Accadde Domani. 3 luglio 1984. Muore in un conflitto a fuoco con i carabinieri Rodolfo Crovace detto “Mammarosa”

Accadde Domani. 3 luglio 1984. Muore in un conflitto a fuoco con i carabinieri Rodolfo Crovace detto “Mammarosa”

3 luglio 1984. Muore in un conflitto a fuoco con i carabinieri Rodolfo Crovace detto “Mammarosa”.

Anche noi qualche volta ricorremmo ad aiuti esterni, cioè alla squadra di Avanguardia Nazionale che veniva da fuori: era composta numericamente da pochi elementi, ma risultò determinante specie negli scontri con i katanga, diversi dei quali finirono accoltellati. Questo servì a restituirci una certa tranquillità all’interno della scuola: sapevano che noi, benché in pochi, eravamo agguerriti e cattivi. Il periodo di tregua che ne derivò fu breve e illusorio. Le vicissitudini personali e gli arresti ridussero il numero dei componenti di questo nostro supporto esterno. I compagni vennero a saperlo e ci ritrovammo all’interno della scuola sempre più soli. Ripresero dunque a usarci come bersaglio. In questa seconda fase qualche volta fece la sua comparsa, fuori dallo Zappa, Rodolfo Crovace detto “Mammarosa”, figura di spicco in San Babila.
Un giorno la sua apparizione fuori dall’istituto smorzò gli animi dei compagni. Con i loro modi teatrali “Mammarosa” e Mario Di Giovanni iniziarono a passeggiare sotto le finestre dello Zappa, salutandoci e facendo cenni con cui volevano tranquillizzarci perché “c’erano loro”.
Un altro giorno Mammarosa entrò nel bar Celeste, un locale all’angolo tra viale Marche e via Lario, noto ritrovo di compagni. Vi arrivò da solo e si mise al telefono a gettoni. Fece finta di telefonare e fu attento che i presenti sentissero bene le sue parole rivolte all’interlocutore immaginario. Più o meno disse che era al bar Celeste, ritrovo di “comunisti di merda” e che aspettava che uscissero da scuola i camerati. Finì la telefonata dicendo che se qualcuno avesse provato a dare fastidio ai suoi amici avrebbe fatto i conti con lui. Detto questo mostrò con gesto plateale le due pistole che teneva alla cintura. Tra gli avventori del bar calò il gelo. Quel gesto servì a garantirci ancora un po’ di tranquillità, forse qualche settimana. Poi la situazione peggiorò e una mattina che c’era manifestazione fummo costretti ad uscire dall’istituto passando in mezzo a due cordoni di compagni che ci riempirono di sputi, calci e pugni.
Tratto da: Domenico “Mimmo” Magnetta, Ippolito Edmondo Ferrario, Una vita in Avanguardia Nazionale, Ritter Edizioni

 

 

Accadde Domani. 30 giugno 1965. Robert Muller si prepara a lasciare il Congo

Accadde Domani. 30 giugno 1965. Robert Muller si prepara a lasciare il Congo

30 giugno 1965. Robert Muller si prepara a lasciare il Congo

Come da programma, rientrai a Stanleyville e vi rimasi alcuni giorni. Feci qualche pattuglia nei pressi della città, ma nulla di memorabile. Qui incontrai Bob Denard, che era diventato il comandante del battaglione, avendo sostituito il belga Lamouline. Il giorno della partenza guardò le mie carte e mi congedò. Mi disse che ci saremmo rivisti. Era il 30 giugno, festa dell’indipendenza congolese. Quel giorno Mobutu, ormai divenuto un despota, fece impiccare tre dissidenti, per mostrare il suo potere. Io ormai ero prossimo a lasciare il Congo. Il 10 luglio mi fu consegnato il biglietto aereo per Bruxelles. Partimmo per Léopoldville dove rimanemmo un giorno prima di imbarcarci per l’Europa. Arrivato a Bruxelles andai a cercare un albergo e ritirai tutti i soldi che avevo depositato in banca. Avrei dovuto fare festa. Andai a cena in un ristorante, ma non mi sentivo soddisfatto, anzi. Anche la sera, tornato in albergo, feci fatica ad addormentarmi, tanto che, per chiudere occhio, dovetti prendere il cuscino e le coperte e sdraiarmi sul pavimento. A certe comodità non ero più abituato. Crollai comunque in un sonno profondo. Il mattino successivo, la donna delle pulizie mi trovò mentre dormivo ancora a terra. era giunto il momento di partire.

Tratto da: Robert Muller, Ippolito Edmondo Ferrario, Un parà in Congo e Yemen 1965-1969, Mursia

 

Accadde Domani. 30 giugno 2001. Condanna all’ergastolo della corte d’Assise di Milano inflitta a Giancarlo Rognoni per la strage di piazza Fontana

Accadde Domani. 30 giugno 2001. Condanna all’ergastolo della corte d’Assise di Milano inflitta a Giancarlo Rognoni per la strage di piazza Fontana

30 giugno 2001. Condanna all’ergastolo della corte d’Assise di Milano inflitta a Giancarlo Rognoni per la strage di piazza Fontana

Il primo grado si concluse per me con la condanna all’ergastolo.
Il giorno che appresi della sentenza vissi un profondo senso di smarrimento. Provai la tentazione di arrendermi, di non riconoscere la giustizia che mi stava giudicando e addirittura di non fare ricorso. Non mi aspettavo di essere condannato all’ergastolo di fronte ad accuse totalmente inconsistenti.
La prospettiva di rimettere in gioco completamente la mia vita con un mio ritorno in carcere era cosa concreta. Se una parte di me avrebbe voluto arrendersi, l’altra reagì.
Proseguii nel dimostrare la mia innocenza. Non mollai grazie alla mia famiglia, all’insistenza di mia moglie Franca e dei miei avvocati. Così, con rinnovato vigore, affrontammo il secondo grado del processo, sforzandoci di smontare, dopo averle analizzate, tutte le varie tesi accusatorie. Fu un lavoro enorme, intenso che richiese uno sforzo notevole. Trascorsi settimane facendo ricerche, acquisendo articoli e documenti nelle biblioteche, al fine di documentare meglio le date e l’inquadramento cronologico di molti fatti attinenti al processo. Tusa mi aiutò in questo compito, mentre a difendermi ebbi anche l’avvocato Enzo Fragalà che si concentrò sugli aspetti più politici della vicenda, ma non solo. I tempi della giustizia furono lunghi, ma alla fine fummo in grado di dimostrare la mia totale estraneità ai fatti.

Tratto da: Giancarlo Rognoni, Ippolito Edmondo Ferrario, La Fenice. Una testimonianza del neofascismo milanese, Ritter Edizioni.

Accadde Domani. 21 giugno 1971. L’Assalto al Circolo Perini di Quarto Oggiaro

Accadde Domani. 21 giugno 1971. L’Assalto al Circolo Perini di Quarto Oggiaro

21 giugno 1971. L’Assalto al Circolo Perini di Quarto Oggiaro
L’episodio che però sancì l’inizio delle mie disavventure giudiziarie fu la cosiddetta aggressione al Circolo Perini, che ebbe a lungo l’onore della prima pagina.
Qualche giorno prima dei fatti fui avvisato di un dibattito sul fascismo che si sarebbe tenuto al circolo stesso. Me ne parlò Remo Casagrande, storico militante missino di Quarto Oggiaro, invitandomi ad andare insieme a lui e ad altri. Accettai, e il 21 giugno del 1971 ci recammo alla serata. Eravamo in tanti, ma non tutti avevano interesse ad ascoltare il dibattito e, come spesso succedeva, alcuni preferirono attendere fuori; qualcuno si spostò in un bar non lontano. Il circolo era chiaramente un luogo di aggregazione della sinistra, ma l’atmosfera era abbastanza tranquilla. Prendemmo posto all’interno della sala e partecipammo alla discussione. Si creò qualche scontro verbale, anche acceso, ma nulla che facesse presagire cosa sarebbe successo. Terminati i nostri interventi decidemmo di lasciare la sala. Qui accadde l’equivoco dal quale si scatenò ciò che poi sarebbe stato definito, impropriamente, l’assalto al circolo. Nello stesso momento in cui uscivamo, i camerati che erano rimasti fuori si stavano avvicinando al circolo. Se non ricordo male stavano cantando e facendo un po’ di confusione. La persona addetta agli ingressi, vedendoli arrivare in gruppo – saranno stati una trentina -, si affrettò a chiudere il portone per non farli entrare. Posso comprendere la sua paura, anche se non c’erano intenzioni violente da parte loro. Ma nello stesso tempo i camerati che sopraggiungevano, vedendo che ci veniva impedito di uscire, equivocarono e pensarono ad una trappola tesa nei nostri confronti. A quel punto le cose trascesero e scoppiò il finimondo.
Giancarlo Rognoni, Ippolito Edmondo Ferrario, La Fenice. Una testimonianza del neofascismo milanese, Ritter Edizioni.

La Fenice. Da oggi in libreria

La Fenice. Da oggi in libreria

La Fenice. Una testimonianza del neofascismo milanese

Un libro di Giancarlo Rognoni e Ippolito Edmondo Ferrario, Ritter Edizioni

“In quegli anni la militanza ci imponeva di misurarci quotidianamente con
situazioni di violenza fisica, perché la violenza era all’ordine del giorno. Lo
scontro fisico, lieve o pesante che fosse, era la normalità per chi faceva politica.
Rappresentando una minoranza, noi neofascisti avevamo la vita non facile.
Più volte durante le manifestazioni partecipammo ad aspri scontri, ma i problemi
non si limitavano a queste situazioni. Si diventava dei possibili bersagli
dal momento in cui si usciva di casa fino a quando non si rientrava.
Fu quindi necessario attrezzarci per sopravvivere. È un dato evidente che
la cosiddetta “caccia al fascista” era una pratica abitualmente perpetrata a cominciare
dalle scuole e nelle strade. Di conseguenza ci organizzammo per
rispondere a questa violenza con altrettanta violenza”.

G.Rognoni

Ritter Editore, 2020
168 pagine + 16 di foto a colori
20 euro
www.ritteredizioni.com

 

 

15 giugno 1906. Nasce Léon Degrelle

15 giugno 1906. Nasce Léon Degrelle

15 giugno 1906. Nasce Léon Degrelle

Il 15 giugno del 1906, presso il borgo di Bouillon nelle Ardenne belghe, nasceva Léon Joseph Marie Ignace Degrelle, il leggendario soldato belga che avrebbe infiammato i cuori di generazioni di neofascisti. Così Giancarlo Rognoni ne ricorda il primo incontro:

L’incontro con Degrelle mi aprì un mondo sconosciuto. Di lui ho molti ricordi. A cominciare da quando suonai alla sua porta e lui mi aprì dicendomi: «Bienvenu chez nous, mon camarade». L’accoglienza da parte sua e della moglie Jeanne Brevet fu davvero impeccabile e calorosa. Da quel momento iniziò una lunga frequentazione. A dispetto di quello che uno si sarebbe potuto aspettare, Degrelle non era un uomo che viveva per raccontare le sue gesta, anzi. Quel genere di racconti li condivideva solo con i suoi amici più intimi. Questo lo posso affermare dato che iniziai a vederlo quasi settimanalmente. Innumerevoli volte andai a casa sua ed ebbi modo di ascoltarlo e di confrontarmi con lui. Ciò che mi colpì fin da subito fu il fatto di non essere ancorato al suo passato; non era nel suo temperamento rimanere legato ad un periodo specifico della sua vita.

Ebbi fin da subito l’impressione di un Degrelle che viveva l’attualità, che seguiva da vicino le vicende internazionali con grande occhio critico. Conobbi quindi non solo il Degrelle pluridecorato combattente delle Waffen SS, ma il Degrelle politico, scrittore, il Degrelle filoarabo, l’estimatore delle arti e della storia. Fu grazie a lui che venni introdotto a quel mondo di personalità, per lo più francofone, molto distanti dal mondo italiano da cui provenivo.
Mi trovai perfettamente a mio agio con Degrelle, anche per una certa sintonia nella visione della vita, pur essendo maturata da esperienze molto diverse.

Tratto da Giancarlo Rognoni, Ippolito Edmondo Ferrario, La Fenice. Una testimonianza del neofascismo milanese, Ritter Edizioni.