedirettore si precipitò per accompagnarmi nel caveau…

Tratto da: Domenico “Mimmo” Magnetta, Ippolito Edmondo Ferrario, Una vita in Avanguardia Nazionale, Ritter Edizioni

 

Accadde Domani. 11 ottobre 1979. La prima rapina del Nucleo Economico di Avanguardia Nazionale

Accadde Domani. 11 ottobre 1979. La prima rapina del Nucleo Economico di Avanguardia Nazionale

11 ottobre 1979. La prima rapina del Nucleo Economico di Avanguardia Nazionale.

La prima rapina la facemmo l’11 ottobre del 1979 all’agenzia N. 30 del Banco di Roma in zona Eur. Eravamo Alessandro Alibrandi detto “Ali Babà”, Giuseppe Dimitri, il sottoscritto e qualcun altro. Alibrandi ed io raggiungemmo a volto scoperto la guardia giurata che stava fuori dall’istituto. Sapevamo che si posizionava in un punto preciso dove poteva stare all’ombra. Lo disarmammo e in due lo portammo dentro alla banca.

Una volta dentro la prima cosa di cui mi preoccupai fu controllare che tra i clienti non vi fosse magari qualche poliziotto in borghese e quindi armato. Era una precauzione necessaria. Scavalcai il bancone e io stesso mi stupii della riuscita del gesto atletico. All’epoca pesavo 96 chili, ai quali dovevo aggiungere il peso delle armi (una pistola e una bomba a mano) e del giubbotto antiproiettile. Fra l’altro come mia “divisa” per la rapina ero andato a comprare un abito da Cenci: giacca, gilet, pantaloni, camicia e cravatta. E sopra a tutto indossavo un lungo impermeabile chiaro utile per occultare le armi, specie i mitra, ma anche per catturare l’attenzione visiva delle vittime che guardavano più quello che il volto di chi lo indossava.

Iniziai a prelevare i contanti dai cassetti. Nell’occasione avevamo un basista all’interno della banca, un camerata con il quale ci eravamo accordati precedentemente. Nella settimana in cui avremmo fatto il colpo, suo compito giornaliero era far sì che nelle casse della filiale ci fosse a disposizione una liquidità di duecentocinquanta milioni di lire. Come cassiere quello era il suo compito e li fece arrivare. Noi non gli comunicammo il giorno in cui saremmo entrati in azione, la sua consegna era quella di far trovare i soldi disponibili nell’arco dell’intera settimana. Così fece. Quei soldi avrei dovuto far finta di cercarli, visto che non stavano nel cassetto in vista; gli accordi erano che lui, con lo sguardo, avrebbe dovuto indicarmi dove esattamente si trovavano. Dopo aver preso velocemente quello che stava nel cassetto e nell’armadio, circa venticinque milioni, cercai il grosso del contante. Passarono i secondi, feci diversi tentativi, ma non saltò fuori nulla. Il vero ed unico problema era che il nostro basista era strabico. Sembra una barzelletta, ma il gioco di sguardi si rivelò fallimentare per questo motivo. Non capivo dove lui guardava e persi tempo prezioso. Alla fine dovetti rinunciare ai duecentocinquanta milioni che c’erano. Con un sacchetto uscimmo dalla banca con quel poco racimolato.

Per la cronaca il “nostro” cassiere, con la scusa della rapina, a nostra insaputa si intascò dieci milioni facendoli sparire. Tutto questo emerse solo successivamente grazie alle rivelazioni di Cristiano Fioravanti sulle rapine che portarono all’arresto anche dei basisti. Già un sospetto mi era venuto perché il giorno dopo, leggendo “Il Messaggero”, si parlava di trentacinque milioni sottratti alla filiale, e non dei venticinque milioni che avevamo effettivamente portato via.

Tratto da: Domenico “Mimmo” Magnetta, Ippolito Edmondo Ferrario, Una vita in Avanguardia Nazionale, Ritter Edizioni

Accadde Domani. 3 luglio 1984. Muore in un conflitto a fuoco con i carabinieri Rodolfo Crovace detto “Mammarosa”

Accadde Domani. 3 luglio 1984. Muore in un conflitto a fuoco con i carabinieri Rodolfo Crovace detto “Mammarosa”

3 luglio 1984. Muore in un conflitto a fuoco con i carabinieri Rodolfo Crovace detto “Mammarosa”.

Anche noi qualche volta ricorremmo ad aiuti esterni, cioè alla squadra di Avanguardia Nazionale che veniva da fuori: era composta numericamente da pochi elementi, ma risultò determinante specie negli scontri con i katanga, diversi dei quali finirono accoltellati. Questo servì a restituirci una certa tranquillità all’interno della scuola: sapevano che noi, benché in pochi, eravamo agguerriti e cattivi. Il periodo di tregua che ne derivò fu breve e illusorio. Le vicissitudini personali e gli arresti ridussero il numero dei componenti di questo nostro supporto esterno. I compagni vennero a saperlo e ci ritrovammo all’interno della scuola sempre più soli. Ripresero dunque a usarci come bersaglio. In questa seconda fase qualche volta fece la sua comparsa, fuori dallo Zappa, Rodolfo Crovace detto “Mammarosa”, figura di spicco in San Babila.
Un giorno la sua apparizione fuori dall’istituto smorzò gli animi dei compagni. Con i loro modi teatrali “Mammarosa” e Mario Di Giovanni iniziarono a passeggiare sotto le finestre dello Zappa, salutandoci e facendo cenni con cui volevano tranquillizzarci perché “c’erano loro”.
Un altro giorno Mammarosa entrò nel bar Celeste, un locale all’angolo tra viale Marche e via Lario, noto ritrovo di compagni. Vi arrivò da solo e si mise al telefono a gettoni. Fece finta di telefonare e fu attento che i presenti sentissero bene le sue parole rivolte all’interlocutore immaginario. Più o meno disse che era al bar Celeste, ritrovo di “comunisti di merda” e che aspettava che uscissero da scuola i camerati. Finì la telefonata dicendo che se qualcuno avesse provato a dare fastidio ai suoi amici avrebbe fatto i conti con lui. Detto questo mostrò con gesto plateale le due pistole che teneva alla cintura. Tra gli avventori del bar calò il gelo. Quel gesto servì a garantirci ancora un po’ di tranquillità, forse qualche settimana. Poi la situazione peggiorò e una mattina che c’era manifestazione fummo costretti ad uscire dall’istituto passando in mezzo a due cordoni di compagni che ci riempirono di sputi, calci e pugni.
Tratto da: Domenico “Mimmo” Magnetta, Ippolito Edmondo Ferrario, Una vita in Avanguardia Nazionale, Ritter Edizioni

 

 

Accadde Domani. 5 giugno 1976. Lo scioglimento di Avanguardia Nazionale e la nascita dell’Avanguardia Nazionale clandestina

Accadde Domani. 5 giugno 1976. Lo scioglimento di Avanguardia Nazionale e la nascita dell’Avanguardia Nazionale clandestina

5 giugno 1976. Lo scioglimento di Avanguardia Nazionale e la nascita dell’Avanguardia Nazionale clandestina

Lo scioglimento di Avanguardia Nazionale risale ufficialmente al 5 giugno del 1976, quando il tribunale di Roma dichiarò illegale il movimento accusando e processando i sessantaquattro imputati alla sbarra per diversi reati, tra cui ricostituzione del partito fascista, atti di violenza politica e terrorismo. Il relativo processo iniziò l’11 dicembre del 1975, dopo che il 25 novembre dello stesso anno era scattata una maxioperazione in tutta Italia che aveva portato all’identificazione e all’arresto di numerosi tra dirigenti e militanti. Tecnicamente, Avanguardia Nazionale avrebbe dovuto cessare di esistere. A Milano dunque rimanevamo in pochi e nell’ombra a tenere in vita il movimento costretto alla clandestinità. Nel resto d’Italia, ma a Roma in particolare, nascevano sempre più iniziative tanto spontanee quanto dannose perché prive di un disegno politico che ne tracciasse la via.

Era una situazione delicata. Per me proseguire la lotta era una necessità imprescindibile. L’avere poi una vita parallela da gestire mi garantiva al contempo anche non poche emozioni. Questa doppia identità mi faceva sentire vivo…Chi invece, in Avanguardia, all’epoca era magari già sposato o aveva addirittura figli, sentiva tutto il peso delle responsabilità e delle azioni che si facevano.

A quel punto, nella mia ottica di soldato politico, le rapine divennero l’unica via possibile per finanziare il movimento.Quando ne parlai con Ballan ricevetti subito una risposta negativa. Mi disse che non potevo pretendere di cambiare e migliorare il mondo passando attraverso azioni delittuose. Non potevo biasimarlo, ma le contingenze in cui ci eravamo venuti a trovare mi suggerivano di non arrendermi.  Accusavo anche stanchezza oltre che rabbia per quella situazione di difficoltà che ci affliggeva. Non vedevo spiragli. Ero consapevole che la mia posizione contravveniva allo spirito originario che aveva sempre animato il movimento, ovvero quello di frenare determinati atteggiamenti nei giovani più irruenti, di non cadere vittime di provocazioni. Lo Stato ci voleva in carcere, i compagni non accennavano ad abbassare il tiro e tra di noi le armi continuavano a girare. Non era più solo questione di detenerle per difenderci, per una semplice questione di sopravvivenza. Io volevo andare oltre.

I miei progetti però non prevedevano un uso delle armi fine a sé stesso come è accaduto con lo spontaneismo dei Nar. Di fronte al “no” di Ballan mi imposi: che a lui piacesse o no, io avrei formato un nucleo di ragazzi per procedere con le rapine e realizzare un movimento rivoluzionario, o perlomeno tentare di farlo… Se non ci fossimo riusciti, ci saremmo accontentati di azioni di testimonianza.

Tratto da: Domenico “Mimmo” Magnetta, Ippolito Edmondo Ferrario, Una vita in Avanguardia Nazionale, Ritter Edizioni

 

Accadde Domani. 19 maggio 1977. L’ultima rapina di Umberto Vivirito

Accadde Domani. 19 maggio 1977. L’ultima rapina di Umberto Vivirito

19 maggio 1977. L’ultima rapina di Umberto Vivirito

L’impossibilità di avere visibilità, di poter disporre di spazi pubblici come gli altri per fare propaganda condizionò la mentalità di tutto un ambiente.La necessità di procurarsi armi e fondi per l’attività politica passò dunque attraverso le rapine. Si potevano trovare le armi rapinando un’armeria o rivolgendosi alla malavita, ma per farlo ci volevano soldi. Era un cane che si morde la coda.

Io stesso ebbi come dotazione personale una pistola che proveniva dalla rapina di un’armeria di Monza.

Quando loro due intrapresero queste operazioni, lo fecero senza un ritorno personale, ma sempre nell’ottica di un disegno politico, folle o utopistico che fosse.

Non erano delinquenti comuni e mai lo divennero. Rievocare oggi la cronaca di certi atti come le rapine da loro commesse in gioiellerie o armerie mette fortemente in imbarazzo anche a “destra”. Alcuni vorrebbero tralasciare determinati episodi reputandoli marginali o poco encomiabili. Io invece credo, andando certamente contro la pubblica morale di allora e di oggi, che negli anni ’70 non ci fosse altra soluzione.

Quando, il 19 maggio del 1977, a Milano, Umberto Vivirito fece l’ultima rapina che fu fatale a lui e al proprietario della gioielleria, era reduce da due anni di detenzione che non avevano fatto altro che esasperarlo. Anche qui, non si tratta di una giustificazione, ma di un fattore da tener presente. Umberto fu imprudente, avventato e sfortunato. Ciò che per me resta evidente, a distanza di più di quarant’anni, è il fatto che lui, Alessandro e altri aderirono senza risparmiarsi ad una causa e ne pagarono le conseguenze. Furono anni che stravolsero davvero le nostre esistenze e quelle di chi ci stava vicino.

Tratto da: Domenico “Mimmo” Magnetta, Ippolito Edmondo Ferrario, Una vita in Avanguardia Nazionale, Ritter Edizioni