da Ippolito Edmondo Ferrario | Ott 22, 2020 | Accadde Domani
21 ottobre 1981. Un commando armato formato Alessandro Alibrandi, Francesca Mambro, Gilberto Cavallini, Giorgio Vale, Stefano Soderini, Walter Sordi uccide il capitano di P.S. Francesco Straullu e la guardia scelta Ciriaco Di Roma. Mimmo Magnetta ricorda l’incontro con il capitano Straullu che ha coordinato il suo arresto al valico del Gaggiolo
Il mio percorso carcerario, dopo l’arresto, è riassumibile nelle seguenti tappe. I primi due giorni li trascorsi a Varese in camera di sicurezza, poi ne trascorsi cinque a Roma, sempre in camera di sicurezza. Al mio arrivo a Roma c’era ad accogliermi il capitano di P.S. Francesco Straullu. So che in cambio della collaborazione Straullu aveva offerto ad altri la cifra di trecento milioni di lire e una nuova identità. Con me e con Dimitri non accennò mai a eventuali prospettive di collaborazione. Appena scesi dalla macchina che mi aveva portato dalla questura di Varese a Roma, lui volle vedermi. Io ero scortato da due poliziotti. Mi venne incontro con modi affabili chiedendomi se gli concedevo l’onore di stringergli la mano. Era un uomo giovane, non molto alto. Vestiva in borghese, indossava una maglietta polo, un golf arrotolato in vita e jeans. Dalle tasche spuntava arrotolata una copia de “Il Manifesto”. Io gli chiesi chi fosse. Lui si presentò come il capitano Straullu, colui che aveva coordinato l’operazione che aveva portato al mio arresto. Io gli risposi con un “complimenti”. Poi insistette nel volermi stringere la mano e gli chiesi il motivo.
– Tu e il tuo amico Peppe Dimitri siete gli unici della banda dei Nar che sapete perché fate certe cose. Agli altri vostri camerati bisogna dare uno schiaffo per parlare e due per farli stare zitti.
Gli diedi la mano. Era un po’ come ricevere l’onore delle armi. Lui si accorse dei segni che portavo in volto, frutto del trattamento ricevuto a Varese una volta tratto in arresto. Lo stesso procuratore di Varese, giorni prima, alla presenza dei sette operatori di polizia che mi avevano menato, mi aveva invitato a parlare e a fare i nomi degli agenti che mi avevano pestato.
– In questa stanza l’unico a non dover avere paura sono io… – risposi al procuratore.
Gli agenti erano in piedi, messi a semicerchio intorno a me. Sentivo il loro fiato sul collo. Li avevo guardati uno per uno e poi, rivolgendomi al Procuratore, avevo dichiarato, come si usava, che ero caduto dalle scale. Era evidente che non poteva essere andata così, ma, come era regola mia e degli avanguardisti, non avevo parlato. Firmata la dichiarazione venni portato fuori dalla stanza. Qui uno dei poliziotti mi disse:
– Mimmo, ti dobbiamo delle scuse. Ci devi scusare…
Io li mandai affanculo, gli dissi di riportarmi in cella e che delle loro scuse me ne fregavo.
Straullu con me fu gentile. In quei cinque giorni che rimasi in cella di sicurezza a Roma in questura, dato che fin dal primo momento dell’arresto non avevo toccato cibo, mi fece arrivare parecchie cose extra da mangiare: maritozzi con la panna, spremute d’arancia e altro. Io continuai però a non toccare cibo.
Tratto da: Domenico “Mimmo” Magnetta, Ippolito Edmondo Ferrario, Una vita in Avanguardia Nazionale, Ritter Edizioni
da Ippolito Edmondo Ferrario | Ott 9, 2020 | Accadde Domani
2 ottobre 1979. La seconda rapina del Nucleo Economico di Avanguardia Nazionale
La prima rapina, al di là della disavventura col cassiere, si concluse positivamente. Eravamo pronti per il secondo colpo: l’agenzia N. 1 del Banco di Roma in via XX settembre di fronte al Ministero del Tesoro. Decidemmo di procedere il giorno successivo, il 12 ottobre 1979.
Dimitri ed un altro si preoccuparono di neutralizzare la guardia giurata che aveva l’abitudine di starsene comodamente a leggere il giornale seduto in auto davanti alla banca. I due si avvicinarono passando inosservati. Spacciandosi per turisti gli mostrarono un cartello sul quale c’era scritto: “Questa è una rapina, non ti muovere”. Lo stratagemma funzionò. Dopo averlo disarmato salirono sulla macchina e lo portarono con loro in zona Villa Borghese per circa mezz’ora. Nel frattempo Alibrandi ed io, con le chiavi dateci da un altro basista addetto alle pulizie, entrammo dall’ingresso riservato ai dipendenti. A quell’ora l’agenzia era chiusa al pubblico, c’era solo il personale. Cominciammo a prendere i soldi nei cassetti e nelle casseforti che stavano dietro gli sportelli. Quello però a cui miravamo era il caveau e il suo contenuto. Mi rivolsi ad un vicedirettore per avere le chiavi del caveau. Costui iniziò a prendere tempo. Diceva che oltre alle sue ci volevano altre chiavi che in quel momento non erano nella filiale. Persi la pazienza e lo invitai a slacciare la cintura dei pantaloni. Lui non capì che cosa volessi fare. Gli mostrai la bomba a mano che avevo con me. Gli dissi che avrei tolto la sicura e gliela avrei messa nelle mutande. La minaccia sortì l’effetto desiderato. Il vicedirettore si precipitò per accompagnarmi nel caveau…
Tratto da: Domenico “Mimmo” Magnetta, Ippolito Edmondo Ferrario, Una vita in Avanguardia Nazionale, Ritter Edizioni
da Ippolito Edmondo Ferrario | Ott 9, 2020 | Accadde Domani
11 ottobre 1979. La prima rapina del Nucleo Economico di Avanguardia Nazionale.
La prima rapina la facemmo l’11 ottobre del 1979 all’agenzia N. 30 del Banco di Roma in zona Eur. Eravamo Alessandro Alibrandi detto “Ali Babà”, Giuseppe Dimitri, il sottoscritto e qualcun altro. Alibrandi ed io raggiungemmo a volto scoperto la guardia giurata che stava fuori dall’istituto. Sapevamo che si posizionava in un punto preciso dove poteva stare all’ombra. Lo disarmammo e in due lo portammo dentro alla banca.
Una volta dentro la prima cosa di cui mi preoccupai fu controllare che tra i clienti non vi fosse magari qualche poliziotto in borghese e quindi armato. Era una precauzione necessaria. Scavalcai il bancone e io stesso mi stupii della riuscita del gesto atletico. All’epoca pesavo 96 chili, ai quali dovevo aggiungere il peso delle armi (una pistola e una bomba a mano) e del giubbotto antiproiettile. Fra l’altro come mia “divisa” per la rapina ero andato a comprare un abito da Cenci: giacca, gilet, pantaloni, camicia e cravatta. E sopra a tutto indossavo un lungo impermeabile chiaro utile per occultare le armi, specie i mitra, ma anche per catturare l’attenzione visiva delle vittime che guardavano più quello che il volto di chi lo indossava.
Iniziai a prelevare i contanti dai cassetti. Nell’occasione avevamo un basista all’interno della banca, un camerata con il quale ci eravamo accordati precedentemente. Nella settimana in cui avremmo fatto il colpo, suo compito giornaliero era far sì che nelle casse della filiale ci fosse a disposizione una liquidità di duecentocinquanta milioni di lire. Come cassiere quello era il suo compito e li fece arrivare. Noi non gli comunicammo il giorno in cui saremmo entrati in azione, la sua consegna era quella di far trovare i soldi disponibili nell’arco dell’intera settimana. Così fece. Quei soldi avrei dovuto far finta di cercarli, visto che non stavano nel cassetto in vista; gli accordi erano che lui, con lo sguardo, avrebbe dovuto indicarmi dove esattamente si trovavano. Dopo aver preso velocemente quello che stava nel cassetto e nell’armadio, circa venticinque milioni, cercai il grosso del contante. Passarono i secondi, feci diversi tentativi, ma non saltò fuori nulla. Il vero ed unico problema era che il nostro basista era strabico. Sembra una barzelletta, ma il gioco di sguardi si rivelò fallimentare per questo motivo. Non capivo dove lui guardava e persi tempo prezioso. Alla fine dovetti rinunciare ai duecentocinquanta milioni che c’erano. Con un sacchetto uscimmo dalla banca con quel poco racimolato.
Per la cronaca il “nostro” cassiere, con la scusa della rapina, a nostra insaputa si intascò dieci milioni facendoli sparire. Tutto questo emerse solo successivamente grazie alle rivelazioni di Cristiano Fioravanti sulle rapine che portarono all’arresto anche dei basisti. Già un sospetto mi era venuto perché il giorno dopo, leggendo “Il Messaggero”, si parlava di trentacinque milioni sottratti alla filiale, e non dei venticinque milioni che avevamo effettivamente portato via.
Tratto da: Domenico “Mimmo” Magnetta, Ippolito Edmondo Ferrario, Una vita in Avanguardia Nazionale, Ritter Edizioni
da Ippolito Edmondo Ferrario | Apr 30, 2019 | News
Esce in questi giorni per le Edizioni Ritter di Milano ( http://www.ritteredizioni.com) il libro “Una vita in Avanguardia Nazionale” biografia di Domenico “Mimmo” Magnetta scritta insieme al sottoscritto.
Il libro nasce dalla volontà di Mimmo di raccontare la sua intensa esperienza in Avanguardia Nazionale durante gli anni più caldi e difficili che culminarono con lo scioglimento coatto del movimento extraparlamentare avvenuto l’8 giugno del 1976.
La militanza di Mimmo inizia nella Milano degli anni Settanta e nel libro vengono ricordate alcune delle figure di spicco del neofascismo milanese che l’autore frequenta o conosce da ragazzino: Cesare Ferri, Umberto Salvatore Vivirito, Alessandro D’Intino, Mario di Giovanni, Rodolfo “Mammarosa” Crovace, Riccardo Manfredi, Marco Ballan, Giancarlo Esposti e molti altri.
I primi capitoli sono un affresco essenziale, ma intenso, del mondo milanese nel quale Mimmo muove i primi passi. Con lo scioglimento di Avanguardia Nazionale e la distruzione della sede di via Adige per un ordigno esplosivo, Mimmo diventa uno dei pochi milanesi a interagire con il mondo neofascista romano che in quegli anni si prepara a partorire il fenomeno dello spontaneismo armato.
Magnetta intraprende la strada dell’autofinanziamento attraverso una serie di rapine che hanno l’obbiettivo di mantenere in vita clandestinamente Avanguardia Nazionale. Divenuto responsabile del cosiddetto Nucleo Economico, Mimmo, insieme ad altri camerati, compie una serie di operazioni che culmineranno nell’assalto alla Chase Manhattan Bank; tale rapina sancirà poi la rottura definitiva con i Nar di Valerio e Cristiano Fioravanti. Nelle pagine è un susseguirsi di ricordi legati a personaggi quali Peppe Dimitri, Alessandro Alibrandi, Claudio e Riccardo Minetti, Stefano delle Chiaie, Gilberto Cavallini e altri.
Mimmo, sempre in quel periodo, con l’aiuto di altri avanguardisti milanesi, si specializza nelle operazioni di espatrio finalizzate ad aiutare camerati che necessitano di riparare all’estero per sfuggire alla giustizia. E sarà durante una di queste operazioni di “trasferimento”, nella quale è Massimo Carminati che deve raggiungere la Svizzera, che Mimmo verrà arrestato insieme allo stesso Carminati e ad Alfredo Graniti al valico del Gaggiolo quando la loro macchina viene crivellata di colpi dagli agenti di polizia che li attendono.
Il libro prosegue con i ricordi di tutta la fase detentiva, dell’incontro e della conoscenza con il mondo carcerario; un viaggio nell’Italia di quel periodo in cui le stesse carceri sono teatro dello scontro sanguinario tra camorristi divisi tra cutoliani e anticutoliani. Mimmo in carcere ritrova molti camerati e nonostante la privazione della libertà personale prosegue la sua militanza impegnandosi in svariate attività a favore dei carcerati.
Con l’uscita del libro, Mimmo ha concesso alle telecamere una serie interventi su alcuni degli avvenimenti raccontati nel libro e che sono visibili su YouTube.
Qui di seguito l’indice con gli argomenti che troverete nel libro “Una vita in Avanguardia Nazionale”:
Capitolo I Un pugliese a Milano
Capitolo II Da studente a militante extraparlamentare
Capitolo III Celerini, Katanga e Mammarosa
Capitolo IV La schedatura dei compagni
Capitolo V Avanguardia Nazionale a Milano
Capitolo VI Eravamo ragazzi
Capitolo VII La stagione della repressione e della clandestinità
Capitolo VIII La provocazione del MAR di Fumagalli
Capitolo IX Pian del Rascino e lo spettro del Golpe
Capitolo X Proteggere i latitanti
Capitolo XI La nascita dell’Avanguardia Nazionale clandestina
Capitolo XII Il sodalizio con gli Avanguardisti romani
Capitolo XIII La prima rapina
Capitolo XIV La seconda rapina
Capitolo XV Volevo uccidere “Giusva” Fioravanti
Capitolo XVI Assalto alla Chase Manhattan Bank
Capitolo XVII Alessandro Alibrandi
Capitolo XVIII Milano, 1979. Giorgio Almirante e il Fronte della Gioventù
Capitolo XIX Continuano le operazioni di espatrio. Gilberto Cavallini e altri
Capitolo XX Gaggiolo, 21 aprile 1981. L’inferno di piombo
Capitolo XXI Il capitano Francesco Straullu
Capitolo XXII La detenzione a Spoleto
Capitolo XXIII I camorristi di Raffaele Cutolo
Capitolo XXIV Il trasferimento da Spoleto a Marino del Tronto
Capitolo XXV Vita in carcere
Capitolo XXVI I rapimenti Cirillo e Peci
Capitolo XXVII Il trasferimento da Marino del Tronto
Capitolo XXVIII Il carcere di Viterbo
Capitolo XXIX Progettando l’evasione con il capo dei camorristi
Capitolo XXX Pranzi con aragoste e battaglie a palle di neve
Capitolo XXXI Film proibiti e ricetrasmittenti
Capitolo XXXII La frutta sciroppata e altri privilegi
Capitolo XXXIII Il mio accoltellamento
Capitolo XXXIV L’interrogazione parlamentare e il trasferimento a Rebibbia
Capitolo XXXV Rebibbia
Capitolo XXXVI L’odio per chi mi aveva tradito e abbandonato
Capitolo XXXVII La riconsegna delle armi
Capitolo XXXVIII Processi e condanne
Capitolo XXIXI miei avvocati
Capitolo XLI contatti con la Chiesa