da Ippolito Edmondo Ferrario | Gen 11, 2021 | News, Soldati di Ventura
La cronaca del blitz notturno a Mboko per eliminare la mitragliatrice pesante cinese Cal. 12,7 mm
Testimonianza del maggiore Tullio Moneta raccolta da Giorgio Rapanelli
Su di una collina della zona di Mboko a circa 300 metri dalla pista lungo il lago Tanganyka che dalla base del 5 Commando di Baraka portava ad Uvira, a nord, c’era una mitragliatrice pesante calibro 12,7 mm.
Questa arma pericolosa impediva alle colonne di automezzi del 5 Commando di conquistare la cittadina di Uvira.
Già avevamo perduto a Mboko il 18 maggio 1966 il mitico capitano Hugh Van Oppen, probabilmente non a causa di una raffica di kalashnikov, ma per mano del tenente Ross-Johnson, come si mormorava al campo.
Ross-Johnson aveva la fama di killer prezzolato e doveva avere eseguito l’assassinio di Van Oppen per conto di qualcuno. Pure l’autista di un camion era stato centrato, giorni prima, al cuore dal colpo di un cecchino.
Però, il problema vero era quella mitragliatrice pesante che con i suoi proiettili con l’anima al tungsteno perforava da parte a parte un camion, o un’autoblindo Ferret, per poi frantumarsi in schegge pericolose.
No, non si riusciva a passare. La colonna degli automezzi era costretta a ritornare a Baraka.
La mitragliatrice era mimetizzata molto bene tra gli alberi della jungla, che dalla base della collina arrivavano quasi alla sommità, dove poi iniziava la savana.
Anche i caccia bombardieri T-28 che erano stati impiegati per localizzare dall’alto la mitragliatrice, non erano riusciti a scovarla. Evidentemente, doveva essere ben nascosta in una caverna naturale.
Era un problema che doveva essere risolto, poiché si doveva conquistare tutto il territorio congolese del lago Tanganyka, per impedire che dall’altra sponda della Tanzania del buon Nyerere potessero continuare a giungere con le canoe attraverso il lago le armi comuniste ai ribelli Simba, che ancora infestavano la zona di Uvira e di Bukavu.
Furono i civili congolesi ad avvisare i mercenari che sapevano come giungere nel luogo ove era piazzata la mitragliatrice. Si trattava di aggirare la postazione per colpirla alle spalle.
Il colonnello John Peters, che era succeduto al colonnello Mike Hoare nel comando della base di Baraka, organizzò un meeting con gli ufficiali delle pattuglie di mercenari non operative al momento.
Nella sala mensa degli ufficiali il colonnello Peters sparse sul tavolo le carte topografiche della zona di Baraka e di Mboko e pianificò con gli ufficiali e i sottufficiali il piano di attacco alla postazione dei Simba.
Furono organizzati due gruppi di mercenari di venti uomini ciascuno al comando dei tenenti Tullio Moneta e Boet Schoeman. Il comando in capo fu dato al capitano Peter Ross-Smith, un ufficiale che si era distinto nelle operazioni più rischiose fin dalla presa di Stanleyville.
Il tenente Boet Schoeman era noto per la sua mira infallibile.
Da civile organizzava i safari di caccia grossa per i turisti in Kenya. Era soprattutto esperto nello scovare le tracce dei Simba nella savana.
Nella pattuglia di Tullio erano presenti i tre italiani Piero Nebiolo, Eugenio Ciccocelli e Perissinotto, oltre l’ottimo sergente boero Swanepoel, i soldati Penton Ferreira e Butch Scholtz.
Il tenente Mutambala, che comandava i katanghesi di stanza nei paraggi della base di Baraka, aveva fornito alcuni scout. Il villaggio congolese vicino alla base di Baraka aveva fornito altri scout e i portatori.
I quaranta mercenari con gli scout e i portatori salirono su diversi camion, scortati da un paio di autoblindo Ferret al comando di “Skinny” Coleman.
Dovendo aggirare la postazione Simba non si diressero direttamente verso la collina di Mboko, ove era la mitragliatrice pesante. Gli automezzi si diressero, invece, verso sud, come per andare a Fizi.
La colonna ad un certo punto si fermò, mimetizzandosi tra gli alberi della jungla, mentre e gli uomini con portatori e scout si inerpicarono su di una collina, puntando poi a nord, dove a parecchi chilometri si trovava la postazione Simba.
Il sole stava tramontando e nel giro di mezzora fu tutto buio.
Di notte i Simba dormono. Quindi l’attacco a sorpresa sarebbe riuscito di sicuro. In fila indiana i quaranta mercenari con i tre ufficiali e gli scout in testa alla colonna.
I portatori chiudevano la colonna. Era proibito parlare e starnutire.
Anche il più piccolo rumore si sarebbe propagato nel buio della notte, avvisando i Simba della presenza della colonna.
Il buio era pesto.
Le alte erbe occludevano la vista del cielo stellato: queste si aprivano davanti al mercenario che veniva prima e si chiudevano dinnanzi al mercenario che veniva dopo. Il sentiero si sentiva solo con i piedi.
Gli scout katanghesi andavano avanti e indietro lungo la colonna, per controllare se qualcuno della pattuglia si era perso, avendo “preso” con i piedi un altro sentiero.
Quando gli scout riuscirono ad individuare la postazione della mitragliatrice cominciava ad albeggiare.
Tornarono indietro, sussurrando ai tre comandanti dove dirigersi.
Poi scout e portatori si acquattarono per essere fuori tiro.
Parlando all’orecchio di ogni mercenario i comandanti posizionarono ad “elle” gli uomini. Tullio Moneta e Boet Schoeman scelsero i loro migliori combattenti e li schierarono sul fianco destro dell’accampamento dei Simba.
Con Tullio erano i tre italiani e Swanepoel. Intanto, qualche Simba era già sveglio e chiacchierava ridendo con altri ribelli. Ormai il sole stava per sorgere e i Simba si vedevano bene, salvo quelli che ancora dormivano, stesi tra le erbe della savana.
Improvvisamente i Simba si accorsero della presenza dei mercenari e tentarono la fuga urlando, per avvisare gli altri…
I mercenari aprirono il fuoco mirando ai bersagli visibili o tirando a raffica nel folto della savana.
Da una caverna tre Simba portarono fuori la sola mitragliatrice pesante, dandosi alla fuga e cercando di salvarla. La mitragliatrice pesante, montata su di un treppiede, non era visibile dagli aerei perché era nascosta in una caverna naturale.
Il Simba che trasportava l’arma dalla parte più pesante, ossia la parte posteriore, fu colpito e la mitragliatrice, cadendo, rimase ritta da terra.
Poiché si sentivano voci all’interno della caverna, due bombe a mano fecero il silenzio per sempre.
Terminata la breve scaramuccia, i mercenari raggrupparono i Simba ancora in vita e legarono con delle corde il collo dei prigionieri ad una canna di bambù, uno di qua ed uno di là, secondo il sistema dei negrieri arabi. Il capitano Ross-Smith interrogò brevemente i prigionieri.
Ma fu interrotto da una animata discussione tra Boet Schoeman e Piero Nebiolo, che non capiva l’inglese.
Il tenente Schoemann era furente per il fatto che Nebiolo, stando alla sua sinistra durante il combattimento, gli aveva fatto arrivare sul volto i bossoli roventi sparati dal suo FN.
Poiché Nebiolo non capiva le rimostranze di Scheoman, quest’ultimo, per farsi capire, cominciò a sparare i venti colpi del suo caricatore, con i bossoli roventi espulsi che “friggevano” sulle gote di Nebiolo.
Il quale, alla fine della sparatoria, rivolgendosi al tenente Schoeman, disse semplicemente in francese “Et alors?”.
“E allora?” Schoeman si allontanò biascicando parole incomprensibili.
La colonna degli attaccanti cominciò a scendere la collina, portando con loro la mitragliatrice catturata, da utilizzare a difesa della base.
Giunti al villaggio dei civili congolesi furono accolti dal giubilo delle donne che emettevano i classici striduli vocalizzi con la lingua, agitando rami di palma.
Alla vista di uno dei Simba si scagliarono contro di lui con l’intenzione di linciarlo. I mercenari fecero barriera, salvando quel Simba.
In modo concitato le donne spiegarono ai mercenari che costui aveva commesso abusi e crudeltà in quel villaggio e volevano una esemplare condanna a morte.
Poiché non esisteva in quel territorio una corte di giustizia, pretesero giustizia dai mercenari stessi. Il colonnello Peters incaricò il tenente Tullio Moneta, che parlava francese, di creare un processo con tanto di accusa e di difesa. Così avvenne…
Per i crimini commessi il Simba fu condannato a morte mediante impiccagione. Quando ascoltò la sentenza non ebbe alcuna reazione.
Solo l’alluce del piede destro batteva ritmicamente sul terreno.
da Ippolito Edmondo Ferrario | Dic 21, 2020 | Accadde Domani, Soldati di Ventura
Accadde Domani. Ultimi giorni di dicembre del 1968 nel deserto dello Yemen
La fine della mia «avventura» si stava avvicinando.
Era il dicembre del 1968 e mentre montavo la guardia ripresi a pensare per ingannare il tempo.
La solitudine del deserto si può paragonare al mare. Il mare è immenso, meraviglioso, per certi aspetti non dissimile dal deserto. Quando verrà il mio momento, spero di andarmene avendo di fronte il mare. Che sia calmo o in burrasca mi dà un senso di estrema serenità.
Di notte, con il cielo pieno di stelle, mi riempie di una pace interiore assoluta.
Ascolto il mare sdraiato sulla sabbia ed è come se ascoltassi me stesso. Il deserto, a differenza del mare, sembrerebbe un luogo privo di vita, ma un osservatore attento sa che non è così. C’è sempre qualcosa che si muove: lo scorpione che esce di notte col favore delle tenebre, qualche ragno, i serpenti che a volte rotolano giù dalle dune di sabbia.
Durante il giorno cambia tonalità di colore in continuazione.
Rosa cupo al mattino e alla sera quando nasce e cala il sole, rosa tenue quasi color albicocca durante l’arco della giornata. Quando c’è una leggera brezza la sabbia si muove come piccole onde e quando soffia il Simùn, vento simile al Ghibli, le dune mutano posizione come se fossero grandi onde.
La notte nel deserto assume una dimensione magica, intima e quando la temperatura scende, le stelle diventano brillanti. Mi sembra di vedermi ancora infilato nel sacco a pelo, nella buca che si scavava per passare la notte.
Nel deserto si è portati a parlare a sè stessi, a porsi delle domande a cui spesso si danno delle risposte che alle volte non ci piacciono.
Robert Muller, Ippolito Edmondo Ferrario, Un parà in Congo e Yemen 1965-1969, Mursia
da Ippolito Edmondo Ferrario | Dic 21, 2020 | Accadde Domani, Soldati di Ventura
ACCADDE DOMANI. 25 NOVEMBRE 1981. IL TENTATO GOLPE ALLE ISOLE SEYCHELLES NELLA TESTIMONIANZA DI TULLIO MONETA (Seconda parte)
Lavoro di intelligence
Comunque sia, la pianificazione del golpe continuò.
Nel 1981 Hoare e Tullio fecero un sopralluogo nelle Seychelles. Hoare ripartì, mentre Tullio rimase.
Tullio ebbe contatti con la Résistence, fece un sopralluogo alla stazione satellitare USA sul monte Mahé, controllò l’ambasciata sovietica dall’esterno, disegnò cartine e planimetrie della State House, del Palazzo del Governo, degli uffici del Presidente al Centro Vittoria, dell’aeroporto, dei posti della guarnigione, delle difese antiaree, delle baracche nell’aeroporto dei soldati delle Seychelles, tanzaniani e nordcoreani.
Ritornato in Sudafrica Tullio fece una riunione con i mercenari a casa sua, a Johannesburg.
Il 23 novembre 1981 organizzò una seconda riunione sempre a casa sua a Johannesburg, a cui parteciparono tutti i mercenari, insieme a Pieter Doorewaard e Paddy Henrick del Recce, all’austriaco-svedese Sven Forsell, produttore e regista cinematografico che voleva fare un film sui mercenari, e al noto Kevin Beck.
Alla fine giunse il momento dell’azione: partirono da Ermelo, una cittadina del Sud Africa, attraversarono il confine con lo Swaziland per prendere il Fokker che li avrebbe portati all’aeroporto delle Seychelles con gli AK47 nascosti nel doppio fondo dei loro borsoni.
25 novembre 1981
Tralasciamo tutto ciò che è stato già riportato da libri e articoli, con l’arrivo del Fokker dei mercenari, camuffati da rugbisti e sotto la copertura dell’associazione Ye Ancient Order of Frothblowers (l’Antico Ordine dei Bevitori di Birra), effettivamente esistente nel Regno Unito.
Frothblowers significa “colui che soffia via la schiuma” (come per la birra). Soprattutto è determinante la testimonianza di Mike Hoare nel suo libro The Seychelles Affair, alla seconda ristampa nel 2008.
Guardiamo la scena al presente con gli occhi del testimone Tullio Moneta…
Dopo il “guaio” capitato al borsone di Beck con la scoperta dell’AK47 e dopo che è stato dato l’allarme, Tullio ricorda che Geremiah Puren grida «act!», ovvero esorta ad agire.
Tullio monta in 20 secondi l’AK47 che aveva nel sottofondo del suo borsone e si precipita nei locali della dogana.
All’improvviso si apre la porta di un ufficio ed escono due doganieri armati con l’AK47. Tullio ne affronta uno e lo sbatte contro il muro, disarmandolo. L’altro spara una raffica, colpisce tra il petto e la spalla Johann Fritz, un giovane di 20 anni del Recce Commando. Poi si volatilizza.
Mentre Tullio chiama il medico della spedizione, dottor De Wet , Fritz viene soccorso immediatamente da due compagni del Recce.
Uno dei due è Paddy Henrick, che mi ha precisato in una lettera: «Ero con Tullio quando Johann morì. Sono arrivato quando era già a terra e cercai di confortarlo come meglio potevo. Era un mio grande amico. In quell’anno aveva corso la Comrades Marathon, una maratona in canoa nel fiume Duzi, e aveva conseguito pure due lauree.»
Il medico in forza al commando, dopo aver visitato Fritz, fa segno a Tullio e a Hoare che non c’è nulla da fare, poiché il colpo ha reciso l’aorta.
Fritz vivrà per altri 10 minuti. Era figlio di una ricca famiglia sudafricana proprietaria di miniere.
Anthony Mockler ed altri giornalisti hanno scritto che il giovane Fritz sarebbe stato ucciso da “fuoco amico”.
E’ falso. Tullio Moneta e Paddy Henrich erano presenti ed hanno visto come sono andati i fatti: il giovane Fritz non è stato colpito dal friendly fire, ma dalla raffica del doganiere.
Nessuno ha mai chiesto a Tullio e a Paddy di raccontare la verità.
I mercenari scovano in un ufficio vicino all’aeroporto cinque impiegati, tre uomini e due donne.
Li portano dentro l’aeroporto e Tullio li fa rinchiudere in una stanza per metterli al sicuro. Uno di questi si mette ad inveire contro i mercenari, mentre gli altri quattro cercano di zittirlo.
Tullio capisce che è il solito sbruffone e dice: «Piantatela! Siamo qui per fare un lavoro. Non rompete le scatole.»
Tullio requisisce insieme al capitano inglese Mike Webb uno degli autobus che doveva trasportarli all’albergo in cui sarebbero stati alloggiati e che stazionavano all’uscita dell’aeroporto.
Ordina di andare verso le baracche dei soldati tanzaniani che sono a metà strada di lato della pista di atterraggio dell’aeroporto, mentre quelle dell’esercito delle Seychelles sono al termine della pista.
Il pullman arriva alle baracche dei tanzaniani.
Le baracche consistono in diversi edifici tipo bungalow, ad eccezione di una casa che è di tre piani.
Intanto Tullio ed altri mercenari fanno di corsa i circa 300 metri che li separano dalle baracche dei tanzaniani e le circondano a semicerchio.
Giunto insieme ai suoi viene accolto da due o tre colpi sparati dalle baracche. I mercenari aprono un fuoco intensivo.
Tullio ordina di sparare al secondo piano della casa in modo che i colpi vadano pure sulle scale di collegamento tra il primo e il terzo piano.
I tanzaniani scappano. Dei nord coreani neppure l’ombra: si erano squagliati ai primi colpi provenienti dall’aeroporto.
Tullio e i suoi si dirigono poi verso le baracche dell’esercito delle Seychelles che sono in fondo alla pista di atterraggio. Da dietro le baracche escono quattro autoblindo sovietiche. Due di queste rimangono a difesa delle baracche e due si dirigono verso l’aeroporto.
Tullio ordina al capitano Webb di ritornare con il pullman all’aeroporto per organizzare la difesa.
Tullio stesso ritorna indietro poiché è impossibile fronteggiare le autoblindo senza un bazooka.
Un autoblindo rimane indietro, mentre l’altra attacca l’aeroporto sparando con la mitragliatrice da 12,7 mm. della torretta girevole.
Le pallottole con l’anima interna in tungsteno perforano i muri dell’aeroporto. Per i mercenari asserragliati nell’aeroporto si sta mettendo male.
Tullio accerchia con i suoi l’autoblindo e ordina a Peter Rowain di “accecare” l’autoblindo, spalmandone il visore con il fango di una fogna a cielo aperto. L’autoblindo “accecata”, una BTR sovietica, finisce con due ruote nella fogna e si inclina da un lato.
A questo punto la mitragliatrice da una parte spara verso l’alto e non può più colpire gli attaccanti. Quindi i mercenari si posizionano da quella parte sicura e ordinano agli uomini dell’autoblindo di arrendersi, altrimenti li avrebbero bruciati con le molotov che avevano preparato svuotando bottiglie di cognac del bar dell’aeroporto e riempiendole di benzina.
Mike Hoare chiede a Tullio di dire in francese all’equipaggio dell’autoblindo: «Arrendetevi, o vi bruciamo!»
Allora dalla cima della torretta appare il tenente (di nome Adnan) che comandava l’autoblindo con il mitra in mano e per questo motivo viene freddato da una decina di colpi esplosi contemporaneamente da Tullio e da tre commando. Il corpo del tenente cade dentro l’autoblindo.
Anthony Mockler scrive che il tenente venne ucciso dall’equipaggio, in quanto voleva impedire che i suoi soldati si arrendessero.
E’ falso anche questo.
A questo punto ai soldati dell’autoblindo non rimane che arrendersi ed escono dalla torretta uno dopo l’altro, con le mani alzate.
Vengono fatti spogliare completamente nudi e cacciati via.
Si tenta di recuperare l’autoblindo, ma il circuito elettrico della torretta è saltato e la mitragliatrice è quindi inservibile. L’autoblindo viene allora abbandonata.
Al suo interno i mercenari trovano alcuni razzi anticarro, ma senza il lanciarazzi sono inservibili. Intanto, i mercenari si sono asserragliati nell’aeroporto.
La torre di controllo era stata occupata fin dall’inizio e Charles “Chaz” Goatley, che era stato pilota militare e caposquadriglia, quindi uno del mestiere, inizia a controllare il traffico aereo, soprattutto nel caso arrivassero aerei nemici.
I mercenari, proprio per evitare l’atterraggio di aerei nemici, mettono alcuni camion e automezzi lungo la pista di atterraggio.
Resisi conto della situazione disperata, il gruppo di mercenari comincia a pensare di ripartire con il Fokker che li aveva portati alle Seychelles, ma i piloti erano fuggiti ed erano introvabili.
Sta intanto giungendo un Boeing 707 dell’Air India, proveniente da Harare, capitale dello Zimbabwe, e diretto a Bombay. Deve atterrare per forza, poiché non ha più carburante.
Infatti, il metodo usato dalla Air India per risparmiare soldi del carburante era di partire con i serbatoi piuttosto vuoti, in modo da fare il pieno alle Seychelles, dove il carburante era meno costoso.
“Chaz” Goatley invita il Boeing a non atterrare poiché la pista è interrotta. Inizia un dialogo attraverso la radio.
Il comandante del Boeing, Saxena, dice: «Devo atterrare, non ho più il carburante» «No, non puoi» risponde “Chaz” dalla torre di controllo.
«Fammi parlare con il capo della torre di controllo»
«Non è possibile. E’ assente. La pista è pure occlusa»
«Bene, io atterro lo stesso» conclude il comandante.
Non può farne a meno. Capisce però che c’è qualcosa di strano che sta accadendo. Egli è stato pilota della RAF durante l’ultima guerra ed è quindi abituato a decidere in situazioni estreme. Il comandante del Boeing, il cui vice è il capitano Misra, inizia l’atterraggio.
Nel farlo, il Boeing tocca con l’ala un camion che intralciava la pista sbalzandolo ad almeno 25 metri di distanza. L’ala non viene danneggiata seriamente.
Mentre inizia il rifornimento, il comandante scende dal Boeing veramente arrabbiato.
Immagina che stia accadendo realmente qualcosa di strano. Tullio invia il capitano mercenario Ricky Stannard incontro al comandante, a cui fa un inchino dicendo: «Benvenuto alle Seychelles».
Poi il comandante Saxena parla con Hoare e con Tullio, il quale inizia a spiegargli la situazione in atto. Proprio in quel momento inizia un cannoneggiamento con 2 o 3 pezzi da 75 mm. da una distanza di circa 400 metri dalla pista, per colpire il Boeing.
Se lo avessero colpito avrebbero fatto una strage di passeggeri. La tragedia sarebbe stata imputata soprattutto a Mike Hoare.
Hoare contatta telefonicamente la State House per parlare con il presidente René, o con il suo “uomo forte” Berlouis, per un cessate il fuoco.
Occorre salvare la vita dei passeggeri del Boeing dell’Air India. Inizia una trattativa. Poi, il comandante del Boeing parla direttamente con il presidente René: il Boeing, che ha 40 passeggeri, ma ne può trasportare almeno 120, può ripartire non appena effettuato il rifornimento.
Poco dopo i colpi di cannone cessano, evidentemente dietro ordine del presidente René.
Erano stati sparati una quindicina di colpi: fortunatamente i serventi ai cannoni erano poco addestrati, altrimenti sarebbe stata una strage.
Il golpe era durato dalle 18,00 alle 24,00.
Dove andare?
Messo in salvo il Boeing si presenta un problema: ormai l’attacco era fallito.
Ci sarebbe pure il pericolo di un intervento armato dei “marines” sovietici e sarebbero dolori e grane diplomatiche. Quindi dove fuggire con questo Boeing?
Utilizzarlo, o meglio dirottarlo diventa un atto di “pirateria aerea”.
Se si continua con il Boeing fino a Bombay si viene arrestati per “pirateria aerea”, processati e condannati a morte poiché in India questa sarebbe la condanna.
Lo dirottiamo nell’Oman – si chiedono i mercenari – dove Mike Webb era già stato come consigliere militare? Oppure, in Kenya, per via degli accordi segreti di occupazione delle Seychelles da parte del governo keniota?
Solo che quel governo non vorrebbe che i piani venissero alla luce del sole, attuati addirittura con mercenari sudafricani…
Tullio propone di farsi portare nel Botswana, che confina col Sudafrica, e da lì passare la frontiera del Sudafrica. Soluzione scartata, perché troppo macchinosa e piena di incognite. Alla fine si decide di atterrare a Durban, in Sudafrica.
Mike Hoare propone di distruggere le armi prima del decollo. Tullio si oppone con forza all’idea del suo colonnello, poiché non vuole finire massacrato insieme ai suoi uomini, qualora dovessero rimanere a terra per qualche motivo.
Tullio dice: «L’aereo è danneggiato e potrebbe non decollare. Se poi dovesse decollare, potremmo essere colpiti da quella mitragliera sovietica a quattro canne da 14,5 mm., in postazione tra le baracche dei soldati in fondo alla pista. In questo caso, il Boeing dovrebbe atterrare di nuovo e noi, disarmati, potremmo essere catturati o ammazzati.»
Giorgio Rapanelli, Ippolito Edmondo Ferrario, “Mercenario. Dal Congo alle Seychelles. La vera storia di Chifambausiku Tullio Moneta”, Edizioni Lo Scarabeo, Milano