Le fredde notti nebbiose degli anni ’70 a Milano: poca gente in giro, poche automobili, strade sgombre, poco rumore. Chi gira per Milano oggi non può immaginare l’atmosfera in cui allora si era calati. Il tempo pareva sospeso in una ragnatela, aria ovattata vestita di grigio e altri tristi colori: taxi, tram e filobus ernao verde bottiglia con tracce di nero. Le auto raramente di colore sgargiante. Alcune bianche, la maggior parte color crema, rosso spento, nere blu o azzurro carta da zucchero(…).

Non so perché, ma questa descrizione che ritroviamo nel romanzo Indian Summer ‘ 70. C’era una volta San Babila (Maurizio Murelli, Aga Editrice, 2015, Milano) mi ha spinto a ricordare un ristorante che non c’è più, ma che a Milano ha fatto la storia se non della ristorazione, certamente della città.

Sto parlando del ristorante L’Assassino di via Amedei, che per anni è stato una specie di istituzione. Io lo ricordo bene, ne ricordo visivamente ancora le sale, i proprietari, i piatti, la perlinatura di legno scura a metà parete, i quadri moderni appesi, il profumo delle cappelle di funghi porcini fatte alla ligure, i vecchi e abili camerieri in livrea bianca.

Ebbi modo di frequentarlo nei primi anni 80’ e la nostalgia non è poca. Sarà per quella legge per cui «si stava meglio quando si stava peggio» che tutto sembra migliore rispetto ad oggi, anche Milano stessa. Ma torniamo a L’Assassino, con quell’insegna inconfondibile, un guerriero col pugnale in mano, il pesante portone di legno per entrarvi. Pochi gradini e subito respiravi aria di Toscana. Ti sentivi subito a casa, grazie all’estro dei proprietari: Lino Morganti (originario di Ponte Buggianese), Ottavio Gori (fucecchiese, mancato nel 1994) e Lamberto Gori, figlio di quest’ultimo. Ricorderò sempre la parlata toscanissima di Lino, le sue sopracciglia folte mentre spingeva il carrello degli antipasti dal quale ti serviva, tagliandole al coltello, fette di prosciutto di Praga caldo, o salsicce toscane crude da spalmare. Ma non era solo il cibo, L’Assassino era lo specchio di una Milano che non c’è più, di sabati sera dove fuori c’era la nebbia, ma nelle sue sale si incontravano personaggi milanesi degni di nota. Io ero solo un bambino, ma sapevo che il ristorante era un covo di milanisti, allenatori, calciatori, ma anche di giornalisti e attori. Eppure non c’erano clamori, automobili di lusso, guardie del corpo fuori e dentro il ristorante, piuttosto si respirava aria di quella normalità che oggi è andata perduta insieme al buon gusto.

E chiuso L’Assassino per il sottoscritto è finita anche un’era. Oggi, a distanza di trent’anni, ho avuto modo di provare alcuni i più noti e blasonati ristoranti di Milano, ma senza più trovarmi davvero a casa, in quelle atmosfere senza tempo che un posto come l’Assassino sapeva regalarti.